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Porta a porta e trattamento biologico per evitare nuovi inceneritori

E’ una bugia affermare che dopo raccolte differenziate spinte con il porta a porta non ci siano alternative alla costruzione di nuovi inceneritori di rifiuti. Come dice il falso chi afferma che gli inceneritori eliminano le discariche. O non conoscono la materia, o mentono perché “interessati”. Per dimostrarlo industrialmente prima che dal punto di vista ambientale e sanitario, abbiamo intervistato Francesco Galanzino, imprenditore, vice presidente del Consorzio Italiano Compostatori, Presidente del Comitato Piccola e Media Industria dell’Unione Industriale di Alessandria ed in passato presidente Nazionale del Comitato Ambiente Energia e Sviluppo del Movimento dei Giovani Imprenditori di Confindustria. Galanzino spiega ai lettori di Reggio nel Web come funziona un ciclo integrato di “raccolta porta a porta più trattamento biologico senza costruire nuovi inceneritori”.
Francesco Galanzino è vero che non ci sono alternative alla costruzione di nuovi inceneritori?

Assolutamente no, specialmente in realtà non metropolitane. Come si può fare? Tramite un ciclo integrato che comprenda, da una parte la raccolta differenziata porta a porta, -quindi raccolte differenziate spinte che arrivino poniamo al 65-70% ed anche oltre-, e dall’altra impianti di compostaggio per l’organico e per lo smaltimento della parte non riciclabile il trattamento biologico. Come funzionano questi impianti che trattano rifiuti non riciclabili senza bruciarli? Ci sono impianti sia aerobici che anaerobici che biostabilizzano questi rifiuti con processi che di fatto essicano la parte non riciclabile eliminando la parte putrescibile. Si lavora a temperature dai 40° a 60° cioè senza bruciare, e quindi evitando le emissioni proprie degli inceneritori. L’aria viene trattata con biofiltri. Ci sono impianti di trattamento biologico che producono anche biogas. Negli inceneritori ogni 100 tonnellate che si bruciano -oltre a ciò che si immette in aria sotto forma di nanopolveri prodotte dalle alte temperature, diossine e altre sostanze nocive- rimangono circa il 30% di ceneri tossiche da stoccare in discariche speciali per rifiuti tossici. Con il trattamento biologico quanto e cosa rimane? La massa di ciò che entra a trattamento biologico cala del 40%. Quindi se faccio entrare ad esempio 100 tonnellate di rifiuti inorganici non riciclabili alla fine avrò materiale compatto, biostabilizzato e non putrescibile pari a 60 tonnellate. Ma non brucio niente di questi materiali. Cosa possiamo fare della parte che resta? La sì può non bruciare? Sì. Ci sono diverse vie. Essendo materiale stabilizzato, non putrescibile, può essere stoccato in discariche normali più piccole. Può anche essere mischiato a torba per ricoprire discariche avendo un impatto bassissimo a livello ambientale rispetto ai rifiuti putrescibili tal quali immessi nelle discariche o negli inceneritori. Una ditta tedesca che produce impianti di trattamento meccanico biologico suggerisce un possibile impiego-riciclo del materiale trattato biologicamente come componente per le costruzioni stradali, ad esempio barriere anti-rumore isolate e ricoperte con torba ai lati di grandi arterie (autostrade, tangenziali etc). Visto il basso impatto del materiale biostabilizzato è possibile, anche se questo utilizzo è ancora molto ridotto a livello di mercato. C’è anche una terza via legata al trattamento biologico, poco amata dagli ambientalisti: il cosiddetto cdr (combustibile da rifiuti)… Sì, per la parte con più alto potere calorifico si può anche creare del cdr (combustibile da rifiuto) utilizzabile in cementifici che comunque esistono già e nella peggiore delle ipotesi in altri inceneritori già esistenti (in Emilia Romagna ne abbiamo 9 ndr), evitando comunque la costruzione di nuovi forni. A livello europeo il trattamento biologico viene utilizzato? Certamente. Diversi impianti stanno per essere realizzati in Grecia, ve ne sono sempre di più in Germania ed in Svezia, e tutti rientrano nelle migliori tecniche per rispettare le rigide normative europee sulle discariche. In Germania ad esempio una nuova legge prevede che in discarica finiscano solo il materiale trattato o tramite metodo biologico o incenerimento. Passiamo ai costi. Se a Reggio si estendesse una raccolta differenziata spinta porta a porta a livello provinciale arrivando al 65%-70% di differenziata rimarrebbero circa 110-120.000 tonnellate circa da smaltire. Un nuovo inceneritore solo di costi di costruzione costa 120 milioni di euro circa. Quanto costerebbe invece costruire impianti biologici per trattare tali dimensioni? Per trattare 120.000 tonnellate sarebbero necessari impianti a due linee di trattamento biologico. Senza produzione di biogas il costo si aggirerebbe sui 20 milioni di euro, con produzione di biogas circa il doppio. Nella filiera delle raccolte differenziate spinte con il porta a porta un altro passo importante sono gli impianti di compostaggio per recuperare il materiale organico che diventerebbe poi compost di qualità per l’agricoltura. Anche qui ve ne sono di diversi tipi. Con o senza produzione di biogas. Un impianto che tratta i materiali da 3500 tonnellate costa circa 300.000 euro per la sola sezione primaria, circa un milione se chiavi in mano. Perché gli inceneritori frenano le raccolte differenziate spinte? Perchè per un inceneritore quel che conta è la quantità di materiale che si butta in essi. Il fatturato è in funzione della quantità; perchè, quindi, intercettare i flussi delle differenziate per fare riciclaggio e recupero? Tutto ciò è contro ad una logica di massimizzazione dei fatturati ottenibile con l’incenerimento di tutto ciò che è scartato dalla nostra società, anche se riciclabile o riutilizzabile. Chiudiamo parlando dei Cip6-Certificati Verdi, il sistema di finanziamento agli inceneritori e alle raffinerie spacciate per “fonti rinnovabili ed assimilate” e pagate dai cittadini nella bolletta Enel alla voce A3. Non è ora di abolire tali finanziamenti come chiede l’Unione Europea e puntare sulle altre fonti rinnovabili (sole, acqua, vento, biomasse)? Certo, sarebbe auspicabile la fine di questo meccanismo tipicamente all’italiana. L’Europa non considera i rifiuti non-biodegradabili (ndr: plastiche in “primis” la più ‘ricercata’ per gli inceneritori visto il suo potere calorifico, metalli, vetro, ma lo stesso C.D.R. e prodotti derivati dal petrolio e fonti fossili) fonti energetiche rinnovabili.