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Noè bordignon


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Noè Bordignon

(Castelfranco Veneto, 1841 - San Zenone degli Ezzelini, 1920)

Vita e Opere

di Marco Mondi

Noè Raimondo Bordignon, quarto di otto figli, nasce a Salvarosa di Castelfranco Veneto il 3 settembre 1841. La sua famiglia è una famiglia di umile estrazione: il padre, Domenico Lazzaro, è sarto e la madre, Angela Dorella, aiuta il marito come cucitrice. Il 30 settembre 1848, a trentasette anni, Angela Dorella muore dando alla luce l'ultimo figlio che poco dopo, nello stesso giorno, muore pure lui. Maria Luigia, sorella del padre, aiuta Domenico Lazzaro a crescere i figli. Qualche anno più tardi, la famiglia si trasferisce a Castelfranco, in Borgo Treviso, e Noè può così frequentare la scuola, dove è subito notata la sua propensione all'arte, tant'è che non tarda a distinguersi nel disegno ornamentale. Terminati gli studi a Castelfranco, grazie all'interessamento e al sostegno economico di alcuni privati e dello stesso Comune, Noè Bordignon può iscriversi e frequentare la Regia Accademia di Belle Arti di Venezia.

La prima formazione artistica di Noè Bordignon, quindi, avviene subito dopo la metà del secolo, in un clima culturale ancora tutto farcito di un Romanticismo di "provincia", come di provincia è, sostanzialmente, tutta la cultura figurativa italiana dell'Ottocento e più ancora, almeno rispetto ad alcuni dei maggiori centri artistici della penisola, quella veneziana e veneta in genere. La caduta della Serenissima, infatti, e i primi anni di dominio straniero rappresentano un periodo di crisi generalizzata e di caotica transizione, al quale fa seguito, sotto l'Austria, una lenta rinascita economica, culturale e edilizia; tuttavia pur sempre considerando Venezia (alla quale come città portuale e commerciale è preferita Trieste), ed il Veneto, come provincia dell'Impero. In questi primi cinquant'anni, si risveglia comunque un certo fervore artistico anche a Castelfranco, quello che permette allo stesso Bordignon, la cui famiglia, come visto, non può permettersi di sostentarlo economicamente, di essere incoraggiato nella sua vocazione artistica. La metà del secolo, in città, già caratterizzata dall'influente personalità di Jacopo Monico, patriarca di Venezia, letterato ed umanista, è dominata dalla figura del conte Francesco Revedin: (Giampaolo Bordignon Favero, Castelfranco Veneto e il suo territorio nella storia e nell'arte , Cittadella, 1975, vol. I, p. 338). Ecco allora che, dopo l'entusiasmo dell'Accademia dei Filoglotti, dei cenacoli artistico-culturali e del clima di restauro e costruzione di nuovi edifici pubblici e privati, con la conseguente presenza in città di numerosi artisti di spicco del tempo (ricordiamo il Chiarottini, il Canal, il Borsato, il Bevilacqua, o più tardi il Bagnara, il Santi, il Meduna, nonché i nostri pittori Francesco Olivetti e Alessandro Revera e, di primaria importanza ancora oggi, pure la formazione di quella che rappresenta attualmente la vera pinacoteca cittadina, vale a dire la raccolta di opere conservata nella sacrestia nel Duomo), nuovo fervore si incontra negli anni che precedono l'annessione al Regno d'Italia: basti menzione i lavori del Passeggio Dante, la sistemazione dei giardini davanti alle mura e, proprio a ridosso dell'abitazione di Noè Bordignon in Borgo Pieve, la ristrutturazione della Villa e del parco Revedin-Bolasco (la villa, eretta su progetto del Meduna nel gusto revival dell'epoca, è sontuosamente decorata al suo interno con affreschi di Giacomo Casa e di altri pittori, tra i quali, in passato, certa critica ha supposto l'intervento anche del giovane Noè Bordignon). Pure da noi, tutto il sesto decennio del XIX secolo è vissuto con la coscienza (e, sotto certi aspetti, con l'illusione) della prossima riconquistata libertà e la vocazione cristiano-cattolica del nostro territorio diviene un punto di forza essenziale per garantire una solida unità socio-culturale nel momento dell'oramai inevitabile1 svolta politica. E' questa la fede cattolico-sociale nella quale viene educato Noè Bordignon che mai, in tutta la sua vita ed in tutta la sua carriera artistica, rinnegherà. Anzi, tanto forti saranno le sue convinzioni a tal riguardo che, quando sarà costretto ad abbandonare Venezia per non voler aderire alle elitarie logiche massoniche, si ritirerà con grande dignità cristiana nei suoi luoghi natii diventando ancor più uno dei massimi interpreti della realtà socio-rurale del nostro entroterra. Se certo i fasti celebrati da Giacomo Casa in villa Revedin attraggono il suo giovane spirito artistico, alla luce di alcuni capolavori forgiati dal suo pennello negli anni della maturità artistica, vien oggi facile pensare a come lui in cuor suo si senta da subito idealmente più vicino alla grande tradizione pittorica veneta del Cinquecento, quella della raffinata poesia del conterraneo Giorgione, della possente forza espressiva del cadorino Tiziano e del pastorale realismo bassanesco della scuola dapontiana (o, come filtra dalla lettura degli affreschi, della gloriosa tradizione pittorica veneta del Settecento, in special modo quella tiepolesca). Purtroppo, fino ad oggi, dei suoi primi, timidi tentativi artistici, nulla si è rintracciato a prova di ciò. Tuttavia, sebbene possa verosimilmente essere datato all'incirca attorno al 1870, pur non escludendo la possibilità di anticiparne ulteriormente il momento della sua esecuzione, un'idea delle opere di questo genere in questi anni può venirci dall'affresco dipinto sulla centina sopra il portale del palazzetto Martini-Stecca, dentro le mura, di rimpetto al Teatro Accademico: l'affresco raffigura una Dama a cavallo con paggio , risolto con l'aggraziata eleganza di un'influenza giorgionesca (con richiami anche al Carpaccio) filtrata, è vero, attraverso una interpretazione purista, ma pur tutta veneta nell'effetto finale, che delinea il delicato trio di dama, cavallo e paggio nell'essenziale sfondo paesaggistico, allusione forse ad una "sognata" visione della natura antica che coronava le mura cittadine della nostra Castelfranco. A questi stessi anni, sono stati datati anche gli affreschi (purtroppo in uno stato di conservazione che richiederebbe un intervento di restauro, così come quello appena visto) raffiguranti rispettivamente, a partire da sinistra per chi guarda, l' Ingresso di Gesù in Gerusalemme , la Madonna con Bambino e la Resurrezione di Lazzaro , eseguiti sul pronao della chiesa di Santa Maria Nascente della Pieve Nuova, in Borgo Pieve, dov'è maggiormente evidente l'influenza di quel Romanticismo storico di stampo purista che il Bordignon certo ha potuto ammirare frequentando, poco prima, l'ambiente artistico romano.

Dal 1859, abbiamo detto, Noè Bordignon risulta iscritto al primo anno di studi alla Regia Accademia di Belle Arti di Venezia, dove segue con particolare attenzione i corsi di Michelangelo Grigoletti, Carlo De Blaas e Pompeo Molmenti. Se non tutti coetanei, suoi compagni di studi e amici sono coloro che oggi sono riconosciuti come i massimi esponenti veneti della seconda metà del secolo: Guglielmo Ciardi, Luigi Nono, Giacomo Favretto, solo per citarne alcuni tra i più famosi. Per inquadrare storicamente l'ambiente artistico e accademico della Venezia in cui Noè Bordignon si va formando, vale la pena spendere rapidi cenni a tal proposito. La Venezia romantica, che sotto molti aspetti si contrappone alla Roma neoclassica (ma il Romanticismo, in senso lato, abbraccia anche il Neoclassicismo), è essenzialmente la Venezia snaturata da Napoleone prima e dall'Austria dopo; città che pur tenta nel '48 e '49 di riacquistare un governo repubblicano con i moti del Manin e s'illude, nel 1866, che l'adesione al Regno d'Italia possa ridarle la sua antica egemonia culturale, politica, economica, quando invece, ancora oggi, soffre dell'incapacità d'integrarsi attivamente e pienamente nel tessuto nazionale. La Venezia romantica, come tutta l'Italia romantica, è territorio dove il Romanticismo penetra lentamente e si diffonde ampiamente ovunque, ma non è mai completamente assimilato. La ragione principale, prima che artistica, è sociale: il passaggio dal Vecchio Regime ad una società moderna è lento, spesso contraddittorio, e soprattutto legato ad un forte conservatorismo di stampo aristocratico e borghese, così il Romanticismo non trova da noi mai lo sfogo che trova altrove e si trascina per tutto l'Ottocento (e parte anche del Novecento), affiorando continuamente in modo a volte più, a volte meno marcato. Dopo le idee "illuminate" della seconda metà del Settecento, l'avvento del Neoclassicismo porta, a livello istituzionale, alla forte divulgazione dell'Accademia di Belle Arti come scuola "necessaria" a chi vuole dedicarsi alle arti figurative. La sua istituzione, a Venezia come altrove, è un apporto importantissimo per capire come si sviluppa, nei suoi aspetti di ufficialità e, per contrapposizione, nei suoi aspetti reazionario-innovativi, la formazione artistica praticamente di ogni pittore, scultore ma anche architetto, per tutto il secolo. L'accademia è la scuola e, come ogni istituzione, ieri come oggi, è lenta nell'accettare quanto di nuovo fuori di essa, sempre più spesso, si va elaborando in campo artistico. Insegna le tecniche ed insegna uno "stile" figurativo che è sempre, ufficialmente, accettato dalle "autorità" pubbliche e private del mondo culturale, istituzionale, dell'epoca. Da allora, fin quasi ai nostri giorni, si assiste ad un continuo scontro tra le correnti figurative, appunto, di stampo accademico e conservativo e quelle, sempre capeggiate dai grandi spiriti innovatori del momento, che ad esse si oppongono rivendicando il diritto ad una libertà di rivoluzione ed evoluzione la quale, a sua volta, col tempo, andrà ad essere la cultura artistica ufficiale contro di cui nuove tendenze andranno inesorabilmente a scontrarsi. L'accademia frequentata a Venezia da Noè Bordignon, è una scuola che insegna un'arte ancora tutta farcita di un gusto storico-mitologico-classiccheggiante che stilisticamente risale alle forme canoviane e all'Hayez innanzitutto, maestro allora giustamente considerato come uno dei massimi artisti dell'epoca. Nell'affrontare tali tematiche ogni artista, anche veneto, che sente forte in cuor suo il desiderio di liberarsi dall'oppressione straniera, maschera significati reconditi che alludono o diventano vera allegoria di quella volontà "petrarchescamente" gridata di , sempre più viva dopo i moti rivoluzionari del '48. La scuola dell'accademia, didatticamente, sembra aver come scopo principale insegnare sui modelli dei grandi artisti del passato, preoccupandosi per lo più di giungere ad una resa fedele, quasi fotografica, narrativa, in senso superficiale per i più, della realtà, per adattarla a tematiche ridondanti di motivi storici. L'ideale del bello è l'ideale della somiglianza a tutti i costi. Ed è attraverso questo filtro che l'occhio del pittore vede ed idealizza tutto quanto gli succede attorno, accontentandosi sovente di soffermarsi solo sugli aspetti semplicistici capaci di rendere raffinato un dipinto. Una volta imparata l'arte di dipingere, l'attenzione si concentra sul soggetto da trattare, enfaticamente farcito d'ogni genere di pregiudiziale filosofica, teorica, poetica, morale, religiosa, politica, come se il soggetto, così teatralmente mascherato, fosse l'unico fattore in grado di innovare e differenziare un'opera da un'altra.

In un siffatto ambiente artistico, nonostante le fonti tacciano e non ci sia giunta alcuna opera sicuramente databile a questi primi anni di studi accademici, non pare azzardato supporre che anche i lavori di Noè Bordignon di questo momento non siano poi tanto lontani dalla allora tanto acclamata pittura di storia, secondo, appunto, gli insegnamenti dei suoi maestri, e dietro alla quale, magari, si cela velato un recondito significato allusivo all'agognata libertà politica. In una collezione privata si conserva un dipinto, raffigurante una Bambina con colomba (che abbiamo il piacere di ammirare dal vero nell'occasione di questo incontro), la cui datazione può, con ogni probabilità, essere fatta risalire forse proprio a prima degli anni Settanta, considerata anche l'età dell'effigiata, della quale si conosce l'identità. Questo dipinto di squisita fattura, mostra un pittore ancora tutto immerso proprio in quella cultura figurativa di stampo Romantico e d'impostazione accademica (per il tempo), nella direzione propugnata dalla cattedra dai suoi maestri, con special riferimento alla ritrattistica di Pompeo Momenti e, per la raffinatezza di alcuni tocchi, con richiami espliciti ai modi di Michelangelo Grigoletti, sicuramente uno dei maggiori ritrattisti attivi a Venezia in quegli anni. La buona fattura di quest'opera giovanile dà comunque un'idea di quelli che dovevano essere anche i dipinti eseguiti qualche anno prima, nel periodo degli studi all'Accademia. E le sue capacità pittoriche sono presto notate pure in ambito scolastico: nell'anno accademico 1861-1862 è, infatti, premiato con la medaglia d'argento negli elementi di figura per la terza classe e, alla conclusione degli studi nel 1865, con una borsa di studio governativa per il perfezionamento artistico a Roma.

A Roma, dove trascorre tre o quattro anni (fino al 1868), studiando e lavorando, ha modo di approfondire e affinare le sue conoscenze artistiche. Non si conoscono sue opere nemmeno per questo periodo ma, a giudicare soprattutto dagli affreschi eseguiti in diverse chiese del nostro territorio negli anni Settanta e conoscendo l'indole religiosa cristiano-cattolica del nostro, piuttosto forte deve essere stato il suo interesse per i Puristi, e di conseguenza per le esperienze maturate dai Nazareni, cioè verso quelle espressioni artistiche, sempre romantiche nella direzione storico-mitologica, che esaltano la semplicità stilistica e compositiva prendendo a modello i primitivi, da Cimabue al primo Raffaello. Ma Roma non offre solo questo. Roma è anche la città per antonomasia dell'antichità classica, la città della grande pittura del secondo Rinascimento, degli affreschi di Michelangelo alla Sistina; Roma è la città del trionfo del Barocco e del trionfo del Bernini; è la città del trionfo del classicismo, da Carracci a Poussin, da David ad Ingres; è la città dell'Accademia di Francia e delle schiere dei pensionanti francesi al Prix de Rome ; e Roma è ancora, per tutto l'Ottocento, anche la meta, il punto d'incontro di artisti giunti da ogni parte d'Europa che, come Bordignon, vogliono perfezionare la loro arte. Molteplici e di varia natura sono quindi gli spunti che stimolano la creatività del nostro, soprattutto quando si considera che Bordignon è un assiduo frequentatore del caffè "Greco", vero fulcro d'incontro degli artisti là residenti e di quelli di passaggio per la capitale e che, per il suo impegno artistico, è fatto socio dell'Associazione Artistica Internazionale: ciò a riprova della sua attiva volontà di aggiornarsi alle più moderne tendenze artistiche là praticabili e di parteciparvi in prima persona. Sono sicuramente le amicizie instaurate nella capitale a spingerlo, durante il periodo del suo pensionato a Roma, ad intraprendere un viaggio a Parigi e poi, nel 1868, quando lascia la capitale, a passare alcuni mesi a Firenze, dove entra in diretto contatto con la pittura del Macchiaioli e dove entra a far parte dell'Associazione degli Artisti Italiani, nella quale resterà iscritto fino alla morte.

Nel 1869, al suo rientro a Castelfranco e a Venezia, pertanto, Bordignon è un giovane artista che ha maturato molteplici esperienze, utili a formargli una personalità pittorica ormai propria, capace di permettergli di affrontare con un proprio linguaggio figurativo lavori pubblici impegnativi e di rilievo, commissionatigli principalmente nell'ambito della decorazione d'interni di chiese. In questo momento, nel 1871, apre uno studio a San Vio, in Venezia, senza però abbandonare la natia Castelfranco dove, nella casa paterna, continua a tenere un'altro studio. Anzi, si può dire che per tutto il nuovo decennio, e ben oltre, Bordignon trovi molti degli incarichi più importanti di lavoro proprio nell'ambito del territorio che da Castelfranco si estende fino a Bassano e alle porte di Schio da un lato, e a Vittorio Veneto dall'altro, nonché nell'entroterra della provincia di Venezia, nei pressi di Noale, a Robegano, a Campocroce. Non è solo il forte rapporto affettivo con la propria famiglia a legarlo a Castelfranco, ma anche le tante e profonde cordiali amicizie che lo uniscono ad amici ed ammiratori, ed in particolare al gentile animo poetico di Enrichetta Usuelli Ruzza e alla sua famiglia, allo scultore Serafino Ramazzotti (che lavora per la famiglia Ruzza) e al pittore Andrea Favero di San Zenone. Ed è la famiglia Ruzza ad invitarlo in più occasioni a soggiornare nei suoi possedimenti a San Zenone degli Ezzelini, terra cara al Bordignon per le origini della sua stessa famiglia, che presto lo ricambierà affidandogli l'importante incarico di affrescare la facciata e gli interni della chiesa parrocchiale. Forse verso il 1870 (altri lo posticipano di ben oltre un decennio, nei primi anni Novanta, al suo rientro in terraferma dopo il soggiorno veneziano), a Bassano, sulla facciata della villa De Micheli, Noè Bordignon esegue l'affresco raffigurante la Sfilata al Tempio di Minerva (distrutto durante la II Guerra Mondiale), che si presenta, sulla base delle testimonianze fotografiche, come una sontuosa parata di personaggi dell'antichità, composto secondo un gusto di narrativa storico-romantica ancora pienamente immersa nelle accademiche rappresentazioni dell'epoca per soggetti di questo genere. Nell'affresco raffigurante la Resurrezione della Carne , dipinto nel 1874 per la chiesa parrocchiale di Pagnano d'Asolo, la coinvolgente e drammatica soluzione d'insieme è risolta in una brillante interpretazione delle influenze puriste da un lato e michelangiolesche dall'altro, maturate a Roma. La violenta espressività delle figure, caratterizzata da una teatrale ed enfatica esaltazione della gestualità con classicistiche positure derivanti tanto dai delicati richiami raffaelleschi quanto da quelli più scenografici del Barocco, resi gli uni e gli altri attraverso l'interiorizzazione del dramma umano filtrato dagli affreschi di Michelangelo alla Sistina, contrappone il denso aggrovigliarsi del primo piano in basso all'ampia, mossa ed ascendente sinuosità luminosa del cielo nella parte superiore dell'affresco. Così nella Gloria di S. Nicolò vescovo , del 1877, per la chiesa parrocchiale di Monfumo, è ancora l'enfasi della gestualità a caratterizzare figurativamente la scena in una composizione spaziale complessa e ritmata, dove certo, il "veneto" Bordignon, inserisce elementi classicheggiantemente romani in una luminosità risolta quasi in modo qua tiepolesco e là veronesiano. Di molti degli affreschi eseguiti in questo periodo, nella Civica Raccolta Comunale di Castelfranco Veneto si conservano numerosi disegni preparatori, come i quattro qui presentati, uno dei quali, il primo a sinistra, è uno studio per l'imponente figura del vescovo San Nicolò dell'opera appena vista (gli altri sono uno studio per pala d'altare -nel quale è evidente l'attenzione rivolta dal Bordignon al Tiepolo e alla pittura veneta del Settecento-, e due studi per particolari del Giudizio Universale di San Zenone degli Ezzelini). Il nucleo grafico della Raccolta Civica di Castelfranco, acquistato nel 1935 dai famigliari del Bordignon, è particolarmente significati­vo in quanto, oltre a consentire di poter attribuire o rintracciare opere oggi disperse, permette soprattutto di capire i primi passi affrontati dall'artista nel concepire e nello sviluppare un lavoro (continua in: //xoomer.alice.it/studiomondi/bordignonn.htm )


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