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Per un museo



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Per un museo


(da MARCO MONDI, Per un museo "al Paradiso" , in Conoscere Bolasco – Ieri. Oggi! Domani? , a cura di GIACINTO CECCHETTO, atti del convegno, Castelfranco Veneto, Teatro Accademico, 17 settembre 2011, Castelfranco Veneto, 2011, pp. 96-109)

1. Premessa

Dopo Giorgione, per Castelfranco, c’è solo villa Revedin-Bolasco. Cosa vuol dire? Certo, non che Giorgione debba essere messo in secondo piano e tanto meno che non debba rimanere, come lo è sempre stato, l’indiscussa “gemma” del nostro territorio, la sola capace d’imporci, culturalmente, a livello internazionale più di ogni altra, e che, pertanto, inevitabilmente, dovrà continuare ad essere “sfruttata”. Ma una città ha bisogno d’infrastrutture, di ogni genere, anche culturali: per questo, dopo Giorgione, per Castelfranco, c’è solo villa Revedin-Bolasco!

La mostra su Giorgione conclusasi l’anno scorso, è stata per noi un’esperienza unica, poiché, oggi, un evento simile è impensabile e irrealizzabile. Esemplare sotto molti punti di vista, ha evidenziato, aldilà di valutazioni ed esiti strettamente storico-artistici, in primo luogo che l’arte può essere una risorsa economica di notevole rilevanza (si pensi all’indotto che ha portato per molte attività lavorative, soprattutto del centro storico) e può, com’è stato appunto per Giorgione, essere presentata a costo pressoché zero per le casse comunali; in secondo luogo che Castelfranco non ha spazi espositivi per eventi di tale portata e la mostra su Giorgione, pertanto, è stata un’esperienza, oggi, priva di futuro. Le sedi espositive, infatti, di cui attualmente dispone la nostra città sono essenzialmente Casa di Giorgione (però con spazi espositivi limitati, perché museo dedicato) e la galleria del Teatro Accademico (che, alla fine, è un ripiego): l’una e l’altra, o l’una più l’altra, non possono sopportare l’allestimento di una mostra che non sia destinata a un pubblico cittadino, o poco di più; a meno che non si voglia stipare le opere in un allestimento che può essere deprimente (per le opere stesse e per il fruitore), non si voglia condannare il visitatore a supplizi quali interminabili code, “insalubri” sale affollatissime o visite scandite a ritmo di cronometro.

A riscontro di tutto questo, esiste a Castelfranco un luogo che fu donato perché, là, si facesse cultura. A distanza di diversi decenni dal lascito, quel luogo, posto dallo Stato italiano sotto la tutela della competente Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici, si presenta oggi in un tale stato di degrado da essere considerato pressoché tutto, per quel che riguarda gli edifici, inagibile, con talvolta seri problemi persino di staticità. Questa è l’attuale realtà di villa Revedin-Bolasco.

Da un lato, quindi, una città senza spazi espositivi adeguati; dall’altro un edificio enorme e dalle notevoli qualità architettoniche (arricchito, per di più, da un parco considerato nella seconda metà dell’Ottocento uno tra i più suggestivi delle Tre Venezie), lasciato in un deplorevole stato di abbandono. Uno straordinario edificio storico dalle potenzialità enormi che, se recuperato, potrebbe diventare quell’”involucro” capace di contenere tutto quanto più si possa desiderare per una città: spazi per un museo cittadino, per mostre di ampio respiro, ambienti dedicati all’arte contemporanea (magari dilatati al parco), ambienti destinati a centro convegni e a esigenze universitarie, ad a uditorium, a biblioteche e, perché no, a bookshop e altre attività ricreative o di svago come bar, ristorante, ecc., gestite da privati e quindi capaci di generare reddito per la gestione dell’intero complesso. Si consideri, inoltre, l’ubicazione stessa di Castelfranco, e quindi di villa Revedin-Bolasco, storicamente sviluppatasi da otto secoli a questa parte grazie proprio, e anche, alla sua posizione geograficamente strategica, posta al centro di un vastissimo territorio che l’ha portata ad avere un incrocio di vie stradali (l’Aurelia e la Postumia, sono addirittura romane) e ferroviarie che molti capoluoghi di provincia non hanno. Non è un caso, infatti, se quando è stato deciso, non molti anni fa, di aprire uno dei primi centri commerciali del nostro territorio, la scelta sia caduta su Castelfranco. Sotto questo punto di vista, il recupero di villa Revedin-Bolasco come spazio espositivo-museale potrebbe avere sviluppi sorprendenti e, per potenzialità, ben poca concorrenza: insomma, una sorta di Mart (il Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto) ma con una locazione geografica ben migliore e forse pure con una veste architettonica di maggior prestigio.

Un recupero, tuttavia, che non dovrà essere solo di restauro architettonico, bensì d’intelligente riutilizzo per il bene di un’intera città. Si pensi solo se, una volta l’anno, si riuscisse a organizzare un evento che, come la mostra su Giorgione, potesse far venire a Castelfranco cento, duecento mila visitatori: con tutto l’indotto che porterebbe, non diventerebbe forse una delle prime “industrie” cittadine? Non sarebbe forse il modo di considerare l’arte, finalmente, come investimento? Non sarebbe forse il modo di guardare al futuro del nostro territorio sfruttando l’unica “materia prima”, il nostro vero Made in Italy , che non potrà mai essere imitata o falsificata da chicchessia fuori dai nostri confini? SI PRUDENS ESSE CUPIS IN FUTURA PROSPECTUM INTENDE (Se vuoi essere saggio volgi lo sguardo al futuro) ci insegna il motto del penultimo cartiglio del fregio giorgionesco di casa Marta-Pellizzari, alias Casa di Giorgione.

2. Il museo che non c’è

Parlare di villa Revedin-Bolasco vuol dire, inevitabilmente, tornare a parlare del Museo Civico di Castelfranco, cioè, del museo che non c’è.

Nel 1997, il Comune di Castelfranco ha allestito un’utile mostra di alcune tra le più significative opere che la Civica Collezione Museale allora conservava per gran parte stipate nella vecchia soffitta ancora non restaurata di Casa Giorgione e, quindi, generalmente non visibili al pubblico. Ne sono state esposte oltre duecento le quali, a mostra finita, sono quasi tutte ritornate dov’erano (solo qualche anno dopo, grazie al restauro della sede della biblioteca cittadina, alcune di esse hanno trovato là posto). La mostra è stata l’occasione anche per dare alle stampe un catalogo piuttosto corposo di una buona parte di quel patrimonio cittadino, dotando, il museo che non c’è, di una veste editoriale che, all’epoca, musei funzionanti e di maggior prestigio potevano ben invidiare. Una provocazione, però: unica vera pecca di quel catalogo, la mancanza delle indicazioni sulla collocazione delle opere nei vari uffici comunali, soffitte, magazzini, così da poterle rintracciare per chi volesse tornare a vederle a fine della mostra.

Grazie alla competente collaborazione del dott. Paolo Berro, poi, nel dicembre del 2002 è stato messo in rete, sulla falsa riga della pubblicazione del 1997, un sito in Internet della Civica Collezione (che invito vivamente a visitare all’indirizzo www.museocastelfrancoveneto.tv.it) esemplare ancora oggi per la sua efficacia propositiva, per la più che esaustiva quantità di opere presentate, ognuna, come in catalogo, accompagnata da scheda descrittivo-tecnico-scentifica, e per la schematica eleganza della sua veste. Pure in questo caso, il museo che non c’è, si era dotato di un mezzo di divulgazione e consultazione che molti musei italiani, a tutt’oggi, ancora non hanno (lo si confronti, ad esempio, con i siti dei Civici Musei di Treviso, di Padova o di Bassano del Grappa). Ma, rimane il fatto, che il museo non c’è! Eppure una volta esisteva ed era aperto al pubblico.

3. Il museo che non c’è quando c’era: un po’ di storia

Nel 1895 il medico-chirurgo Giovanni Bordigioni commissionava all'edi­tore e fotografo Ferdinando Ongania di Venezia un album interamente dedicato alla figura di Giorgione, per poi donarlo al neo-nato Museo Civico di Castelfranco. La dedica nell’album, che rappresenta fino ad oggi, almeno per chi scrive, l’unica documentazione positiva a tal riguardo, riporta . Il nostro Museo Civico, pertanto, si può considerare ufficialmente costituito nel 1889.

Se nell’edizione del 1895 de’ Le Cento Città non è fatta alcuna menzione al museo, in quella del 1928, dettata dall’allora conservatore, cav. Elia Favero, si legge: ; in quell’occasione furono pubblicate anche cinque fotografie di alcune sale del museo, che in quel momento aveva trovato sede, dopo la riapertura (1926), a qualche anno dalla fine della Prima Guerra Mondiale, negli spazi dell'ex-convento dei Padri Serviti.

La data del 1885 è alquanto significativa, sebbene non si possa ritenerla quella dell’ufficiale apertura del museo, bensì quella della raccolta di un primo vero nucleo di opere fatta con l’intento di destinarla a una sede museale. E questo, che curiosamente oggi cade nella ricorrenza dei 150 anni dell’Unità d’Italia, spinto dalla richiesta del Comune di Padova fatta al nostro di poter includere nella propria sezione allestita all'Esposizione Nazionale di Torino del 1884 i cimeli risorgimentali custoditi nel nostro territorio (che all’epoca si conservavano ancora prevalentemente in raccolte private). Quando poi, alla fine dell'Esposizione, la città di Padova chiese a Castelfranco, che lo negò, che i cimeli le fossero ceduti perché andassero a far parte della sezione del Risorgimento del proprio museo, sorse la necessità di custodire adeguatamente quelle opere e si scelse allora di raccoglierle e riunirle in una sala del palazzo Comunale.

Prima di addentrarci, però, nelle vicende che portarono alla costituzione del nostro museo negli anni che seguirono l'adesione del Veneto al Regno d'Italia, è bene soffermarsi velocemente su alcuni fondamentali avvenimenti in conseguenza dei quali si formarono dei nuclei di opere, spesso cospicui, destinati ad arricchire le raccolte civiche di molti musei e che, col tempo, contribuirono assai a far sentire la loro creazione una vera e propria esigenza. Tra il 1770 e il 1793, infatti, la scelta della Serenissima Repubblica di sopprimere alcune congregazioni religiose, talvolta con la conseguente demolizione fisica dei locali, aveva dato inizio a una dispersione del patrimonio


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Cliente: Comune di Castelfranco Veneto | Anno: 2011