Sei in: Risorse: Portfolio:

Portfolio

Andrea brustolon e l’“officina” del legno


Copyright © 2000 Studio Mondi Dipinti Antichi e Moderni - Italy - All Rights Reserved - Site design and html by Studio Mondi - If you want to use anything from this site, please email to the Studio beforehand to ask for permission. - Domain name studiomondi.it created on: 10-Sep-2000 - Registrant www.studiomondi.it studiomondi@tiscalinet.it

visibile completo in //studiomondi.altervista.org/collaterale2009sezione4.htm

Sezione 4. Andrea Brustolon e l’“officina” del legno

Come per il Roccatagliata un secolo prima, anche la bottega di Andrea Brustolon (Belluno, 1662 – 1732) era un’azienda che produceva prevalentemente opere d’arte applicata, in legno, ebano o avorio, ed altri lavori di minor rilevanza più propriamente artigianali. Anzi, la tipologia di questo genere di botteghe, più ancora di quelle che producevano bronzetti (sempre strettamente legate all’arte della scultura vera e propria), era a tutti gli effetti, e talvolta solo, artigianale: la lavorazione del legno per far mobili, decorazioni, intagli o fin anche altari di chiese, richiedeva buone conoscenze tecniche ed esecutive, ma spesso nient’altro ed ogni paese e località, anche la più remota, aveva il suo “marangòn”, o più di uno, che ogni tanto si dedicava pure a far sculture, grezze e popolari. Andrea Brustolon fu prima, ed innanzi tutto, uno scultore ed un artista e, sotto la sua direzione, anche la sua bottega, quando eseguiva opere strettamente artigianali, realizzava lavori con uno standard qualitativo sempre molto elevato. Con circa due secoli d’anticipo, si può dire che, Brustolon, davvero, con la sua genialità, abbia innalzato il genere delle arti applicate alla pari di ogni altro genere delle cosiddette arti maggiori: egli parificò la scultura lignea a quella in marmo e non solo facendo, come fece, sculture in legno poi dipinte a finto marmo, ma per qualità inventiva ed esecutiva. Non a caso, infatti, in ambito veneto, egli ha praticato un profondo rinnovamento della scultura lignea, aggiornandola alle tendenze figurative più importanti della sua epoca, e una vera rivoluzione nel campo dell’ebanistica, tale da essere in quegli anni quasi l’unico punto di riferimento in questo settore: la recente e splendida mostra di Belluno, che non enfaticamente nel suo titolo balzacchiano definisce l’artista “il Michelangelo del legno”, lo ha dimostrato chiaramente. La scultura lignea fu da sempre oggetto dell’attenzione di molti artisti, che ne hanno fatto capolavori; ma era l’artista che decideva di impiegare il legno quando gli si presentava la necessità o l’esigenza. Nel caso del Brustolon, il processo è inverso: egli sente il legno come la materia che più di ogni altra gli permette di esprimere la sua più autentica indole artistica, quasi come non fosse lui a sceglierla ma lei a scegliere lui. Che realizzi sculture nel senso stretto della parola o che debba realizzare mobili, seggioloni, mensole, altari, tabernacoli o cornici, egli è sempre artista: non intaglia il legno, lo “scolpisce”. Brustolon, nelle sue “arti” applicate, sia in campo liturgico che in campo profano negli arredi gentilizi, parte dallo scheletro della struttura del l’“ oggetto” e qui vi elabora le sue forme scultoree che ne arricchiscono il decoro e lo riscattano dal suo uso pratico per renderlo opera d’arte, pezzo unico, capace non solo di farsi interprete delle sue esperienze artistiche, ma anche di quelle dell’epoca e dell’ambiente in cui ha operato, trasmettendo ogni sorta di valore simbolico, religioso o umano. I suoi arredi sono sculture a tutti gli effetti e come tali possono essere letti al pari di ogni altra opera scultorea, con ritmo, ponderazione e simmetria. Con un gusto per la scenografia barocca e spettacolare (che mai perderà completamente), dove realtà ed illusione si compenetrano, egli ragiona per insieme e per insiemi da collocarsi all’interno di uno spazio abitativo o di frequentazione liturgica: come per i “paramenti Venier”, ad esempio, dove si sente quella necessità di dialogo tra opera ed opera e tra opera ed ambiente che l’accoglie con una valenza quasi “urbanistica” dell’arredo per interni che, come monumenti polarizzanti, rende le sue opere un punto di riferimento ottico per una dinamica fruizione dello spazio, creando dei percorsi contemplativi che hanno lo scopo di concentrare (ma anche distrarre, e questo è un sintomo di un Barocco che si sta trasformando in Rococò) l’attenzione contemporaneamente sull’opera, sullo spazio che va a decorare e sulla personalità del committente. Sono lavori che non passano mai in secondo piano, cioè da sfondo ad altre opere, ma si rendono protagonisti di quello spazio interno, recitando un ruolo primario e, talvolta, a danno proprio di un’altra opera d’arte: l’altare, ad esempio, e la pala d’altare che esso contiene; le console porta vasi oggi a Ca’ Rezzonico, i moretti ed i telamoni, certo sovrastano, facendole passare in secondo piano, le opere per la quale sono stati pensati come supporto. Alla console del Museo Civico di Treviso o alle due braccia reggi lume presentate in mostra, ci si avvicina come a delle sculture, perché questo sono, e non come a due oggetti d’uso pratico, un tavolo e due applique .

Sembra che Andrea Brustolon sia arrivato a Venezia nel 1677, quindicenne, rimanendovi fino all’inizio del decennio successivo (forse intervallando la sua permanenza con un improbabile viaggio a Roma) ed aprendovi anche bottega. La sua formazione, quindi, avviene nella capitale ed è a tutto campo, studiando disegno, modellato in terracotta, scultura monumentale e scenografia, e ponendo particolare attenzione alla pittura e alla scultura del suo tempo e delle epoche precedenti, nonché alle antichità. Le sue prime opere mostrano un’impostazione saldamente legata al Barocco lagunare dove, in scultura, avevano primeggiato e primeggiavano, con esiti più o meno rilevanti, le personalità di Girolamo Campagna, di Giacomo Piazzetta, di Giusto Le Court (che era fiammingo), di Francesco Terilli (attivo anche a Belluno), di Bernardo Falconi, di Francesco Cravioli o de’ “l’Ongaro” Melchior Barthel. Lo interessa la scultura tardo cinquecentesca di un Sansovino o di un Vittoria, che interpreta però non in chiave manieristica ma in senso naturalistico. Suggestiva dovette apparire ai suoi occhi, almeno inizialmente, la pittura dei Tenebrosi, che trasmette ai suoi lavori aspetti truculenti e drammatici, naturalistici in senso caricato e talvolta quasi grottesco, capaci di spingerlo verso una foga oratoria addirittura ostentata nervosamente nella “psicologia” della carne, della muscolatura, delle fisionomie e delle espressioni emotivamente coinvolgenti, con un sentito gioco chiaroscurale e luministico. Accanto ai tenebrosi, ma con esiti qualitativi generalmente minori, operava anche una schiera di pittori cosiddetti “della realtà”, in quanto nelle loro raffigurazioni puntano l’obiettivo su scene “reali”, nature morte o ritratti realistici: certi inserti di raffigurazione di animali e di piante, ma non solo, nelle opere del Brustolon suggeriscono che anche queste raffigurazioni non furono trascurate. Altri spunti dovette certo recepirli da scultori specializzati negli intagli lignei come Francesco Pianta, Pietro Morando o Michele Fanoli e,

visibile completo in //studiomondi.altervista.org/collaterale2009sezione4.htm


Cliente: | Anno: 2009