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Corso teorico-pratico

L' ELETTRICITA'
Corso teorico-pratico
Parte 1ª
Introduzione

Scopo del corso è quello di introdurre i concetti di base della tecnica legata all'utilizzo dell'energia elettrica, tramite una trattazione elementare, adatta anche a chi è completamente a digiuno della materia. Non si esporranno quindi complesse teorie scentifiche né si farà riferimento a formule di difficile applicazione: esistono già svariati libri sull'argomento, che trattano la materia in modo approfondito, ma la possibilità di trarne reale vantaggio è legata al possesso di una valida preparazione a monte.
Le pagine che seguono, usando un linguaggio facilmente comprensibile a tutti, consentiranno di impadronirsi di quelle poche nozioni di base, indispensabili per utilizzare l'energia elettrica con più consapevolezza, con maggiori vantaggi, ed anche, diciamo la verità, con la soddisfazione di capirci qualcosa di piu'.

Parliamo dunque della corrente elettrica. Come dice la parola stessa, corrente e' qualcosa che scorre, che fluisce. Semplificando, la corrente elettrica e' un flusso di cariche elettriche che ha luogo all'interno di alcuni materiali. Tali materiali, proprio perche' si prestano a consentire questo flusso, vengono definiti conduttori. Altri materiali, che invece si oppongono al passaggio della corrente, vengono definiti isolanti .

I materiali conduttori che piu' ci interessano sono i metalli (ad esempio il rame, l'argento e l'alluminio, che vengono usati per costruire i cavi elettrici) ed i tessuti organici, vale a dire il nostro corpo (purtroppo anche noi siamo dei conduttori!).
Tra i materiali isolanti ricordiamo il vetro, il marmo, la plastica, la gomma, il sughero, il legno e la carta (se sono ben asciutti).



E' importante osservare che il flusso di corrente all'interno di un corpo, non e' qualcosa che viene dall'esterno: ogni corpo e' fatto di atomi, e sono proprio gli elettroni degli atomi che, per effetto di una forza applicata dall'esterno, cominciano a spostarsi da un atomo all'altro, dando origine al flusso di cariche chiamato corrente elettrica.
La forza esterna che determina lo spostamento degli elettroni è detta forza elettromotrice , o anche tensione o differenza di potenziale (in realtà questi tre nomi non hanno esattamente lo stesso significato, ma analizzeremo in seguito le sottili differenze che esistono tra essi).
La corrente elettrica puo' essere debolissima, come quella che, all'interno degli organismi viventi, trasmette gli impulsi nervosi; puo' essere abbastanza forte, come quella che accende la lampadina della nostra stanza, e puo' essere fortissima, come quella che fonde i metalli in un altoforno o fa camminare un treno a 150 km all'ora.

Sappiamo bene che oggi senza la corrente elettrica si fermerebbe tutto, a cominciare dal computer dove stiamo leggendo queste parole. Dove troviamo la corrente in casa nostra? Naturalmente nelle prese, le comunissime prese di corrente . Occorre pero' fare una precisazione: nelle prese non c'e' la corrente, ma c'e' la tensione , ovvero quella forza che spinge gli elettroni a muoversi, dando origine alla corrente. Questa forza ha un valore ben preciso, che si indica con un numero, abbinato ad una unita' di misura: il volt
Così come diciamo che una cassa pesa 90 kg oppure che un palazzo è alto 15 metri, possiamo dire che la tensione disponibile nelle prese di casa nostra misura 220 volt.
Osservando una presa, vedremo che in essa ci sono tre fori: lasciamo perdere per il momento il foro centrale, che ha solo una funzione di sicurezza, e parliamo dei due fori laterali. La forza elettromotrice, o tensione, di 220 volt, e' presente sui fori laterali (in realta' solo uno dei due fori è realmente sotto tensione, ma questo si capirà meglio in seguito). Per semplificare, possiamo immaginare che in uno dei fori sia presente la forza che serve a spingere le cariche elettriche e che l'altro, al contrario, serva per ricevere le cariche che, uscite dal primo foro, hanno terminato il loro percorso utile nel circuito esterno alla presa.
La tensione presente sulla presa non produce alcun effetto finche' niente vi viene inserito; nel momento in cui vi inseriamo una spina, per esempio la spina di una lampada, non facciamo altro che creare un collegamento tra il foro che spinge e quello che risucchia: nel filo della lampada comincia a scorrere una corrente elettrica, che ha come effetto l'accensione della lampadina. In figura 1 e' schematizzato il percorso seguito dalla corrente, supponendo che essa si sposti nel verso indicato dalle piccole frecce bianche: la corrente esce dal foro numero 1, percorre il filo di collegamento ed arriva alla lampadina sulla parte filettata, o torso, indicata con T; il torso e' a sua volta collegato col filamento e cosi', come si vede in figura, la corrente prosegue il suo percorso, attraversando il filamento della lampada (che si accende) ed uscendo dall'altro punto di contatto, rappresentato dal bottone metallico situato sul fondo della lampadina, indicato con C. Da qui la corrente, percorrendo il filo di ritorno, arriva nuovamente alla presa, dove entra nel foro numero 2 e se ne va.
E' bene adesso spendere qualche parola sulla lampadina: come mai alcune lampade fanno tanta luce ed altre ne fanno molto poca, pur essendo tutte ugualmente collegate alla stessa presa dove, abbiamo visto, ci sono 220 volt? La spiegazione e' nella quantita' di corrente che passa nella lampadina. Quelle che fanno poca luce vengono attraversate da poca corrente; quelle che fanno piu' luce vengono attraversate da una corrente piu' forte.

Abbiamo visto che la corrente scorre per effetto di una forza detta forza elettromotrice o tensione; c'e' pero' qualcosa che contrasta di più o di meno questa forza e tende a frenare lo scorrere degli elettroni: questa forza frenante, che dipende dalla natura del materiale attraversato, viene detta resistenza elettrica.



Maggiore e' la resistenza e minore e' la corrente che riesce a passare (abbiamo visto che in certi materiali, detti isolanti, la corrente non passa per niente). Le lampadine che fanno piu' luce sono costruite in modo tale che il loro filamento, cioe' quel filo che si scalda e diventa incandescente, abbia una resistenza bassa e possa quindi far passare piu'corrente. Questo risultato si puo' ottenere in vari modi:
1- si puo' usare un materiale che per sua natura abbia una minore resistenza elettrica e quindi presenti una maggior attitudine ad essere attraversato dalla corrente
2- a parita' di materiale, si puo' usare un filo piu' grosso: piu' e' grosso il filo, maggiore e' la corrente che riesce a passare
3- si puo' fare in modo che la lunghezza del filo sia minore: piu' corto e' il filo, piu' corrente passa.

Riepilogando possiamo dire che:
Un materiale puo' essere attraversato da corrente se e' conduttore.
La corrente che passa in un materiale dipende da due fattori:
1- dalla forza elettromotrice, o tensione, applicata
2- dalla resistenza del materiale



Con riferimento ad un conduttore di determinate dimensioni, se indichiamo con V la tensione applicata, con I la corrente che attraversa il conduttore e con R la sua resistenza, possiamo esprimere matematicamente la relazione che esiste fra le tre grandezze:



Aggiungiamo che la tensione si misura in Volt (lo abbiamo gia' visto), la corrente si misura in Ampere e la resistenza si misura in Ohm.
In pratica questo vuol dire che conoscendo il valore di due delle tre grandezze in gioco, e' possibile calcolare la terza. Se io ho un utilizzatore la cui resistenza R e' di 44 ohm e lo collego ad una tensione V di 220 volt, posso dire subito che nel mio utilizzatore passera' una corrente di 5 ampere, perche' 220 : 44 da' come risultato 5.
Due parole sulla potenza elettrica Quando una lampada fa piu' luce di un'altra si dice comunemente che e' di maggiore potenza: cerchiamo allora di definire esattamente che cos'è la potenza e come può essere calcolata. E' intuitivo dire che la potenza dipende dalla corrente assorbita, ma non basta, perchè se io faccio funzionare la stessa lampada con una tensione più alta, ottengo una luce ancora più forte (e magari la lampada mi si brucia). Ciò significa che per parlare di potenza devo considerare non solo la corrente assorbita, ma anche la tensione a cui la lampada assorbe una certa corrente: questo porta a concludere che, dal punto di vista numerico, la potenza si calcola moltiplicando la tensione per la corrente.

Figura 2



Per chiarire meglio quanto affermato, consideriamo le due lampadine illustrate in figura 2: quella a sinistra è una lampadina per fari di automobili, ed è progettata per funzionare con la batteria da 12 volt; quella di destra è una comune lampada per l'illuminazione casalinga a 220 V. Pur essendo diverse nella forma e nella tensione di funzionamento, le due lampade sono progettate per assorbire la stessa potenza di 40 W; infatti, la prima, collegata alla batteria dell'auto, assorbe una corrente di 3, 3 A mentre la seconda, collegata alla presa da 220 V, assorbe una corrente di 0, 18 A. Calcoliamo la potenza nei due casi: per la lampada da auto abbiamo P = 12 x 3, 3 = 39, 6 watt; per la lampada di tipo domestico abbiamo P = 220 x 0, 18 = 39, 6 watt. Come si vede, a parità di potenza, più bassa è la tensione di funzionamento, più alta è la corrente assorbita.
Tutti i dispositivi che funzionano con la corrente elettrica, sono chiamati utilizzatori. La nostra casa e' piena di esempi di utilizzatori: frigorifero, lavatrice, asciugacapelli, televisione, stufette elettriche, tutti i dispositivi di illuminazione (piantane, lampadari, ecc.) e tanti altri. Se avete in casa il contatore, quella scatola nera con un disco che gira e che misura l'energia consumata, divertitevi a vedere come il disco gira con velocita' diverse a seconda degli utilizzatori che accendete; noterete che girera' piano quando attaccate per esempio un frullatore o un ventilatore, ma girera' molto piu' velocemente se attaccate alla corrente una stufetta o il forno elettrico. In pratica la velocita' di rotazione del disco dipende dalla corrente che in quel momento sta passando negli utilizzatori che voi avete collegato alla rete elettrica. Ogni utilizzatore e' caratterizzato da due dati: la tensione di funzionamento e la potenza che assorbe quando funziona a quella tensione. La tensione di funzionamento deve essere assolutamente rispettata, pena la distruzione dell'utilizzatore stesso; attualmente, come abbiamo gia' visto, la tensione nelle nostre case ha il valore unificato di 220 volt, e quindi e' poco probabile che un utilizzatore venga collegato ad una tensione errata. La potenza puo' variare, anche di molto, da un apparecchio all'altro; un televisore da 14 pollici assorbe circa 50 W, un trapano elettrico circa 450 W, un forno puo' assorbire piu' di 1500 W. Non e' possibile in genere far funzionare in casa utilizzatori di potenza superiore a circa 3000 W, altrimenti scatta la protezione di sovraccarico e si resta al buio. Naturalmente il discorso vale anche per piu' utilizzatori di potenza minore, ma fatti funzionare contemporaneamente: una lampada da 250 w, accesa mentre si usa un asciugacapelli da 1500 w, e mentre magari ci si scalda con una stufetta da 750 w, equivale ad una potenza totale assorbita di 250+1500+750, e cioe' 2500 w.
Una volta era comune trovare nelle case piu' di una tensione: non solo 220, ma anche 160 e 110 volt. Qualcuno si divertiva a prendere una lampada del tipo a 160 volt e la collegava a 220. La lampada faceva una bella luce vivida, molto piu' bianca e forte di quella normale, ma dopo poche ore era bella che bruciata! Questo succede perche', a causa della forza elettromotrice (o tensione) troppo elevata, nella lampada passa una corrente superiore a quella che il filamento puo' sopportare senza distruggersi. Se la stessa lampada fosse stata progettata per funzionare a 220 volt, il suo filamento sarebbe stato costruito con filo piu' sottile e sarebbe stato piu' lungo, in modo da opporre una maggiore resistenza alla corrente che cerca di passare sotto la spinta di una tensione piu' elevata. Questo ragionamento trova conferma nelle tre formule che abbiamo visto prima: una di esse ci dice che la corrente e' pari al valore della tensione diviso il valore della resistenza; e' chiaro quindi che se una lampadina deve funzionare ad una tensione piu' alta, deve essere maggiore anche la sua resistenza. Ma e' possibile calcolare quanto vale la resistenza di un filo? Certamente, e' possibile calcolare la resistenza di qualsiasi corpo o materiale, in base alle sue dimensioni ed alla sua composizione chimica e fisica.
Tanto per gradire, anche la resistenza elettrica si calcola con una formula:

Forse non tutti conoscono quella lettera che sembra un nove allo specchio: si tratta di una lettera greca, e si chiama ro. Con questa strana lettera ro (ma si potrebbe usare qualsiasi altra lettera) si indica la resistivita' , cioe' una caratteristica fisica che è specifica di ciascun materiale: il rame, per esempio, ha una resistivita' minore del ferro e quindi e' piu' adatto a far passare la corrente. Il nichelcromo ha una resistivita' elevata, pari a circa 60 volte quella del rame, e cosi' risulta adatto per la costruzione di resistenze elettriche, cioe' apparecchiature che sono utili proprio perche' presentano una resistenza elevata.
Come esempio, proviamo a calcolare la resistenza di un filo di nichelcromo avente una sezione di 0, 2 mm quadrati e una lunghezza di 10 metri. Occorre conoscere quanto vale la resistivita' del nichelcromo; cercando in un apposito manuale si trova

resistivita' del nichelcromo = 0, 9 ohm mmq/m

il che significa 0, 9 ohm di resistenza per ogni metro di lunghezza, quando la sezione misura 1 millimetro quadrato.
Moltiplico il valore della resistività (0, 9) per la lunghezza del mio filo, che era 10 (metri) e poi divido per la sezione, che era 0, 2 (millimetri quadrati)

figura 3


: ottengo come risultato 45; siccome e' il valore di una resistenza, diremo 45 ohm. Tanto per dare soddisfazione a qualche matematico di passaggio, possiamo analizzare la formula della resistenza dal punto di vista dimensionale (figura 3): si verifica facilmente che esprimendo la resistività in ohm mmq/m, la lunghezza in m e la sezione in mmq, si ottiene il valore della resistenza in ohm.
Qui finisce la prima parte.

L' ELETTRICITÀ
Corso teorico-pratico
Parte 2ª
Nella parte 1ª abbiamo parlato di tensione, corrente e resistenza, facendo sempre riferimento alle prese di corrente che si trovano nelle nostre case: l'elettricità che vi arriva è prodotta in apposite centrali elettriche e viaggia attraverso linee lunghe anche centinaia di chilometri. Esistono comunque altre sorgenti di elettricità, ciascuna con caratteristiche proprie e, come vedremo, molto diverse l'una dall'altra.
Tutti noi ci siamo serviti almeno qualche volta delle pile, le comuni pile dette anche, impropriamente, batterie; le abbiamo usate magari per far funzionare la radiolina o il walkman.
Quattro tipi di pile, tutte con la stessa tensione di 1, 5V; da sinistra a destra: ministilo, stilo, mezza torcia, torcia.


Quelle cilindriche, per esempio, esistono in vari formati (ministilo, stilo, mezzatorcia, torcia), ma forniscono tutte la stessa tensione: 1, 5 volt. Che differenza c'è allora tra una pila e l'altra? La risposta più intuitiva è: la quantità di energia che essa contiene. Se ad una di queste pile colleghiamo una piccola lampadina da torcia elettrica, adatta a funzionare a 1, 5 volt, la lampadina si accenderà nello stesso identico modo con ciascuna pila; vedremo, però, che con una pila grande la lampadina rimarrà accesa più a lungo. Tale durata, che è tanto maggiore quanto più grande è la pila, è determinata da quella che viene definita "capacità" della pila. La capacità è una grandezza che tiene conto sia della corrente erogata, sia del tempo per cui la pila riesce ad erogare tale corrente; per questo motivo, la capacità si calcola moltiplicando la corrente per le ore, e si misura in Ah (cioè: amper-ora). Per fare un esempio, con la stessa pila possiamo far accendere per due ore una lampadina che assorbe una corrente di 0, 5 A, oppure per quattro ore una lampadina che assorbe 0, 25 A (cioè metà corrente della precedente); se calcoliamo la capacità, abbiamo nel primo caso: 0, 5 x 2 = 1 Ah e nel secondo caso: 0, 25 x 4 = 1 Ah. La capacità è in ogni caso di 1Ah.
Occorre comunque precisare che, a parte ciò che si è detto sulla diversa capacità, le dimensioni della pila determinano anche la massima corrente che questa può fornire: proprio a causa delle diverse caratteristiche costruttive, una pila piccola non potrà mai fornire la corrente che è in grado di erogare una pila grande, nemmeno per un istante brevissimo.

Batteria da 12V per auto; questa nella foto ha una capacità di 60 Ah


Quanto si è detto fino ad ora, vale per quegli altri generatori di energia elettrica, come gli accumulatori o le batterie che troviamo nelle nostre auto o nei telefonini cellulari. A differenza delle pile, questi sono ricaricabili, sono cioè in grado di incamerare nuovamente l'energia che hanno fornito e possono quindi essere usati per parecchio tempo. Una batteria per auto, come molti sapranno, ha una tensione caratteristica di 12 volt, mentre la capacità può variare da circa 35 Ah a 70 od 80 Ah o più. Quella raffigurata a lato ha una capacità di 60 Ah: può fornire, ad esempio, 1 A per 60 ore, oppure 5 A per 12 ore, o ancora 10 A per 6 ore.
Più alta è la capacità della batteria e più forte è la corrente che essa può fornire: in certi istanti, per esempio all'avviamento del motore, la batteria eroga, sia pure per tempi brevissimi, una corrente detta di spunto che può arrivare ad alcune centinaia di ampere: è chiaro quindi che una batteria di maggiore capacità facilita l'avviamento del motore anche in condizioni sfavorevoli.
Ma esiste una grande differenza fra la tensione di una batteria (o pila o accumulatore) e quella che noi troviamo nelle prese di casa nostra.
Non parlo del diverso valore, e cioè dei 220 volt di casa o dei 12 volt della batteria dell'auto, ma di una proprietà caratteristica che comporta tutta una serie di vantaggi e svantaggi, che cercheremo di analizzare per sommi capi. Tornando alla nostra pila, la comune pila a stilo per esempio, osserviamo che essa viene utilizzata tramite due contatti metallici, che si trovano sulle due estremità opposte. Da un lato troviamo un bottoncino metallico largo pochi millimetri che sporge al centro di una superficie di plastica; in genere in sua corrispondenza è disegnato un " + ". Dall'altra parte troviamo il fondo della pila, completamente in metallo, che è quello che in genere viene a contatto con una molla, quando la pila viene inserita nell'apparecchiatura ove deve funzionare. I due punti di contatto che abbiamo visto vengono chiamati "poli". Per la precisione uno, quello dove c'è il bottoncino piccolo contrassegnato col "+", viene detto polo positivo; l'altro, il fondo metallico della pila, è il polo negativo. La corrente fornita da una pila (o da una batteria o accumulatore che dir si voglia) esce sempre dal polo positivo, attraversa l'utilizzatore (per esempio la lampadina) e rientra dal polo negativo. Finchè la pila è carica ed eroga corrente, questa fluisce sempre nella stessa direzione e con un valore praticamente costante: una corrente con tali caratteristiche viene definita "corrente continua" .
Ben diversa è la corrente che usiamo in casa prelevandola dalle prese, e che è detta corrente di rete. Tanto per farci un'idea del suo comportamento, possiamo supporre che per un breve tempo la corrente esca da un foro della presa e rientri in quell'altro (vedi figura: istante 1 ); subito dopo immaginiamo che la stessa corrente cominci ad uscire dal foro in cui prima rientrava, per rientrare in quello da cui prima usciva ( istante 2 ). Supponiamo poi che, dopo un altro breve intervallo di tempo, la situazione si inverta ancora, e così via all'infinito. Nel caso specifico delle reti elettriche in Italia, la corrente cambia effettivamente direzione (o, meglio, "polarità") 50 volte al secondo; ciò vuol dire che nel breve intervallo di un cinquantesimo di secondo, la corrente scorre in un verso per la prima metà (e quindi per un centesimo di secondo) e nel verso opposto per l'altra metà (l'altro centesimo di secondo). Ma non basta: oltre a cambiare direzione, la corrente fluisce con un valore che non è costante, ma varia da zero ad un massimo e poi di nuovo a zero. Una corrente con tali caratteristiche viene definita "corrente alternata" , ed è quella che più usiamo nella vita di tutti i giorni, senza renderci conto di come essa sia "inquieta".
Per chi ama i grafici ed ha un pò di confidenza con essi, la corrente alternata si può rappresentare come nella figura che segue.
Proviamo ad analizzare il grafico; in orizzontale è rappresentato il tempo, con valori che vanno da 0 a 20 millisecondi, mentre sull'asse verticale, a sinistra, si trovano i valori di tensione. Vediamo che, a partire dal tempo 0, il valore della tensione cresce e, a 5 millisecondi dall'inizio, raggiunge un valore massimo di 310 volt. La tensione comincia poi a scendere, ed arriva a zero quando sono passati 10 millisecondi dall'inizio.
Si vede poi che la tensione scende al di sotto del valore 0, per raggiungere nel punto più basso un valore di -310 volt. Cosa significa il meno davanti al numero? Niente di particolare; una tensione di -310 volt è esattamente uguale ad una di 310 volt: l'unica differenza è che la corrente scorre in senso contrario. La tensione riprende poi a salire e, a 20 millisecondi dall'inizio, torna a zero. Da questo momento ricomincia un altro ciclo, esattamente uguale a quello appena visto. Come abbiamo detto, questi cicli completi si ripetono 50 volte in un secondo, e con la stessa successione di valori: per tale motivo, si dice che la corrente alternata ha una frequenza di 50 hertz, ed è una grandezza periodica; per essere più precisi, la tensione di rete è una grandezza "sinusoidale", poiché i valori che assume nell'ambito di un ciclo corrispondono esattamente ai valori della funzione matematica chiamata "seno".
Ci sono ancora altre osservazioni da fare, ma credo di avervi annoiato a sufficienza. Non so quanti di voi saranno arrivati a leggere fin qua. Per chi ce l'ha fatta, appuntamento con la Parte 3ª .