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Vittorio zecchin (1878-1947)


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VITTORIO ZECCHIN (1878-1947)

di Marco Mondi

Prefazione

Affrontando il lavoro di tesi nel tentativo di dare una esaustiva visione dell'opera di Vittorio Zecchin, al di là delle comprensibili difficoltà incontrate nel trattare una produzione così variegata e varia, dispersa principalmente in numerose collezioni private, ho avuto l'opportunità di ben approfondire un periodo storico e un gruppo di artisti, quelli di Ca' Pesaro, i quali rappresentano un tassello fondamentale della cultura figurativa italiana di primo Novecento e, nonostante ciò, oggi ancora spesso trascurati e sovente ingiustamente ignorati.

La Biennale e soprattutto la giovanile foga capesarina che, grazie alla stessa “Istituzione-diga”, poteva polemizzare con ciò che in Italia più rappresentava una cultura ormai sorpassata, hanno fatto sì che su Venezia, per un decennio almeno, convergessero le attenzioni più accorte di tutta una nazione. Ed è su questa falsariga che ho cercato di focalizzare la personalità artistica di Vittorio Zecchin. Infatti, se pur il nostro fu, a fronte di altri artisti decisamente più rilevanti, una figura talvolta meno incisiva, le sue opere, sia nella pittura quanto e soprattutto nelle arti applicate, hanno per me rappresentato un importante segnale della concreta volontà anche sua di dare un forte e profondo scossone all'arte e all'artigianato locali arenati allora ad una ormai attardata cultura ottocentesca. Solo così mi è sembrato di poter rianalizzare la sua produzione artistica liberandola dall'appellativo ricorrente di mera decorazione, facendola essere ciò che è veramente stata: arte innovativa.

Particolarmente importante m'è parso il suo contributo al rilancio qualitativo ed economico di alcuni settori dell'artigianato veneziano, dove lo Zecchin non fu certo un pioniere, ma sicuramente un accorto artista-designer non poi idealmente così lontano da altre personalità europee che s'impegnarono, com'era nell'esigenza del momento, facendo delle cosiddette arti minori il fulcro dei loro interessi artistici.

Procedendo nel mio lavoro ho sentito più volte la necessità di debordare da una precisa linea storico-critica nella valutazione dell'operato di Zecchin. Dapprima, perché numerosi mi son sembrati i collegamenti con le situazioni artistiche e artigianali più diverse giustificate in parte dalla polidirezionalità dell'attività del nostro; poi, perché si faceva sempre più forte in me la convinzione dell'importanza che gli artisti di Ca' Pesaro ebbero nel panorama culturale non solo veneziano, ma italiano, degli inizi del nostro secolo. E Zecchin, nei gloriosi anni dell'istituzione veneziana, alle sue vicende e alle sue vicissitudini fu sempre profondamente legato. Ho cercato quindi, anche se solo con brevi cenni, di sottolineare quei momenti e quelle situazioni che mi sono parse più rilevanti e spesso più trascurate di un gruppo d'artisti che non fu mai un movimento artistico, e che, forse proprio per questo, fu più aperto a quanto succedeva in Europa andando ben oltre come portata ai confini naturali di un agglomerato di isole, accettando, affiancando e corroborando le nuove tendenze artistiche di tutta una nazione.


Venezia europea

" Non poteva più attendere "

(J. Joyce, Dedalus )

Lo scenario della cultura veneta e veneziana nella fattispecie, storicamente così spesso isolato e chiuso nella sua turris eburnea non solo geografico-lagunare, si presenta all'alba del nuovo secolo come uno dei più fertili centri di attività artistica e critica che vi fu dato di trovare in quel momento in Italia. E' nell' humus veneziano che vennero ad abbeverarsi i futuristi nella loro polemica contro il "chiaro di luna"; così come, qualche anno prima, il dannunziano Stelio Effrena accompagnò il feretro del musicista Wagner, vero tripode di tutto il decadentismo europeo, sulle acque della defunta Serenissima. Prese di posizione apparentemente contraddittorie, vissero ed anzi si corroborarono reciprocamente trovando in Venezia uno tra i centri più adatti della penisola per dar sfogo o far da culla alle proprie idee.

La decisa volontà dell'artista, sia questo pittore o scrittore, poeta o musicista, di affacciarsi sullo scenario dell'arte europea e con essa instaurare un continuo e libero scambio, fu una delle caratteristiche peculiari di tutta la prima metà del nostro secolo. E si pensi, da un lato, all'importanza del ruolo svolto dalle numerose riviste letterarie e non, e, dall'altro, al diffondersi nelle maggiori città italiane delle esposizioni internazionali d'arte. La creazione della Biennale veneziana nel 1895, (1), rappresentò la prima tappa in senso moderno per l'arte italiana come inevitabile successione di quanto era andato maturando per tutto l'Ottocento nella maggior parte della penisola e, in modo particolare, proprio nella città lagunare.

Note

1 - GUIDO PEROCCO, Artisti del primo Novecento italiano , Torino 1965, p. 11.

(FOTO)

Vittorio Zecchin con i famigliari.

(FOTO)

Vittorio Zecchin.

Un giovane di Murano

(G. D'Annunzio, Il fuoco )

Nato a Murano il 21 maggio del 1878, Vittorio Zecchin fu uno di quegli artisti la cui terra d'origine, la bella isola del vetro, la città e la laguna, , rappresentarono un legame tanto abbarbicato nel suo animo da leggersi a chiare lettere in ogni sua opera. E la sua opera perderebbe di significato, cadrebbe nella mera decorazione, se la si immaginasse al di fuori dal contesto veneziano.

In essa vi è il continuo riflettersi di una Venezia profondamente amata e profondamente sentita: l'incanto magico, fatato, di una città da "mille e una notte"; la trasparenza, il riflesso e il luccichio dell'acqua; le raffinate eleganze di una cortigiana inclinata ; la laguna misteriosa che fa ; il grande passato artistico, pittorico, dove più che il Veronese, si sente l'intenso cromatismo vivariano.

Nelle sue opere si scorge una visione mistica, fiabesca della vita, quasi una fuga in un paradiso perduto, in una Venezia da sogno. Una evasione onirica che trova, però, nella cultura artistica lagunare d'inizio secolo il suo naturale insediamento, dando così vita ad un progressivo reinserimento del sogno nella realtà, concreta e pratica, dei più diversi settori artigianali riportati a proporre i tradizionali oggetti di uso comune come vere e proprie opere d'arte.

Figlio di un vetraio muranese, Luigi, il giovane Zecchin ebbe, nei primi anni di vita, un diretto contatto con l'arte che rese la sua isola famosa in tutto il mondo. Un contatto che, se da un lato poteva esaltare la fantasia e la gioia di un bambino nel vedere creare con un soffio un oggetto dalle magiche trasparenze (quanto meno incantate sarebbero state le sue pitture altrimenti!), dall'altro gli permise d'avere una giovanile cognizione dei problemi e delle difficoltà di un settore artigianale ancora fortemente legato ad una gloriosa tradizione secolare, che ne rappresentava il vincolo stesso. Vittorio Zecchin, vivendo e crescendo dentro, sin da bambino, al mestiere di vetraio ben potè rendersi conto dei limiti e delle potenziali possibilità di una attività ricca di creatività e, cosa molto importante, intuirne le principali difficoltà pratiche.

Dagli anni Settanta dell’Ottocento, la lavorazione del vetro nell'isola ebbe una vivace ripresa ma, fino a qualche anno prima, questo, come altri settori dell'artigianato veneziano, versava in un profondo ristagno economico e artistico.

Per gli artigiani muranesi del vetro, la prima metà del XIX secolo fu un momento pieno di difficoltà e di crisi profonda (1). Chiusi nella gelosa custodia della loro tecnica ed avversi alle novità tecnologiche, sordi al mutato gusto e timorosi della concorrenza straniera, i vetrai muranesi costruirono pian piano i presupposti di quella depressione che caratterizzerà in modo tanto acuto i primi trent'anni del secolo (2).

L'inizio del XIX secolo presentò quindi la grande novità, per il mercato europeo, della decadenza del vetro veneziano (assieme a Murano, altri centri europei si trovarono in gravi difficoltà) e, con la nuova tendenza ad organizzare industrialmente la produzione, l'ascesa del cristallo colorato inglese e del cristallo di Boemia (quest'ultimo, grazie all'Austria, prodotto anche a Murano –3).

Una ditta milanese, la "Fratelli Marietti", fondata nel 1826 a Murano per la produzione seriale del vetro comune (lastre, bottiglie, bicchieri, ecc.), fu l'unica eco che si ebbe nell'isola della rivoluzione industriale (4). Per il resto, le vetrerie muranesi cessarono quasi del tutto la produzione di vetri "fini" e soffiati: i pochi vetri soffiati furono vetri incolore e scadenti. Di scarsa qualità e quantità, fu pure la fabbricazione delle piastre vitree colorate usate per l'intarsio dei mobili o di altri oggetti. Gli unici rami della vetreria toccati solo parzialmente dalla crisi, furono quelli della produzione delle conterie e dei lavori a lume (5).

Solo attorno agli anni Trenta si avvertì una certa ripresa delle tecniche abbandonate. Conseguenza sicuramente dovuta al mutato gusto della clientela internazionale, ora più interessata alla ricerca e raccolta dei bei vetri veneziani del passato. Da questo stimolo prese l'avvio l'imitazione dei pezzi antichi, che diventò una delle note più caratteristiche di tutta la restante produzione vetraria dell'Ottocento.

L'imitazione dell'antico, spesso legata al mercato dei falsi, fu l'incentivo che spinse i maestri vetrai ad una vera e propria sfida per la riconquista ed il superamento, in capacità esecutiva, degli antichi metodi di lavorazione (6).

In una tradizione che giunge sino ai nostri giorni, l'imitazione, secondo il gusto stilistico del momento, propose veri e propri revival artistici. Accanto alla continua riscoperta e scoperta delle tecniche antiche e nuove, venne rilanciato il vetro quattrocentesco, cinquecentesco e barocco, greco, romano, paleocristiano ed islamico. Pure in questo settore, l'Ottocento sfoggiò tutto il suo eclettismo.

Non tardarono, dall'imitazione, le variazioni formali e decorative, spesso originali, delle opere eseguite. E su questa strada si direzionarono i maestri più capaci che, assimilato un notevole bagaglio tecnico, riuscirono a proporre l'artigianato a livello artistico.

Superata la metà del secolo, Murano ebbe i primi sintomi di una ripresa economica. Furono fondate numerose nuove vetrerie, che in pochi anni ottennero prestigio internazionale e in ogni settore, dal mosaico al soffiato, dalle conterie alle piastre vitree, vi fu un aumento qualitativo e quantitativo della produzione. Nel 1861, in pieno revival artistico, sotto il coordinamento dell'abate Vincenzo Zanetti, promotore di altre importanti iniziative per Murano, come l'apertura della Scuola Festiva di Disegno (1862) e l'organizzazione della prima Esposizione Vetraria Muranese (1864), fu fondato il Museo Vetrario, con opere archeologiche e muranesi del passato (7). In un diverso clima politico-sociale, dopo l'unità d'Italia, molteplici furono le condizioni economiche e finanziarie favorevoli di cui tutto il Veneto potè godere (8). Dagli anni Settanta, l'artigianato artistico del vetro muranese ebbe il suo momento di maggiore successo internazionale.

E' in questo clima di ripresa economica che il giovane Zecchin vide dal padre modellare quel vetro a cui solo molto tempo dopo si dedicherà con tutto il suo impegno. Ebbe modo, in quegli anni, prima con gli occhi del bambino e poi con la foga adolescenziale, se non di individuare e capire le motivazioni di un ristagno artistico dell'artigianato del vetro muranese (in termini qualitativi di originalità e adeguamento alle nuove tendenze culturali), di percepire almeno la presenza di una tradizione troppo vincolante proprio perché interpretata principalmente sotto il limite della copia, se pur virtuosamente eseguita (9). Potè sentire la doppia valenza della ripresa di un settore artigianale che ben rifletteva l'andamento generale di tutta una cultura divenuta provinciale: una crisi produttiva superata in parte dal punto di vista quantitativo e di conseguente riscontro economico, e un perdurare di crisi qualitativa che costringeva l'arte del vetro, per i più, ad una attività essenzialmente artigianale.

E' attraverso l'artigianato della sua isola che Zecchin, dunque, muove i suoi primi passi nell'arte, ed è attraverso questa chiave di lettura che devono essere viste le sue diverse esperienze artistiche. Il suo ritorno alle arti applicate, mai dimenticate nemmeno quando i suoi interessi erano prevalentemente rivolti alla sola pittura, fu la naturale conseguenza del suo animo artistico, che vedeva chiaro, per una tradizione quasi congenita in un giovane cresciuto a Murano, lo stretto legame tra arte ed artigianato e sentiva forte l'esigenza di rompere le barriere di quanto aveva fatto sì che l'una fosse più elevata e nobile dell'altra. Da giovane, egli sentì la crisi dell'artigianato, dell'arte della sua isola, e a questa reagì.

Certo non potè focalizzare subito le motivazioni di quella diffusa inquietudine ed incertezza che accompagnarono i suoi primi passi nell'arte, ma di questo ne subì le conseguenze. La famiglia lo costrinse a intraprendere studi tecnici, quando egli forse avrebbe preferito seguire le orme del padre. Modo, questo, per allontanare il figlio da un lavoro artigianale che più di tanto non prometteva e vero sintomo di profonda crisi interiore di un'arte. A questo, Zecchin s'oppose con impeto tutto giovanile e, come ricorda Vittorio Pica, (10) se i suoi genitori si convinsero e accettarono che abbandonasse gli studi tecnici per iscriversi all'Accademia di Belle Arti della città.

Note

(1) - Gli ultimi decenni del Settecento mostrarono le prime battute d'arresto di un'industria penalizzata dal nuovo gusto neoclassico che, prediligendo il bel vetro colorato agli ormai ripetitivi pezzi veneziani, declassò questi ultimi gradualmente da arte ad artigianato.

2 - La dominazione straniera contribuì non poco ad alimentare le difficoltà che portarono all'oblio di gran parte del patrimonio tecnico-decorativo acquisito nel passato. Infatti, la soppressione delle corporazioni artigiane nel 1806, sotto il regime francese (che solo sporadicamente per taluni fu un incentivo), e le pesanti tasse imposte dal governo austriaco sull'importazione delle materie prime e sull'esportazione dei prodotti finiti, anche per salvaguardare la propria produzione vetraria, furono alcuni dei motivi che pregiudicarono una continuazione proficua dell'attività a pieno ritmo e che, proprio nella loro chiusura, in una difficile produzione rallentata, fecero cadere dimenticate le tecniche artistico-decorative del passato.

3 - GIOVANNI MARIACHER, L'Arte del Vetro , Verona 1954.

4 - ROSA BAROVIER MENTASTI, Crisi e rinascita ottocentesca , in Mille Anni di Arte del Vetro a Venezia , Venezia 1982.

5 - ASTONE GASPARETTO, L'Ottocento , in Mille Anni di Arte del Vetro a Venezia , Venezia 1982.

6 - Dapprima lenta e difficile, perché pochi i maestri ancora capaci nelle tradizionali tecniche, e nel soffio a mano volante in particolare, l'imitazione dell'antico portò a momenti di eccezionale ripresa economica e ad esecuzioni tanto raffinate da poter rivaleggiare con i più bei pezzi dei secoli precedenti.

7 - ASTONE GASPARETTO, L'Ottocento , in Mille Anni di Arte del Vetro a Venezia , Venezia 1982.

8 - GIANDOMENICO ROMANELLI, Venezia nell'Ottocento , in Venezia nell'Ottocento , Milano 1983.

9 - E, sotto forma particolare, la situazione del vetro veneziano non si discostava di molto dal procedere delle altre espressioni artistiche dell'ambiente lagunare.

10 - L'Arte Decorativa Moderna Vittorio Zecchin , catalogo a cura di VITTORIO PICA, Galleria Pesaro, Milano, 1923, p. 9.

La Venezia a cavallo del secolo e la Venezia di Vittorio Zecchin

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(G.G. Byron, Ode to Venice)

Come s'è già detto, la scelta di Vittorio Zecchin d'intraprendere gli studi accademici, non trovò l'appoggio della famiglia. Anzi i genitori avrebbero preferito egli avesse continuato gli studi tecnici ai quali era stato indirizzato. Nonostante ciò, a sedici anni, nel 1894, si iscrive all'Accademia di Belle Arti di Venezia e viene ammesso all'anno Preparatorio .

La critica ha troppo spesso frettolosamente licenziato l'arte di Zecchin giudicandola come raffinata decorazione di stampo klimtiano. Zecchin fu, in effetti, per certi versi klimtiano, ma tale giudizio, che può anche calzare per la sua pittura, se questa viene isolata dal contesto culturale e artistico nel quale è stata concepita, diventa restrittivo nel momento in cui pittura e soprattutto alcune intuizioni geniali nelle arti applicate (dal 1915 in poi, non dimentichiamolo, Zecchin dipinse piuttosto poco) vengono reinserite nel loro habitat naturale, vale a dire la Venezia d'inizio secolo. Zecchin diventa allora un innovatore e, nel suo genere, un vero caposcuola.

La situazione cultural-artistica della Venezia di fine secolo, la Venezia in cui Zecchin visse, sotto molti aspetti si presenta simile a quella di altre città italiane; sotto altri aspetti, invece, del tutto particolare. Ed è, a mio avviso, partendo da una tale analisi culturale che Zecchin, e molti altri suoi colleghi che si mossero nell'orbita capesarina, e talvolta con rilevanza ben più incisiva rispetto al nostro, può essere giustamente riconsiderato e rivalutato. Zecchin, inoltre, come muranese sentì molto più di altri il clima stagnante dei vari settori artigianali: del vetro in modo particolare e delle arti applicate in generale. Bisogna quindi tener conto, oltre al dilagante tradizionalismo di fine Ottocento nelle arti veneziane, anche del suo diretto influsso in quelle arti cosiddette minori, proprio perché è a queste che Zecchin dedicò una gran parte dei suoi maggiori sforzi creativi.

L'ambiente artistico dell'Accademia veneziana che il giovane Zecchin incontrò negli ultimi anni del secolo, presentava lo stesso scenario da “pomposo teatro”, visto in chiave didattica, che caratterizzava la mondanità salottiera dei palazzi alla moda, della Piazza e dei Giardini (dal 1895) di una città che viveva ormai essenzialmente del suo passato e che pur si stava preparando ad entrare nel nuovo secolo.

Se la stessa penisola italiana, per tutto l'Ottocento, fu provincia, e non solo per l'arte che, da Canova in poi non ebbe più voci di tanta risonanza europea, ma un po' per tutto quello che fa di una nazione uno stato di rilevanza internazionale, Venezia rappresentò sicuramente uno tra gli esempi più emblematici del perdurare di una tradizione secolare profondamente radicata in ogni sua espressione artistica o di altro genere. La stessa caduta, cent'anni prima, della Serenissima Repubblica aveva portato solo parzialmente quelle trasformazioni sociali che in altre città italiane s'erano fatte ben più sentire. Sì, Venezia entrò, sotto la dominazione straniera, in una dimensione sociale più moderna, con cambiamenti che ne ribaltarono il modo (continua in: //xoomer.alice.it/studiomondi/vittoriozecchin.htm )


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