Sei in: Risorse: Portfolio:

Portfolio

L’impresa veneta di antonio canova a roma: personificazione del “gusto internazionale” di un’intera


Copyright © 2000 Studio Mondi Dipinti Antichi e Moderni - Italy - All Rights Reserved - Site design and html by Studio Mondi - If you want to use anything from this site, please email to the Studio beforehand to ask for permission. - Domain name studiomondi.it created on: 10-Sep-2000 - Registrant www.studiomondi.it studiomondi@tiscalinet.it

visibile completo in //studiomondi.altervista.org/collaterale2009sezione7.htm

Sezione 7. L’impresa veneta di Antonio Canova a Roma: personificazione del “gusto internazionale” di un’intera epoca

Antonio Canova (Possagno, 1757 – Venezia, 1822), come Ja copo Bassano, fu, in assoluto, una delle massime personalità artistiche che la storia dell’arte, di tutti i tempi, abbia avuto. Più del Bassano, egli fu un eccezionale imprenditore di se stesso, tanto da far sì che il Neoclassicismo, sotto molti aspetti, sia stato uno stile, un gusto, una moda che egli interpretò e gestì imponendolo come vero e proprio canone estetico, senza possibilità di alternative, al cospetto dei più grandi personaggi dell’epoca, da Napoleone a Papa Pio VII: a tal proposito, ben ci illuminano i due interventi di Mario Guderzo riportati di seguito. Come già detto per il Bassano, anche qui vien da chiedersi che vantaggi Possagno avrebbe ancora potuto avere se Canova avesse usato mettere il nome della sua città natale, alla quale fu sempre molto legato, accanto al suo così da poter essere detto “il Possagno” o, anche, se il nome della piccola cittadina fosse, ad esempio, “Possagno del Canova”! In ambito storico artistico, sono certamente considerazioni futili, ma in una globalizzazione che è anche mediatica, e quindi d’immagine, il brand , com’è chiamato il “marchio” nel mondo imprendi toriale, come lo è per un’azienda, può essere l’indice della “qualità” anche di un territorio: l’appellativo “Marca Gioiosa” per Treviso insegna. Comunque sia, Possagno sfrutta già al meglio la sua principale fortuna, con notevoli risvolti economici ed imprenditoriali, attraverso uno dei più coinvolgenti e suggestivi complessi museali di tutto il Ve neto (e spettacolari in assoluto per la Gipsoteca), che noi non pote vamo non includere nel nostro itinerario esterno assieme all’altro significativo gruppo di sue opere che si conserva al Museo Civico di Bassano.

Di umili origini, figlio di uno scalpellino, dopo la morte del pa dre è col nonno Pasino Canova, tagliapietre e scultore, che inizia ad imparare il mestiere. Entrato nello studio di Giuseppe Bernardi (detto Torretti) a Pagnano d’Asolo, è come suo aiutante che va a Venezia; là, frequenta la galleria di antichità di Filippo Farsetti e la scuola di nudo all’Accademia. Ha le sue prime importanti commissioni e nel 1778 apre uno studio. Nel 1779 è a Roma, dove l’incisore bassanese Gio vanni Volpato lo introduce nell’ambiente artistico della città e dove poco dopo s’iscrive all’Accademia di Pompeo Batoni. Tornato a più riprese in Veneto, nel 1783 chiude il suo studio a Venezia per aprirne uno a Roma, città che da questo momento sarà il centro della sua attività artistica. Ultimo grande artista italiano di portata europea, prima che l’Italia e la sua arte cadano nel provincialismo, nelle sue prime opere vibra ancora sensuale la grande cultura figurativa veneta del Settecento. Interprete poi delle teorie winckelmanniane della « nobile semplicità, serena grandezza » e dell’“esecuzione sublime”, trova nell’antichità classica un’importante fonte d’ispirazione, recuperandone una bellezza ideale che solo l’arte ha il potere di far rivivere. Alla fredda razionalità dei canoni estetici di altri artisti suoi contemporanei, egli oppone nelle sue sculture un’umanità, un animo ed una spiritualità interiore che le lega sempre al mondo reale, anche quando è il tema della morte il soggetto delle sue opere.

Quale grandissimo scultore, egli fu anche un grande innovatore nella tecnica scultorea, nella divulgazione stessa della sua immagine e di quella delle sue opere: per diffondere la sua arte e ricevere, quindi, commissioni, faceva realizzare incisioni dove esigeva particolari soluzioni chiaroscurali e del tratto per meglio rendere l’effetto scultoreo. Nella tecnica esecutiva, egli utilizzò, come norma, i modelli in gesso a grandezza naturale dai quali trarre il marmo finale. Partiva da una prima idea attraverso l’esecuzione di veloci schizzi in disegno, talvolta ripresi con più accuratezza nell’insieme o in più dettagli. Contem poraneamente dava forma a bei bozzetti in creta (modellabili, se tenuti umidi, per lungo tempo) o più raramente in gesso, con i quali inizia va a plasmare fisicamente l’opera. Realizzava poi dei modelletti in gesso e se doveva dar forma a bassorilievi, ne sviluppava l’idea anche su tele a monocromo. Nelle fasi successive, si serviva in larga parte del lavoro degli aiutanti, facendo eseguire, sotto la sua supervisione ed intervenendo direttamente nelle parti finali, un grande modello in creta, dal quale veniva tratto un fedele calco in gesso: per l’uno e per l’altro, al fine di garantirne la solidità, utilizzava un’anima interna di sostegno (ferro, filo di ferro e talvolta legno), quasi come fosse uno scheletro. Dal modello in gesso, minato da una miriade di tubicini grazie ai quali, con un apposito complesso marchingegno di telai, squadre e piombi, ne potevano essere riportate le misure e le proporzioni esatte, gli aiutanti procedevano a sbozzare il marmo fermandosi ad un certo punto per lasciare un velo di alcuni millimetri, sul quale il maestro interveniva con la cosiddetta

visibile completo in //studiomondi.altervista.org/collaterale2009sezione7.htm


Cliente: | Anno: 2009