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tumore della prostata

Carcinoma prostatico Epidemiologia e caratteristiche Generali

Il carcinoma prostatico è una malattia in costante aumento; nel 1993 negli Stati Uniti ne sono stati diagnosticati 165 mila nuovi casi, con una mortalità di oltre 30mila, ponendolo al secondo posto tra le cause di morte per cancro nel maschio. L’incidenza nei paesi occidentali è di oltre 55 nuovi casi per 100 mila abitanti; il numero di casi attesi per anno in Italia varia tra 12 e 15 mila. Il tumore della prostata è infatti fra le neoplasie più comunemente diagnosticate, costituendo il 20% circa di tutti i tumori di nuova diagnosi. E’ raramente riscontrato prima dei 40 anni, essendovi un incremento dell’incidenza e della prevalenza con l’aumentare dell’età. Queste affermazioni sono riferibili soltanto alla forma di carcinoma clinicamente manifesto, che deve essere distinto dal carcinoma incidentale (diagnosticato in modo casuale in corso di una resezione endoscopica o di una adenomectomia) e dal carcinoma latente o biologico (mirocarcinomi asintomatici diagnosticati istologicamente). La Società Oncologica Americana raccomanda a tutti gli uomini di età compresa tra i 50 e i 70 anni di sottoporsi annualmente a DRE (Esplorazione Digito-Rettale) della prostata e ad una determinazione del PSA sierico; e tale raccomandazione viene estesa agli uomini al di sopra dei 40 anni se di razza nera o se vi è una storia famigliare di tumore prostatico.

Fattori di rischio

Finora il fattore di rischio più importante è da considerasi l’età, mentre gli altri fattori non sono stati ancora ben dimostrati. Tra essi i più importanti sono ritenuti:

*Fattori ormonali

Il cancro della prostata è un tumore androgeno/dipendente poiché i maschi castrati o con ipopituitarismo prima dell’età di 40 anni raramente sviluppano la malattia. Inoltre, la neoplasia è meno frequente in soggetti con malattie croniche epatiche che comportano un aumento di livelli di estrogeni, i quali controbilanciano l’azione degli androgeni testicolari. Tuttavia, non esistono dati definitivi sul ruolo etiologico degli androgeni plamatici.

*Fattori occupazionali:

Una più elevata percentuale di cancro della prostata è stata riportata nei lavoratori esposti al cadmio, nei chimici, nei pittori, nei lavoratori del legno, della gomma e dell’industria tessile.

*Razza:

Il cancro della prostata è essenzialmente una malattia dei paesi occidentali. Le percentuali più elevate di incidenza e mortalità sono riportate per i maschi afro-americani negli Stati Uniti, mentre quelle più basse si riferiscono a Giappone, Cina ed altri paesi asiatici.

*Familiarità:

Il cancro della prostata esiste sia in forma sporadica che ereditaria. Il carcinoma prostatico ereditario si riscontra nel 5-10% di tutti i casi di cancro della prostata, ma rappresenta fino al 40% dei tumori prostatici in maschi di età 4 ng/ml ma comunque non elevatissimo, questo rapporto PSA free / PSA totale può orientarci nel sospetto di una patologia benigna o maligna. A scopo schematico si può dire che un rapporto inferiore al 10% esprime, con ogni probabilità, una patologia maligna, mentre un rapporto superiore al 20% è associato, quasi sempre, ad una patologia benigna della prostata. Non mancano, però, le eccezioni.

Ecografia transrettale

Esame strumentale fastidioso ma non doloroso, è di breve durata e fornisce informazioni essenziali. La prostata è facilmente visualizzabile inserendo per via rettale una sonda endocavitaria, che permette uno studio anatomico e strutturale dettagliato. Con gli apparecchi di ultima generazione e con sonde adeguate si possono evidenziare tumori anche di pochi millimetri. Studi statistici hanno rilevato che circa il 70% dei carcinomi sono localizzati nella zona periferica per lo più posteriore e si presentano come aree ipoecogene (più scure) rispetto alla restante struttura della ghiandola. Esiste una certa percentuale di carcinomi (25-30%) che hanno una struttura molto simile a quella della prostata (isoecogeni) e che quindi non sono facilmente evidenziabili con la sola ecografia pelvica. Negli stadi più avanzati le aree di neoplasia tendono ad essere iperecogene (più chiare) rispetto alla ghiandola, per verosimile aumento della componente fibrosa. L'ecografia permette di valutare l'interessamento capsulare e/o delle vescicole seminali, importanti elementi prognostici.

Agobiopsia

Istologia e Grading

Il concetto di grading, che vale per tutta l’anatomia patologica delle lesioni neoplastiche, assume nel caso del carcinoma prostatico un’importanza ancora maggiore dal punto di vista operativo.

Istologicamente la forma più frequente è: l’Adenocarcinoma

Nel caso dell’adenocarcinoma della prostata un discorso importante è quello relativo allo SCORE di GLEASON che è in funzione delle caratteristiche citologiche delle cellule dell’adenocarcinoma della prostata e soprattutto dell’organizzazione ghiandolare o meno. Vengono riconosciuti cinque diversi pattern:

Le situazioni cliniche più frequenti sono 6 - 7. Lo score di Gleason assume un’importanza fondamentale nel condizionare le scelte prognostiche perché mettendo insieme lo score di Gleason, lo stadio di malattia e il valore del PSA è possibile costruire dei veri e propri fattori di rischio, di malattia metastatica assente, per esempio, e di esito clinico del trattamento in termini di probabilità di guarigione, con situazioni più favorevoli (malattie intracapsulari con PSA al di sotto di determinati valori e con dei Gleason score ben differenziati).

Classificazione TNM del carcinoma prostatico (UICC 2002)

T1 Tumore clinicamente non apprezzabile, non palpabile né visibile con la diagnostica per immagini

T1a Tumore scoperto casualmente nel 5% o meno del tessuto asportato

T1b Tumore scoperto casualmente in più del 5% del tessuto asportato

T1c Tumore diagnosticato mediante agobiopsia (ad esempio, a causa del PSA elevato)

Tumore limitato alla prostata

T2a Tumore che interessa la metà o meno di un lobo

T2b Tumore che interessa più della metà di un lobo ma non entrambi i lobi

T2c Tumore che interessa entrambi i lobi

T3 Tumore che si estende attraverso la capsula prostatica

T3a Estensione extraprostatica (mono o bilaterale)

T3b Tumore che invade la/e vescichetta/e seminale/i

T4 Tumore fisso che invade strutture adiacenti oltre alle vescichette seminali: collo della vescica, sfintere esterno, retto, muscoli elevatori e/o parete pelvica.

Prognosi

La prognosi del carcinoma prostatico localizzato è strettamente correlata allo stadio, al grado e ai livelli di PSA. Sono stati sviluppati nomogrammi che combinano questi tre fattori fornendo una valutazione prognostica più accurata. Globalmente, la sopravvivenza a 5 anni dei pazienti con carcinoma prostatico localmente avanzato è intorno al 40%, mentre quella dei pazienti con malattia disseminata è di circa il 20%. Bisogna, tuttavia, considerare che gli esami attualmente disponibili (DRE, ecografia, RM) per valutare lo stadio clinico non consentono di determinare in maniera accurata l’estensione patologica della neoplasia e che il cancro della prostata è così eterogeneo da rendere difficile una corretta previsione del suo potenziale biologico. Come riportato in precedenza, l’incidenza del carcinoma istologico è maggiore di quella del carcinoma clinico suggerendo che non tutti i tumori istologici evolvono verso una malattia clinicamente evidente. Il ricorso sempre più frequente a resezioni trans-uretrali per ipertrofia prostatica benigna comporta un incremento della diagnosi di carcinoma incidentale, mentre altri tumori prostatici vengono diagnosticati in seguito a biopsia effettuata per semplice elevazione del PSA. Il risultato di queste procedure è una diagnosi in eccesso di neoplasie prostatiche che di fatto vengono trattate, ma che potrebbero essere clinicamente senza significato. Si è, pertanto, fatto ricorso a vari altri metodi nel tentativo di definire meglio il potenziale biologico della neoplasia. Dei vari parametri finora usati (volume del tumore primitivo, ploidia, Ki67, p.53, E-caderina, densità dei microvasi), nessuno si è rivelato utile al fine di aumentare l’accuratezza della valutazione prognostica dei pazienti con malattia localizzata.

Trattamento

Le opzioni terapeutiche sono di tipo:

-Chirurgico

-Radiante

-Farmacologico

Terapia chirurgica

Con la prostatectomia radicale (PR) si rimuove in blocco la ghiandola prostatica e le vescicole seminali ed è attualmente considerata il "gold standard" per la cura del tumore prostatico localizzato, per le elevate percentuali di guarigione. Sebbene il miglioramento della tecnica chirurgica (ad esempio tecnica "nerve-sparing") abbia consentito una riduzione delle complicanze post-chirurgiche, la loro frequenza e l'impatto sulla qualità della vita dei malati, impongono una accurata selezione dei pazienti. Indubbiamente, nel corso degli ultimi anni, i criteri di selezione dei pazienti da sottoporre a prostatectomia radicale sono diventati più stringenti, anche grazie all’uso di nomogrammi predittivi dello stadio di malattia. Tuttavia, dai dati di letteratura si evince che tra il 14% ed al 41% dei pazienti operati presentano coinvolgimento dei margini chirurgici all’esame patologico definitivo. Di questi pazienti il 33-62%, presenta una ricaduta biochimica. Peraltro, la probabilità di ricaduta locale nei pazienti con margini chirurgici positivi è di circa il 50%, e il trattamento radiante post-operatorio, dai dati di letteratura disponibili, riduce tale rischio di oltre il 50%.

Risultati: Dopo prostatectomia radicale sono riportate sopravvivenze libere da malattia a 15 anni intorno all’85% in media. Dopo tale intervento, il PSA sierico non dovrebbe essere più dosabile. La persistenza di livelli dosabili di PSA è indice di mancata radicalità dell’intervento. La ricomparsa di livelli dosabili di PSA è espressione di ricaduta della malattia. Pertanto, la progressione biochimica è il miglior indice per valutare il controllo della malattia e varia dal 77% all’83% a 5 anni. Le percentuali di progressione sono in rapporto allo stadio clinico, al punteggio di Gleason relativo alla biopsia ed ai livelli di PSA prima dell’intervento. Dopo la prostatectomia, il fattore prognostico più importante è lo stadio patologico.

Radioterapia

L’impiego della radioterapia nel trattamento del carcinoma della prostata risale a molti anni fa. Già negli anni venti, in Francia e negli Stati Uniti, venivano riferiti risultati eccellenti nella grande maggioranza dei pazienti sottoposti, per lo più con intento palliativo, a tecniche interstiziali con preparati di radium. Successivamente, negli anni trenta, iniziarono a comparire rendiconti sull’uso della radioterapia esterna a titolo postoperatorio od esclusivo. Dalla metà degli anni ‘50, con la disponibilità delle alte energie, l’irradiazione transcutanea conosce un ulteriore sviluppo sino a diventare l’approccio terapeutico più frequentemente utilizzato. I progressi tecnologici degli ultimi anni, e l’impiego della TC nella fase di pianificazione per una più precisa individuazione del volume bersaglio, hanno infine consentito di realizzare la radioterapia conformazionale, con studio e controllo tridimensionale della distribuzione della dose, i cui risultati consentono di proporre l’irradiazione come realmente alternativa alla chirurgia.

ORMONOTERAPIA

L’obiettivo del trattamento ormonale con deprivazione androgenica prima del trattamento chirurgico a scopo neoadiuvante è quello di ridurre l’estensione locale della neoplasia per aumentare la probabilità di ottenere margini di resezione negativi. In effetti, vari studi hanno dimostrato che la percentuale di margini positivi può essere ridotta di più della metà (dal 40% al 17%) con la soppressione degli androgeni, che è in grado di ridurre i livelli di PSA in > 90% dei casi e il volume della prostata in circa il 35% dei pazienti. Tuttavia il suo impatto sul controllo locale e soprattutto sulla sopravvivenza rimane da definire. Più consistenti sembrano essere i dati relativi all’efficacia della combinazione tra ormonoterapia e radioterapia, anche sulla base di dati sperimentali estrapolati da modelli animali. Le ragioni che possono spiegare questo effetto sinergico sono molteplici: dalla riduzione del numero delle cellule clonogene e del volume ghiandolare con incremento dello stato di ossigenazione del tumore, all’aumento delle cellule rimosse dal ciclo con riduzione dei fenomeni di ripopolamento cellulare durante la radioterapia oltre ad un vero e proprio effetto additivo sui meccanismi di induzione dell’apoptosi. L’ormonoterapia si basa, sulla eliminazione dell’azione degli androgeni. Ciò può essere ottenuto con vari metodi riconducibili alla soppressione/inibizione della produzione di androgeni e inibizione dell’azione degli androgeni.

Inibizione dell’azione degli androgeni.

Gli antiandrogeni competono con gli androgeni a livello dei recettori per gli androgeni. Si distinguono in antiandrogeni puri e antiandrogeni steroidei. Antiandrogeni puri. Questi antiandrogeni (flutamide, niluta. mide, bicalutamide) competono con i recettori per gli androgeni anche a livello ipotalamico e ciò è percepito come un deficit di androgeni. Viene, pertanto, rilasciato più LHRH con conseguente aumento di LH che determina un incremento di testosterone. Per tale motivo, la spermatogenesi e la libido non sono inibite o lo sono solo parzialmente. Antiandrogeni steroidei. Il prototipo di questi agenti è il CPA che, oltre all’azione periferica a livello recettoriale, possiede un’azione centrale che determina una riduzione dei livelli sierici di testosterone.

Blocco androgenico completo

Al fine di neutralizzare l’azione degli androgeni extratesticolari, è stato proposto il blocco andrugenico completo, realizzabile mediante castrazione chirurgica o chimica (analoghi dell’LHRH) in associazione ad antiandrogeni. Sebbene tale approccio sia da molti consigliato, gli studi effettuati non hanno conseguito risultati univoci. Una meta-analisi di 9 studi randomizzati è giunta alla conclusione che l’associazione di un analogo della LH-RH e flutamide conferisce un vantaggio del 10% in sopravvivenza rispetto alla castrazione convenzionale.