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L'etica non si sposa con le mode

Che cosa vendiamo?

Sovente, nelle palestre e nei centri sportivi, centri estetici o di terapie cosiddette alternative, assistiamo impotenti ad una commovente e ingenua “commedia dell’arte”, nella quale si spacciano per innovative, rivoluzionarie e straordinarie, molte metodiche e tecniche definite “alla moda” o “di grido”, sempre – ovviamente – importate dall’estero (…). Troppo sovente, altro non sono che improvvisazioni dell’ultima ora, pessime caricature – a volte nocive – proposte da individui senza alcuna preparazione e, talvolta, senza il minimo scrupolo.
E’ pertanto nostro dovere saper riconoscere gli impostori e smascherare i molti saltimbanchi: per fare questo, occorre conoscere, informarsi, studiare, oltre ad un’etica professionale inappuntabile.
E, soprattutto, riacquistare a tutto tondo il significato dei termini che usiamo. Termini chiari e ben precisi, ma il cui significato viene depredato per interesse personale.
Le stesse pratiche sono rivolte a tutti e nei casi bisognosi di terapia possono essere sviluppate in senso specifico o ancora essere impiegate secondo la “terapia del non terapeutico”, assumendo, o no, in un secondo tempo il ruolo di terapia propriamente detta.
Questo è un terreno molto delicato che richiederebbe una valutazione oculata delle diverse situazioni in cui l’individuo si viene a trovare. Succede spesso che ci si rivolga a percorsi corporei attraverso scelte casuali o sollecitati da amici e parenti.
Succede inoltre che non sempre le organizzazioni che offrono tali occasioni siano in grado di svolgere un compito presentato con intenzioni terapeutiche. Si può ancora osservare che pur se non sempre il “terapeutico” promesso è realizzato, quando l’individuo vi crede, può servirgli da terapia non specifica.
Qui si vuole richiamare l’attenzione su un dato che salta agli occhi con gran evidenza: in ogni città pullulano le proposte di questo tipo fatte nei contesti più diversi, mentre sappiamo con certezza che sul campo non vi è un numero corrispondente di scuole di formazione e che il percorso formativo avviene per gran parte attraverso corsi troppo brevi per poter “formare” operatori in grado di gestire percorsi terapeutici (e ci sarebbe da discutere a lungo su quale tipo di formazione …).
Si fa riferimento a quelle pratiche individuali o di gruppo che si effettuano su di una base e con un contributo di movimento e percezione di funzioni specifiche, e/o di ricerca di detensione muscolare e percezione profonda distrettuale o globale, mentre pare opportuno lasciare da parte tutte quelle tecniche esclusivamente mentali sviluppate come psicoterapia individuale o di gruppo.
Non vogliamo fare una critica alla creatività che può svilupparsi ad opera dell’interesse suscitato da esperienze personali affascinanti (oggi, come si è già detto, non scevre da un pizzico di moda…). Vogliamo però esortare e richiamare a maggior coscienza professionale e soprattutto alla consapevolezza di lasciare la terapia a chi è veramente preparato ad effettuarla nei confronti di chi ha veramente bisogno di riceverla.