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La legge Gozzini prevede in base agli studi e ricerche di criminologia applicata ed alle statistiche dei risultati ottenuti la possibilità di un ampio ricorso alle misure alternative, ovviamente secondo le debite verifiche legate ai casi specifici ed ad una vera supervisione del comportamento e del miglioramento riadattivo del deviante.
La più gran difficoltà però riscontrata per mettere in atto le misure alternative è l’impercorribilità concreta dovuta alla mancanza di risorse e situazioni che rendono veramente percorribili le misure alternative stesse. Infatti, non è solo sufficiente trovare il lavoro, perché l’affidato deve essere inserito in un percorso formativo, relazionale-affettivo con continuo confronto e verifica dei risultati raggiunti
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D’altro canto le imprese che potrebbero fornire lavoro hanno grosse e giustificate perplessità ad assumere detenuti direttamente provenienti dalla detenzione, senza una garanzia d’impostazione della necessaria mentalità lavorativa, senza un’adeguata preparazione valoriale al reinserimento, senza un percorso specifico preparatorio, supervisionato da operatori specifici, con grandi capacità umane, relazionali e con esperienza specifica, che almeno in un breve percorso di due–tre mesi, a seconda dei casi, lavorino in modo continuativo al di fuori dell’azienda stessa. Infatti, per interagire in modo corretto, credibile e fiduciale nei confronti del mondo delle imprese occorre fare proprie con attenzione e scrupolosità delle ansie ed attese del mondo imprenditoriale, soprattutto nel contesto d’estrema difficoltà che attualmente sta attraversando. Inoltre per molti che potrebbero usufruire della misura alternativa alla detenzione configurata come “affidamento in prova”, che prevede il pernottamento al di fuori della struttura penitenziaria, vi è il grave impedimento della mancanza d’abitazione. Queste obiettive difficoltà motivano ampiamente l’esigenza di uno “spazio formativo” adeguato che risponda alle esigenze di formazione e rieducazione alla normalità, uscita dalla mentalità della carcerizzazione, acquisizione della necessaria credibilità nei confronti delle imprese disposte all’assunzione, garantisca a chi n’è sprovvisto un sostituto della vita familiare e del ricovero notturno con apposite “casa-famiglia” adeguatamente strutturate
Inoltre una tutela, assistenza, sostegno che si svolga al di fuori dell’ambiente aziendale, in luoghi e modi opportuni. La lunga esperienza pratica oltre che gli approfonditi studi che l’hanno analizzata, ha permesso all'Associazione Piazzale Speranza di porre le basi del presente progetto, che si presenta quindi d’estremo ed urgente interesse, rispondendo a bisogni urgenti e gravi, innovativo perché concretizza nel suo nucleo centrale gli studi e l’evoluzione sul concetto di “pena rieducante” e di “pena retributiva”, infatti, la pena può essere veramente “retributiva” se il soggetto deviante viene avviato, anche tramite lavoro retribuito, a specifiche attività di servizio alle persone in difficoltà a particolari servizi utili socialmente alla collettività.


Metodologia nel fare “rete” con ampio network di riferimento
Questo è lo spirito del presente progetto, le cui basi analitiche ed esperienziali si allargano ad una rete d’operatori, consulenti, ricercatori, che vanno dai Direttori d’Istituti di Pena, al personale delle rieducazione, alla Polizia Penitenziaria, agli Operatori territoriali d’accoglienza, ad exdetenuti sommati all’esperienza di progetti già felicemente portati a termine con ottimo esito.
Basti ricordare l’esperienza compiuta dall'Associazione Piazzale Speranza attraverso il “progetto pilota” Speranza ed il progetto d’operativa territoriale “Ancora”.
La caratteristica di questi progetti e della metodologia che n’è la base sistemica è l’attenzione a seguire nei loro bisogni di reinserimento gli exdetenuti e le eventuali misure alternative nella loro reale consistenza numerica.
In sostanza l’orientamento progettuale seguito da Piazzale Speranza è curarsi, oltre che della qualità scientifica dei servizi proposti e della corretta impostazione metodologica, del gran numero dei soggetti bisognosi che al termine della detenzione sono praticamente abbandonati a se stessi, in gravi situazioni angoscianti che mettono in grave pericolo di tornare a delinquere.
Altrettanto vi è l’indirizzo a considerare e supportare la percorribilità dei numerosi casi di misure alternative che rimangono disattese per mancanza di risorse che ne permettano l’applicazione concreta.
Quindi la scelta di base che indirizza la progettualità di Piazzale Speranza ed il suo sforzo concreto di solidarietà nel servizio al mondo del disagio del “pianeta carcere” si differenzia in modo innovativo rispetto ad altre opzioni progettuali che hanno proposto l’inserimento di un limitato numero di soggetti.
Il lavoro di rete che è stato la premessa per la preparazione scientifica e sistemica del presente progetto è un esempio di collaborazione a lungo termine di diverse fonti d’esperienza legate a diverso titolo e con ruoli differenziati, al mondo delle strutture penitenziarie e della gestione della pena e del reinserimento alla normalità.
Si cita il lungo lavoro di preparazione ad un’ampia progettualità sistemica che poi ha prodotto il Progetto Ancora.
Esso ha prodotto un tavolo di lavoro presso l’Assessorato alle Politiche sociali della Città di Torino, cui, oltre all’Assessore dr. Stefano Lepri ha partecipato il Direttore della Casa Circondariale dr. Castoria Vincenzo, funzionari delle Asl ed esperti. L’operatività di questo tavolo di lavoro ha portato poi ad alcuni risultati concreti quali: l’apertura dello “sportello carcere” e l’intenzione di allestire accoglienza in alloggio di circa 15 giorni rivolte ad utenti con problematiche indifferenziate per poi dirottarli ad altri servizi
Il lungo lavoro di preparazione che ha portato al progetto di comunità di lavoro Dis.Agri:
per inserimento lavorativo in produzioni agricole e orticole
per prodotti in settori articoli altamente specializzati ed al Convegno di presentazione avvenuto il 20 febbraio 1999 e che ha portato il Progetto stesso presso il Governo, Ministero di Grazia e Giustizia per il finanziamento.
Parteciparono il Vice Presidente della Giunta della Regione Piemonte dr. Antonio Masaracchio, gli Onorevoli Sandro Del Mastro ed Alemanno; si fece notare in particolare interessamento dell’allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, il Direttore delle Strutture penitenziarie d’Asti ed Alessandria dr. Buffa, parecchi Operatori Ministeriali, Ispettori di Polizia Penitenziaria, il Segretario nazionale del Sindacato di polizia, medici operanti all’interno delle Vallette, psicologi e personale ministeriale, Cappellani, professori di diverse materie, ricercatori universitari tra cui il dr, Arioli estensore del progetto tecnico.
Il Progetto già operativo da cinque anni denominato:“Carovana della Speranza “.
Esso ha originato un movimento a livello nazionale d’umanizzazione delle carceri e per il reinserimento degli exdetenuti. L’indirizzo di questo progetto, già operativi da oltre cinque anni, si orienta in due direzioni precise:
sensibilizzazione culturale a livello nazionale rivolta, tramite l’opera di una parte della Polizia Penitenziaria, ad umanizzare ed elevare le dimensioni relazionali e rieducativo-dinamiche del sistema penitenziario, elevando altresì il ruolo della polizia, a vero soggetto attivo nella rieducazione;
Proposta ed impegno per recuperare spazi per l’accoglienza a chi esce dalle strutture penitenziarie a fine pena e per rendere percorribili le misure alternative e per avviare veri percorsi formativi per l’avviamento al lavoro ed alla normalità.
La “Carovana della Speranza” ha originato un movimento che ha avuto sostenitori ed incoraggiamento dal Capo dello Stato il Presidente della Repubblica italiana, a senatori e deputati della Repubblica, agli Assessori ed Amministratori della Regione Piemonte ed ella Città di Torino a personalità di pensiero, Direttori d’Istituti di pena, operatori del Ministero di Grazia e Giustizia, della Polizia Penitenziaria e del suo Sindacato Nazionale.
Sempre come riferimenti progettuali nati da queste impostazioni sistemiche e da quest’impianto ampiamente trasversale e coinvolgente una rete d’esperienze e contributi, i loro network veramente unica e ponderosa, a livello sia accademico, scientifico che esperienziale ad alto livello politico, amministrativo, manageriale ed operativo d’impatto diretto si annovera il progetto pilota “Progetto Speranza”.
Esso nasce da un’analisi compiuta nella Città di Torino sulla situazione in cui avvengono le uscite dalle Case Circondariali Le Vallette e Le Nuove al termine della pena. Si sono anche analizzate situazioni di disperazione che hanno portato al suicidio sia durante la pena sia soprattutto in prossimità delle dimissioni dall’istituto penitenziario. Una lunga attività d’affiancamento diretta di casi di exdetenuti sia in situazioni di fine pena, sia in fase di richiesta di misure alternative, sia all’interno delle strutture penitenziarie ha portato alla sistematizzazione dello studio di base per un progetto “pilota” durato circa due anni nella sua operatività concreta in mezzo a difficoltà d’ogni sorta, a volte addirittura impensabili e superate con gran difficoltà anche strutturali, legate a spazi lesinati ed insufficienti, carenze di coperture economiche, esiguità d’operatori, totalizzando uno sforzo pesante, che esige maggior sostegno sia in termini di spazi sia di copertura di spesa da parte delle Amministrazioni. Infatti in questa opera ci si scontra contro una serie di difficoltà in cui Piazzale Speranza ha dovuto fare troppe volte da supplenza non adeguata alle carenze strutturali del sistema di reinserimento che aldilà delle impostazioni legislative e orientative non scendeva direttamente in campo e preferisce utilizzare le “risorse del volontariato”. A questo riguardo, pur seguitando a fare attività di sostegno e supplenza lì dove vi sono carenze strutturali, si chiede, in fase di revisione di tale progetto, da parte di Piazzale Speranza, maggior sostegno e maggior spirito collaborativo: intanto come “spazi operativi”: non si può infatti contenere persone in vere e proprie comunità lavorative e valoriali senza spazi adeguati e congrui. Inoltre come risorse economiche si chiede la copertura totale di spesa, essendo un servizio che dovrebbe essere assolto dallo Stato per problematiche che in sé sono estremamente gravi e che se risolte, hanno un impatto diretto su problemi gravissimi come l’ordine pubblico e la lotta alla criminalità. La lunga esperienza di contatto diretto con le situazioni che sono obiettivo del presente progetto sistemico ci fa scontrare con dati statistici che disegnano la drammaticità della situazione dei reinserimenti o della fatica che s’incontra per avviare nel concreto le misure alternative alla carcerazione.
Analizzando per fasce differenziali i dimessi dal carcere con un tempo medio di detenzione superiore ad un anno di condanna si trovano le seguenti “fasce tipologiche”:

60% Politossicodipendenti con reati di furti, scippi, rapine

18% Extracomunitari con reati per la sopravvivenza

25% Nati in Italia con reati non legati al mondo delle dipendenze oppure con reati amministrativi

Procedendo per analisi differenziale