L'inserimento scolastico degli alunni immigrati
Abstract Introduzione Secondo il MIUR, la distribuzione geografica ha riguardato più le regioni del Centro-Nord che quelle del Sud, nelle quali, le nazionalità maggiormente diffuse sono quella albanese, marocchina ed ex jugoslava; in aumento sono anche gli studenti provenienti da Romania ed Equador. Questa nuova realtà multietnica e multiculturale pone delle difficoltà sia sul versante economico-sociale, sia su quello culturale. Qualsiasi progetto di integrazione comporta interventi in campo formativo, necessari per ricostruire le basi culturali che occorrono per una convivenza civile tra autoctoni e immigrati. Contenuto - la mancanza di conoscenza; - la convinzione che il gruppo a cui sentono di appartenere sia comunque migliore della maggior parte degli altri gruppi. La diffidenza verso chi non si conosce, che secondo la psicologia sociale è un aspetto del tutto naturale riguarda anche i bambini. Il pregiudizio nella prima infanzia, dovrebbe essere valutato considerando sia i fattori emotivi e affettivi che quelli cognitivi che partecipano alla nascita e alla riduzione di esso (Aboud, 1988). Alla luce dei problemi con i quali si scontrano tutti i giorni gli immigrati nel nostro paese, proviamo ad immaginare il vissuto di un bambino straniero che viene iscritto presso una scuola italiana, ipotizzando le difficoltà che dovrà affrontare prima di riuscire ad inserirsi nel gruppo dei suoi compagni di classe. Gli alunni del posto potrebbero non approvare l’inserimento (nel loro gruppo già formato) del nuovo compagno, a prescindere dal comportamento corretto o scorretto di quest’ultimo. Se questa fosse la loro scelta dimostrerebbero di essersi basati su una certa diffidenza verso il bambino che non conoscono ancora. La diffidenza a priori che manifestano verso il soggetto sconosciuto non è quindi legata a qualcosa di effettivamente riscontrabile in lui e si deve probabilmente ad una emulazione dell’atteggiamento dei loro adulti di riferimento, stando ad alcune teorie, mentre secondo altre non dipende da essa perché invece i bambini assorbirebbero positivamente dal loro contesto sociale l’atteggiamento etnico dominante, anche se i genitori hanno un ruolo decisivo nella sua definizione. Queste ultime teorie sarebbero spiegate con la diminuzione del pregiudizio con la crescita ( lo sviluppo cognitivo verso i sette anni d’età) e dall’assenza di correlazione tra il pregiudizio dei figli e quello dei genitori. Quei compagni che sono un pò ritrosi verso la possibilità di fare amicizia con i bambini stranieri, o li isolano a priori, escludendoli da subito dalle loro amicizie, oppure attuano comportamenti scorretti dimostrando insofferenza verso il loro disagio. Come abbiamo visto in precedenza, secondo un’ importante teoria della psicologia sociale, il comportamento dell’individuo influenza il comportamento degli altri e ne è influenzato. Percependo gli altri, l’uomo cerca di spiegarsi dal loro comportamento le loro intenzioni, personalità e dalle sue rappresentazioni del mondo si generano a volte pregiudizi e stereotipi. Il pregiudizio viene inteso come un giudizio dato prima di poter avere una conoscenza adeguata della questione (G. Allport). L’uomo pensa per categorie astraendo e generalizzando i concetti. La generalizzazione però inizia a diventare un’operazione logica scorretta quando: - la si inferisce da pochi casi conosciuti o conosciuti non direttamente; - la si applica poi a ogni singolo caso di quella categoria. Le categorie del pregiudizio sono gli stereotipi, cioè le caratteristiche rigide e irreversibili che, in base alla generalizzazione errata, vengono estese al gruppo e, all’interno di esso, a ogni singolo individuo. La motivazione del pregiudizio viene attribuita da molto teorici alla sfera-affettiva, a un contenuto di desiderio ( attrazione o repulsione verso un gruppo) che influenza il procedimento di pensiero. Sempre secondo quest’ultima teoria, l’ostilità per un gruppo diverso da quello con cui ci si identifica ha la funzione di rendere più coeso il gruppo del soggetto, parte cioè dal bisogno di proiettare all’esterno (nel gruppo estraneo) tutti gli aspetti negativi e aggressivi che si non vogliono riconoscere nel proprio gruppo, ecc. Allora, nel pregiudizio sociale verso gli immigrati l’ostilità viene diretta su di loro perché costituiscono un gruppo minoritario e quindi più debole, facilmente attaccabile. La formazione del pregiudizio in epoca infantile non si può impedire. Gli esseri umani sin dalla nascita devono fronteggiare al meglio molte situazioni diverse, per questo sviluppano precocemente la capacità di organizzare la realtà in categorie ( genere, età, razza, etnia, ecc.) mostrando sin da piccolissimi atteggiamenti pregiudiziali. Con la crescita, dopo gli otto anni d’età, le capacità cognitive progressivamente acquisite dal bambino e la strutturazione del mondo fisico e sociale con cui entra in contatto dovrebbero consentirgli di uscire dal pensare rigidamente per categorie fisse (raggruppando solo ciò che è simile e separando ciò che è diverso), sviluppandogli una maggiore flessibilità di pensiero. Con il principio di flessibilità il bambino inizia a percepire stimoli nuovi alla luce delle preesistenti categorie, considerando oltre alle somiglianze anche le differenze che questi possono presentare. Svilupperà la capacità di classificazione multipla che consiste nel dividere le persone in più categorie simultaneamente e in modo flessibile superando la sola capacità di raggruppare ciò che è simile e separare ciò che è diverso (riguardo le caratteristiche degli oggetti, delle persone, ecc.). Tornando ad analizzare le difficoltà attraversate da un ipotetico alunno immigrato, non italiano, il fatto che le sue origini siano sconosciute provoca negli altri bambini autoctoni una naturale diffidenza (che dovrebbe sparire successivamente) che in qualche misura riceve probabilmente l’influenza dell’ atteggiamento etnico dominante nel loro contesto sociale La scuola può proporre metodi capaci di rieducarli affinché ristrutturino il loro modo di percepire e giudicare l’immigrato e possano riuscire a costruire insieme un percorso comune fatto di amicizia e collaborazione. Come può prospettarsi l’integrazione dell’alunno immigrato? L’alunno straniero che viene iscritto ad una classe per lo più composta da alunni di un’altra nazionalità , avrà un tipo di integrazione che sarà influenzata da questi principali fattori: - l’età dei bambini e il loro sviluppo cognitivo; Possono essere diverse le risposte alla iscrizione presso la nuova scuola, che il bambino può Conclusione - favorire le relazioni interpersonali basate sulla conoscenza reciproca; I contenuti che si possono utilizzare per il lavoro di gruppo dipenderanno anch’essi dalle scelte degli insegnanti e da eventuali idee proposte dai bambini di quella data classe. Come si può attuare in una classe un progetto finalizzato ad avvicinare gli autoctoni alla conoscenza dei loro compagni immigrati? Si può organizzare ad esempio un circle-time sulle difficoltà relazionali che avranno reso poco serena la vita in classe e che si ripercuotono nei rapporti scuola-famiglia; - si può proseguire chiedendo agli alunni di individuare le circostanze in cui si verificano le - si può decidere di far scrivere una breve storia sulle possibili difficoltà incontrate da un bambino che deve lasciare la propria nazione, magari immaginando di essere al suo posto; - infine si possono leggere i contenuti dei testi prodotti, farli illustrare graficamente e lasciare che gli alunni aggiungano loro eventuali commenti allo scopo di vedere se si rendono conto del disagio che si prova quando si è costretti ad abbandonare il proprio Paese. Dunque, l’accoglienza del nuovo arrivato può includere un’ analisi dei suoi bisogni e l’opportunità di rendere nota agli altri alunni la storia del suo Paese di provenienza, delle tradizioni e ricorrenze che lo caratterizzano allo scopo di valorizzare la sua cultura; a tutto ciò si può aggiungere l’utilizzo di attività ludiche di gruppo (giochi sociali già noti o ideati e adattati dagli insegnanti, ecc.) che contribuiscano a favorire il rispetto reciproco e la collaborazione. Secondo un’ottica più ampia, le esperienze di contatto e conoscenza reciproca, tra etnie diverse, come hanno dimostrato i risultati di varie ricerche psicosociali, possono ridurre il pregiudizio e rendere possibile la cooperazione tra autoctoni e immigrati: allora, trasferire queste conoscenze al lavoro scolastico potrebbe favorire risultati efficaci anche nelle relazioni amicali tra bambini di etnia diversa. Col procedere dell’anno scolastico, l’alunno straniero che inizialmente si può essere trovato a disagio se ha sperimentato l’insofferenza dei compagni e la difficoltà di farsi accettare, grazie alle collaborazioni scuola- famiglia- enti locali, e alla didattica mirata a facilitare il suo inserimento in classe, percepirà una maggiore appartenenza al gruppo e inizierà a vivere con più serenità il suo percorso scolastico, consapevole di aver trovato nuovi amici che stanno imparando a rispettarlo e a comprenderlo. Dott.ssa Margherita Scorpiniti L’inserimento scolastico degli alunni immigrati Roma, 30 Marzo 2007. Bibliografia di riferimento Giannini, L. (2005) La collaborazione tra scuola e famiglia in chiave interculturale, G.V. Alunni stranieri nella scuola italiana, www.indire.it ( www.csa.fi.it/areainterculturale/alunni_stranieri_2.html ) Mazzara, B.M., Appartenenza e pregiudizio- Psicologia sociale delle relazioni interetniche, Roma, La Mazzara, B.M. (1997). Stereotipi e Pregiudizi. Il Mulino, Bologna, 1997 Pittau, M. Educazione Interculturale, www.utopie.it Scorpiniti, M. (2006), Collaborazione Scuola- Famiglia: “alleanza educativa o rischio di ingerenza”? |