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Vittorio zecchin pittore


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VITTORIO ZECCHIN PITTORE

di Marco Mondi

Lo scenario della cultura veneta e veneziana nella fattispecie, storicamente così spesso isolato e chiuso nella sua turris eburnea non solo geografico-lagunare, si presentava all'alba del XX secolo come uno dei centri d'attività artistica e critica più fertili d'Italia. Fu nell' humus veneziano, infatti, che vennero ad abbeverarsi i Futuristi nella loro polemica contro il " chiaro di luna " ; così come, qualche anno prima, il dannunziano Stelio Effrena accompagnò il feretro del musicista Wagner, vero tripode di tutto il Decadentismo europeo, sulle acque della defunta Serenissima. Prese di posizione apparentemente contraddittorie, vissero ed anzi si corroborarono reciprocamente trovando in Venezia uno tra i luoghi della penisola più adatti per dar sfogo o far da culla alle proprie idee.

La decisa volontà dell'artista, sia questo pittore o scrittore, poeta o musicista, di affacciarsi sullo scenario dell'arte europea e con esso instaurare un continuo e libero scambio, fu una delle caratteristiche peculiari di tutta la prima metà del secolo. E si pensi, da un lato, all'importanza del ruolo svolto dalle numerose riviste artistico-letterarie e, dall'altro, al diffondersi nelle maggiori città italiane delle esposizioni nazionali ed internazionali d'arte. Una tappa fondamentale verso una visione moderna dell'arte italiana, conseguenza inevitabile di quanto era andato maturando per tutto l'Ottocento nella maggior parte della penisola e, in modo particolare, proprio nella città lagunare, fu la creazione della Biennale veneziana nel 1895, [1] . Al fianco della Biennale e con essa, comunque sia, sempre in continua relazione, Venezia vide sorgere Ca' Pesaro, altra istituzione cittadina dal cui studio non può prescindere chi vuole affrontare l'arte italiana dei primi anni del XX secolo.

Per un decennio almeno, sulla Venezia della Biennale e di Ca' Pesaro, e sulle loro prime accese polemiche, si concentrarono le attenzioni dell'arte e della critica italiana più accorte. Ed è impensabile, come per molti altri artisti dell'epoca attivi in città, affrontare la personalità creativa di Vittorio Zecchin prescindendo da tutto ciò. Anche perché solo così è possibile una rilettura di tutta la sua variegata e varia opera, riscattandola da quell'appellativo, talvolta tanto ricorrente, di mera decorazione per farla essere ciò che veramente è stata: arte moderna e, sotto più aspetti, arte estremamente innovativa. Sia in pittura quanto e soprattutto nelle arti applicate, si legge sempre in Zecchin la concreta volontà di voler dare un forte e profondo scossone all'arte e all'artigianato locali, arenati allora in un'oramai attardata cultura ottocentesca. Molto più d’altri artisti dell'epoca, egli assunse ben presto il ruolo, allora moderno, d’artista-designer, dando certo il suo maggior contributo nell'ambito della produzione vetraria muranese. E, a ben pensarci, l'operare secondo una logica che conduceva al design in Zecchin si manifestò assai precocemente, in piena sintonia con quanto fecero altri artisti in Italia e soprattutto all'estero (e in contesti sicuramente più avanzati anche a livello industriale); tant'è vero che le sue decorazioni pittoriche di maggior rilievo furono concepite non fine a se stesse, cioè come semplici pitture da cavalletto, bensì in funzione del luogo in cui dovevano essere collocate: gran parte del fascino della sua pittura sta nel riallacciarsi idealmente ai teleri dei grandi cicli decorativi della gloriosa tradizione pittorica veneziana ed inserirvi, concependola appositamente in funzione del luogo che andrà a decorare, la sua elegante e raffinata poesia figurativa elaborata su di una complessa sorprendente e stupefacente architettura del colore, che fa evadere la nostra immaginazione in un mondo incantato, ricco di tutta un'originale, fiabesca simbologia.

Fu il suo modo, in pittura, di reagire alla tradizione accademica e di maturare gradualmente una forma mentis creativa che lo portò con decisione alle arti applicate, operando in un ambiente artistico, quello di Ca' Pesaro, alle cui vicende e vicissitudini egli fu sempre profondamente legato, cosciente, inoltre, di lavorare inserito in un gruppo d'artisti che non fu mai cristallizzato in un preciso movimento artistico e che, forse proprio per questo, fu più aperto a quanto succedeva in Europa andando, come portata, ben oltre i confini naturali d'un agglomerato d’isole, (continua in: //xoomer.alice.it/studiomondi/ancorasuvittoriozecchin.htm )


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