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Psicoterapia Bionomica: un metodo di psicoterapia analitica-olistica di riarmonizzazione psiche-soma

LA PSICOTERAPIA BIONOMICA: UN METODO DI PSICOTERAPIA PSICOANALITICA E OLISTICA DI RIARMONIZZAZIONE PSICOSOMATICA E DI SCOPERTA DEL SE' Estratto dal libro: "Psicoterapia Bionomico-Autogena e Io Immanente: una via verso l'armonia e l'individuazione del Sé", di Antonello Viola, Lulu.com editore, 2012. Johannes Heinrich Schultz (1884-1970) è stato il fondatore della tecnica del Training Autogeno e della Psicoterapia Bionomica (o Bionomico-Autogena) , un metodo psicoterapico basato su una concezione olistica e organismica della persona, e sui principi della bionomia e dell’ autogenicità . Schultz fu contempo­raneo dei massimi esponenti della psicologia del secolo scorso e di svariati ed eminenti autori dei più noti modelli psicoterapici, ancor oggi massimamente riconosciuti e ampiamente utilizzati nel mondo (per citarne solo alcuni, Freud, Jung, Adler, Rogers, Frankl). Fra essi, comunque, egli ha certamente il merito di aver sviluppato un metodo che pur mantenendo una connotazione essenzialmente psicodi­namico-analitica e di svelamento del pro­fondo, per l’epoca di cui parliamo (i decenni tra il 1920-1970) po­teva ritenersi del tutto innovativo: infatti il modello psicoterapico schultziano considerava l’individuo nella sua totalità , data dall’ unità psiche-soma e dall’ interazione dinamica con­scio-inconscio , e conferiva al paziente una posizione centrale nel processo terapeutico, basandosi sul principio fondamentale di au­togenicità . In tal senso Schultz, relativamente all’epoca di riferi­mento, detiene certamente il merito di essere stato un innovatore, avendo integrato nel suo modello psicoterapico elementi impor­tanti della psicoanalisi, della teoria dei sistemi, della neurofisiologia, e altri im­portanti aspetti teorici che successivamente sarebbero stati approfonditi e ampliati nell’ambito della medicina psicosomatica, della psicologia umani­stica, e più recente­mente nella psiconeuroendocrinoimmunologia. Schultz si laureò in medicina a Göttingen nel 1907, e si specializzò in psichiatria presso l’università di Jena nel 1915, insegnando suc­cessivamente psichiatria e neuropatologia nella stessa università. Negli anni successivi assunse un ruolo di diri­genza presso un sa­natorio di Dresda, mentre dal 1925 si stabilì a Berlino dove esercitò come psichiatra e assunse vari ruoli di prestigio come membro della “Società Medica per la Psicoterapia” e della “Società Tedesca per la Ricerca Psicologica e Psicoterapica”, e coeditore della rivista “Zentralblatt für Psychotherapie” (Giornale di Psicotera­pia). Du­rante quegli anni Schultz visse nel contesto di un tessuto socio­culturale soverchiato dall’ideologia nazista, da cui, nel suo ruolo medico sfortunatamente non poté si­curamente sottrarsi, dovendo soggiacere (per un certo periodo anche nell’orientamento e nello svolgimento della sua pratica professionale) come tanti altri tedeschi, alle suggestioni, alle pressioni ideologiche e alle angherie del regime. Tuttavia, durante i lunghi anni di pratica clinica, Schultz approfondì i suoi studi sull’ipnosi e sulle implicazioni neurofisiologiche dello stato ipnotico, riferendosi alle ricerche e alla letteratura dell’epoca e so­prattutto ai lavori del famoso neurofisiopatologo tedesco Oskar Vogt (1870-1959): i suoi studi decennali lo fe­cero approdare alla pub­blicazione del lavoro “ Über Schichtenbil­dung im hypnoti­schen Selbstbeobachten ” (Sulla stratificazione nell’introspettivo ipnotico, 1920), e più tardi nel 1926, alla relazione dal titolo “ Narkolyse und autogene Organ ü bungen ” (Analisi sotto narcosi ed esercizi d’organo autogeni) in cui già forniva una prima descrizione della procedura del Training Autogeno, concepito come processo d’immersione passiva dell’individuo che sprofonda nell’esperienza di distensione . Entrambi questi lavori contenevano sva­riati aspetti teorici introduttivi e precursori della prima edizione della sua opera principale “Das Autogene Training (konzentrative Selbstentspan­nung). Versuch einer klinisch-praktischen darstel­lung” , (Il Training Autogeno. Autodistensione Con­centrativa. Tentativo di una presentazione pratico-clinica) pubblicata nel 1932, con la quale l’autore formalizzava una tecnica che sarebbe poi dive­nuta la tecnica d’elezione del suo mo­dello psicoterapico bionomico-autogeno . La tecnica del Training Autogeno si sviluppa e si emancipa, come riconobbe lo stesso autore, da una serie di studi e di intuizioni dell’allora famoso ed eminente neurofisiopatologo tedesco Oskar Vogt , che dedicò un’ampia parte dei suoi lavori alla ricerca e all’esplorazione dei rapporti tra mente e corpo in ambito medico, alle ricerche sull’ipnosi, all’ipnoanalisi e il sonno, fornendo importanti lumi e dati scientifici sulle funzioni cerebrali implicate nei processi di autoregolazione psicofisiologica del sistema nervoso. Gli studi di Vogt per l’epoca di riferimento potevano considerasi assolutamente pionieristici, poiché suggerivano (come Schultz riuscirà successivamente a cogliere e ad argomentare nel suo modello teorico) che ciò che all’epoca veniva considerata la “dicotomia mente-corpo” in realtà era un’unica entità che non poteva essere indagata secondo i canoni della ricerca riduzionista e lineare, essendo l’individuo una globalità differente dalla semplice somma delle sue parti. Partendo da queste intuizioni, nel complesso del modello teorico sviluppato da Schultz, e successivamente ampliato e integrato dal suo più stretto collaboratore W. Luthe [1] , la tecnica del Training Autogeno sarà concepita come una forma di terapia psicofisiologica, nel contesto di un approccio psicoterapico indirizzato alle interconnessioni dinamiche tra mente e corpo (Schultz e Luthe, 1959) e dunque alla personalità concepita come un complesso altamente integrato, in cui elementi psichici e biologico-costituzionali risultano profondamente interconnessi e quindi inscindibili (Schultz, 1951). La conoscenza e l’applicazione dell'approccio autogeno, che inizialmente si diffuse prevalentemente nei paesi di lingua tedesca, successivamente si estese anche in Europa (soprattutto grazie ai più stretti collaboratori e allievi di Schultz, come Luthe, Wallnöfer, e in Italia Bazzi e Crosa , solo per citarne alcuni), come pure in Asia e in America, tanto che oggi in letteratura si può contare su una rilevante mole di studi e di ricerche riguardanti i vari aspetti, sia teorici che clinico-applicativi, della psicoterapia bionomico-autogena. I più eminenti allievi di Schultz, in particolare Luthe, Wallnöfer, Durand De Busingen, Kuhnel, Rosa, Thomas , contribuirono specialmente nel conferire al Training Autogeno un orientamento nella direzione catartica e analitica secondo i principi di Freud, Jung e Adler, e un’impronta psicagogico-pedagogica (Gastaldo e Ottobre, 1994). Oggi, rifacendoci alla definizione di uno dei più importanti allievi di Schultz, coerentemente allo spirito originario dello stesso autore fondatore, ma pure al contesto dei più recenti sviluppi e apporti paradigmatici, possiamo concepire la psicoterapia bionomico-autogena come « un metodo di derivazione prevalentemente fisiologica e neurofisiologica orientato secondo la psicologia del profondo, da abbinare a tecniche psicoanalitiche per conseguire le finalità dell’autoconoscenza, dell’autoevoluzione, della elaborazione delle resistenze, per raggiungere livelli profondi dell’umano essere » (Wallnöfer, 1978). L’utilizzo qualificato e professionale della psicoterapia bionomico-autogena, nell’esercizio delle sue tecniche fondamentali, è dunque essenzialmente improntato paradigmaticamente alla teoria psicodinamica e analitica: tuttavia i più recenti contributi ne evidenziano le importanti correlazioni con la teoria umanistica ed esistenziale, rimarcando l’importanza e la trasversalità del modello psicoterapico schultziano. Proprio nel contesto di quest’ampia cornice teorica, in una posizione paradigmatica centrale si colloca uno dei concetti introdotti da Schultz, quello di “ Io Immanente ”: intorno a questo costrutto sembrerebbe gravitare una buona parte dei principi basilari e delle tecniche bionomico-autogene. E proprio all’approfondimento del significato del concetto di “Io Immanente” con le sue correlazioni teoriche e le sue implicazioni psicoterapiche, intende essere dedicata l’intera trattazione di questo libro, che non si propone come un manuale di psicoterapia autogena o delle sue tecniche fondamentali, piuttosto come un’occasione di riflessione e di approfondimento intorno a una delle nozioni fondamentali della teoria psicoterapica schultziana. Il costrutto teorico schultziano di “Io immanente” detiene una valenza psicologica tuttora attualissima, occupa una posizione centrale nel modello bionomico e possiede una rilevanza trasversale da un punto di vista psicodinamico e umanistico-esistenziale, presentando profonde analogie con alcuni costrutti concettuali chiave dei rispettivi modelli teorici. Antonello Viola, psicologo-psicoterapeuta e ipnoterapeuta, si è specializzato in psicoterapia bionomica a Cagliari, presso la Scuola Superiore di Psicoterapia Bionomica "Formist". [1] Wolfgang Luthe (1922-1985) è stato il maggiore collaboratore di Schultz. Lavorò per lungo tempo a Montreal in Canada, e divenne poi direttore scientifico dell'Istituto "Oskar Vogt" (annesso all'Università "Kyushu" in Giappone) e docente di terapia psicofisiologica alla Facoltà Medica della stessa Università. A Luthe si deve la più puntuale, ampia e articolata sistematizzazione della metodologia autogena in chiave psicoterapica del secolo scorso, con l’approfondimento di una molteplicità di interessanti applicazioni cliniche. Secondo Luthe il Training Autogeno rappresenta la base e il pre-requisito di un gruppo di approcci autogeni di carattere psicofisiologico, che vanno a costituire quella che egli ha denominato "Terapia Autogena" (Brancaleone, 2010), e che ha presentato nelle sue varie e diversificate implicazioni, in sei volumi, i primi tre scritti in collaborazione con lo stesso Schultz (Luthe e Schultz, 1969) e gli altri successivamente alla morte del maestro (Luthe, 1970, 1973). I volumi pubblicati da Schultz e Luthe sulla terapia autogena, imposero all’attenzione del mondo anglosassone di lingua inglese, l’immensa quantità di ricerca e di lavoro clinico fino ad allora svolti su questa forma di terapia autoregolativa, all’epoca familiare a molti clinici europei ma praticamente sconosciuta nel nord America. Luthe certamente sarà sempre ricordato come l’autore che maggiormente ha contribuito alla conoscenza del Training Autogeno nei paesi di lingua inglese, e grazie al suo lavoro, per aver incorporato sistematicamente questa terapia nel contesto disciplinare della medicina psicosomatica (Stojva, 1986). Oltre ad avere il merito principale della iniziale diffusione internazionale delle idee di Schultz, Luthe contribuì direttamente a un certo numero di innovazioni personali, integrando il corpus della terapia autogena con alcune importanti tecniche, ancora oggi assolutamente uniche e caratteristiche della psicoterapia bionomico-autogena: puntualizzò e approfondì la tecnica della “ modificazione autogena ” partendo dalla concettualizzazione schultziana dei “ proponimenti ”, e introdusse la tecnica della “ neutralizzazione autogena ”, comprendente le due tecniche della “ abreazione autogena ” e della “ verbalizzazione autogena ”. La tecnica della neutralizzazione autogena, fondamentalmente concepita da Luthe come una procedura indirizzata alla normalizzazione della funzionalità del sistema nervoso centrale, oggi, nel più ampio contesto della psicoterapia bionomico-autogena e dei suoi più recenti sviluppi, viene proficuamente valorizzata e utilizzata con una valenza psicoterapeutica psicodinamica e di analisi del profondo. Nella sua vasta e articolata monografia, Luthe ha proposto una “visione complessiva” della Psicoterapia Autogena, nella quale quattro fondamentali tecniche possono intersecarsi e interagire in maniera complementare e funzionale: 1) la tecnica del Training Autogeno di base o somatico ; 2) la tecnica della Modificazione Autogena ; 3) la tecnica della Neutralizzazione Autogena ; 4) la tecnica del Training Autogeno Superiore o psichico-immaginativo . Tuttora, queste sono le 4 tecniche basilari della psicoterapia bionomico-autogena contemporanea, alle quali possono aggiungersi, secondo una visione metodologica più ampia, le fondamentali tecniche psicoanalitiche e alcune tecniche mediate dalla psicoterapia immaginativa e umanistico-esistenziale. .

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