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Il cane da guardiania1

"Il Cane da Guardiania nelle aziende Agro-Zootecniche moderne:
Necessità di un allevamento standardizzato" a cura del dottor Francesco Andriulli

Capitolo I


Premessa:


“Ora come ho promesso nel libro precedente, parlerò dei guardiani silenziosi,
quantunque sia errato chiamare il cane guardiano silenzioso.
Qual è l'uomo che denuncia tanto chiaramente come fa il cane con il latrato, o con
altrettanto volume di voce, la presenza di un animale selvatico o di un ladro? Quale
servo è più affezionato al padrone? Chi gli è compagno più fedele? Dove è un custode
più incorruttibile? Quale sentinella più vigilante si può trovare? Quale vendicatore è
punitore più costante? Perciò si può dire che questo è uno dei primi animali che
l'agricoltore deve comprare e allevare, perché custodisce la villa e i frutti, gli schiavi
e il bestiame. Nel comprare un cane si possono seguire tre criteri. Infatti c'è una
varietà che si sceglie per difendersi dalle insidie degli uomini, e questa è adatta a
custodire la villa e le adiacenze. Una seconda varietà e adatta ad opporsi non solo
alle insidie degli uomini, ma anche a quelle degli animali feroci, e quindi custodisce
la stalla e i greggi e gli armenti al pascolo. La terza varietà si tiene per la caccia,
essa non solo non giova affatto all'agricoltore ma anzi lo distoglie e lo rende
svogliato del suo lavoro.
Dobbiamo dunque parlare del cane da cortile e di quello pastore, il cane da caccia
non ha niente a che fare con l'agricoltura.
Per la villa bisogna scegliere un custode di corpo grande e grosso, di latrato
risonante e acuto, primo perché atterrisca i malandrini facendosi sentire, e poi anche
con lo spavento che incute la sua vista, e qualche volta senza neppure farsi vedere,
mette in fuga chi tenta di rubare solo con il suo sordo mugolio.
Sia però di colore unito, il bianco è da preferirsi per il cane da pastore, il nero per
quello da cortile, il mantello pezzato non è pregevole ne nel primo ne nel secondo
tipo. Il pastore preferisce il bianco perché è molto diverso dal colore delle bestie
selvatiche, e di questa diversità c'è grande bisogno quando si dà la caccia ai lupi,
nella luce incerta del primo mattino o del crepuscolo, per non correre il pericolo di colpire il cane al posto della fiera.

Ma il cane da cortile che si oppone ad incursioni di uomini, quando il ladro venga ne
il giorno chiaro a certo un aspetto più terribile se è nero, di notte poi non si vede
perché somiglia alle tenebre, e perciò, coperto da esse, il cane può avvicinarsi
all'insidiatore con meno pericolo.
Si preferisce quadrato piuttosto che lungo e tozzo, con il capo tanto grande che
sembri la maggior parte del corpo, con le orecchie abbassate e pendenti, con occhi
neri o glauchi, lucenti di una luce fiera, con il petto ambio e peloso, spalle larghe,
zampe tozze e irte, coda corta, spesse callosità, larghissime dita e unghioni alle
zampe, che i greci chiamano artigli. Questa sarà la conformazione più pregevole in
un cane da cortile.
La sua indole non deve essere ne mitissima ne per contrario truce e crudele, il primo
infatti blandirebbe anche un ladro mentre il secondo assale anche la gente di casa. E'
sufficiente che sia duro, e non abbia nessuna carezzosità, in modo che qualche volta
guardi male i suoi compagni di servitù, e sempre si infuri contro ogni estraneo.
Sopratutto questi cani devono dimostrarsi vigilanti nel fare la guardia e non
sbagliarsi facilmente, ma essere assidui e circospetti piuttosto che temerari. Nel
primo caso segnalano solo quello di cui hanno certezza, mentre nel secondo si
eccitano per ogni vano rumore o falso sospetto.
Ho creduto opportuno enumerare queste qualità, perchè non solo la natura, ma anche
l'educazione forma l'indole, perciò quando avremmo la possibilità di comprare un
cane, scegliamolo in base alle cose dette, e quando alleveremo i cagnolini nati in
casa, formiamoli secondo questi criteri.
Non ha molta importanza che i cani da cortile siano pesanti di corpo e poco veloci,
essi devono lavorare da vicino e camminando, piuttosto che da lontano e slanciandosi
a corsa. Stanno sempre intorno ai chiusi e nell'interno degli edifici, anzi non devono
allontanarsene neppure poco e fanno a perfezione l'ufficio loro se avvertono
acutamente l'odore di chi si avvicina e lo spaventano con il latrato e non gli
permettono di avvicinarsi, o con somma costanza e con violenza assalgono chi tenta
di farsi avanti. La prima cosa infatti è che il cane non si lasci attaccare, la seconda
che, quando è provocato, si difenda con forza e con tenacia. E questo basta intorno ai
guardiani della casa, veniamo ora al cane da pastore.

Un cane pecoraio non deve essere ne tanto magro e veloce come quelli che inseguono
i daini e i cervi e gli altri animali più veloci, ne tanto grosso e pesante come il
guardiano della casa o del granaio, ma robusto e alquanto violento e battagliero,
dato che si tiene appunto perché lotti e combatta, deve anche saper correre, quando
c'è da respingere le insidie del lupo e inseguire il rapitore nella sua fuga, fargli
lasciar la preda e portarla via. Perciò in previsione di questi casi il meglio è che sia
di corpo lungo e snello, piuttosto che corto o quadrato, pèrché ripeto si presenta ogni
tanto la necessità di inseguire velocemente un animale selvatico. Quanto alle altre
parti del corpo, si ritiene che siano buone quando assomigliano a quelle del cane da
cortile.
All'una e all'altra specie si devono dare all'incirca cibi dello stesso genere. Se i campi
sono tanto vasti che possono nutrire greggi e armenti, farina d'orzo e siero sono il
miglior sostentamento di tutti senza distinzione. Se invece il fondo è piantato ad alberi
e frutti e privo di pascolo, si possono nutrire con pane di farro bagnato nell'acqua in
cui sono state cotte le fave, ma tiepida, calda fa venire la rabbia.
Ne ai maschi ne alle femmine si deve permetter l'accoppiamento avanti l'anno, se si
concede loro quando sono ancona teneri, consuma il corpo e le forze e degenera la
loro indole. Bisogna portare via i nati alle cagnoline che partoriscono per la prima
volta, perché queste principianti non possono nutrire bene i piccoli e l'allattamento
nuoce al completo sviluppo del corpo. I maschi possono generare con forze giovanili
fino ai dieci anni, ma dopo questo tempo non si dimostrano più adatti a fecondare le
femmine, perché la prole dei cani vecchi è sempre ignava. Le femmine sono adatte al
concepimento fino ai nove anni e dopo il decimo non valgono più niente. Durante i
primi sei mesi, finché abbiano preso forza, non bisogna mandar fuori i cagnolini se
non vicino alla madre per giocare e scherzare. Dopo si devono legare alla catena
durante il giorno e lasciar liberi la notte. Non lasciamo mai allattare da un'altra
madre quelli di cui vogliamo conservare intatta la razza, perché sempre il latte e lo
spirito materno nutre e sviluppa il corpo, ma anche il carattere.
Se anche alla madre però manca il latte, più di ogni altro converrà dare ai piccoli
latte di capra fino a quattro mesi. Bisogna chiamarli con nomi non troppo lunghi in
modo che rispondano più in fretta alla chiamata, ma nello stesso tempo i nomi non
devono essere più brevi di due sillabi. Vanno bene il nome greco Skylax, il latino

Un cane pecoraio non deve essere ne tanto magro e veloce come quelli che inseguono
i daini e i cervi e gli altri animali più veloci, ne tanto grosso e pesante come il
guardiano della casa o del granaio, ma robusto e alquanto violento e battagliero,
dato che si tiene appunto perché lotti e combatta, deve anche saper correre, quando
c'è da respingere le insidie del lupo e inseguire il rapitore nella sua fuga, fargli
lasciar la preda e portarla via. Perciò in previsione di questi casi il meglio è che sia
di corpo lungo e snello, piuttosto che corto o quadrato, pèrché ripeto si presenta ogni
tanto la necessità di inseguire velocemente un animale selvatico. Quanto alle altre
parti del corpo, si ritiene che siano buone quando assomigliano a quelle del cane da
cortile.
All'una e all'altra specie si devono dare all'incirca cibi dello stesso genere. Se i campi
sono tanto vasti che possono nutrire greggi e armenti, farina d'orzo e siero sono il
miglior sostentamento di tutti senza distinzione. Se invece il fondo è piantato ad alberi
e frutti e privo di pascolo, si possono nutrire con pane di farro bagnato nell'acqua in
cui sono state cotte le fave, ma tiepida, calda fa venire la rabbia.
Ne ai maschi ne alle femmine si deve permetter l'accoppiamento avanti l'anno, se si
concede loro quando sono ancona teneri, consuma il corpo e le forze e degenera la
loro indole. Bisogna portare via i nati alle cagnoline che partoriscono per la prima
volta, perché queste principianti non possono nutrire bene i piccoli e l'allattamento
nuoce al completo sviluppo del corpo. I maschi possono generare con forze giovanili
fino ai dieci anni, ma dopo questo tempo non si dimostrano più adatti a fecondare le
femmine, perché la prole dei cani vecchi è sempre ignava. Le femmine sono adatte al
concepimento fino ai nove anni e dopo il decimo non valgono più niente. Durante i
primi sei mesi, finché abbiano preso forza, non bisogna mandar fuori i cagnolini se
non vicino alla madre per giocare e scherzare. Dopo si devono legare alla catena
durante il giorno e lasciar liberi la notte. Non lasciamo mai allattare da un'altra
madre quelli di cui vogliamo conservare intatta la razza, perché sempre il latte e lo
spirito materno nutre e sviluppa il corpo, ma anche il carattere.
Se anche alla madre però manca il latte, più di ogni altro converrà dare ai piccoli
latte di capra fino a quattro mesi. Bisogna chiamarli con nomi non troppo lunghi in
modo che rispondano più in fretta alla chiamata, ma nello stesso tempo i nomi non
devono essere più brevi di due sillabi. Vanno bene il nome greco Skylax, il latino

Un cane pecoraio non deve essere ne tanto magro e veloce come quelli che inseguono
i daini e i cervi e gli altri animali più veloci, ne tanto grosso e pesante come il
guardiano della casa o del granaio, ma robusto e alquanto violento e battagliero,
dato che si tiene appunto perché lotti e combatta, deve anche saper correre, quando
c'è da respingere le insidie del lupo e inseguire il rapitore nella sua fuga, fargli
lasciar la preda e portarla via. Perciò in previsione di questi casi il meglio è che sia
di corpo lungo e snello, piuttosto che corto o quadrato, pèrché ripeto si presenta ogni
tanto la necessità di inseguire velocemente un animale selvatico. Quanto alle altre
parti del corpo, si ritiene che siano buone quando assomigliano a quelle del cane da
cortile.
All'una e all'altra specie si devono dare all'incirca cibi dello stesso genere. Se i campi
sono tanto vasti che possono nutrire greggi e armenti, farina d'orzo e siero sono il
miglior sostentamento di tutti senza distinzione. Se invece il fondo è piantato ad alberi
e frutti e privo di pascolo, si possono nutrire con pane di farro bagnato nell'acqua in
cui sono state cotte le fave, ma tiepida, calda fa venire la rabbia.
Ne ai maschi ne alle femmine si deve permetter l'accoppiamento avanti l'anno, se si
concede loro quando sono ancona teneri, consuma il corpo e le forze e degenera la
loro indole. Bisogna portare via i nati alle cagnoline che partoriscono per la prima
volta, perché queste principianti non possono nutrire bene i piccoli e l'allattamento
nuoce al completo sviluppo del corpo. I maschi possono generare con forze giovanili
fino ai dieci anni, ma dopo questo tempo non si dimostrano più adatti a fecondare le
femmine, perché la prole dei cani vecchi è sempre ignava. Le femmine sono adatte al
concepimento fino ai nove anni e dopo il decimo non valgono più niente. Durante i
primi sei mesi, finché abbiano preso forza, non bisogna mandar fuori i cagnolini se
non vicino alla madre per giocare e scherzare. Dopo si devono legare alla catena
durante il giorno e lasciar liberi la notte. Non lasciamo mai allattare da un'altra
madre quelli di cui vogliamo conservare intatta la razza, perché sempre il latte e lo
spirito materno nutre e sviluppa il corpo, ma anche il carattere.
Se anche alla madre però manca il latte, più di ogni altro converrà dare ai piccoli
latte di capra fino a quattro mesi. Bisogna chiamarli con nomi non troppo lunghi in
modo che rispondano più in fretta alla chiamata, ma nello stesso tempo i nomi non
devono essere più brevi di due sillabi. Vanno bene il nome greco Skylax, il latino

Un cane pecoraio non deve essere ne tanto magro e veloce come quelli che inseguono
i daini e i cervi e gli altri animali più veloci, ne tanto grosso e pesante come il
guardiano della casa o del granaio, ma robusto e alquanto violento e battagliero,
dato che si tiene appunto perché lotti e combatta, deve anche saper correre, quando
c'è da respingere le insidie del lupo e inseguire il rapitore nella sua fuga, fargli
lasciar la preda e portarla via. Perciò in previsione di questi casi il meglio è che sia
di corpo lungo e snello, piuttosto che corto o quadrato, pèrché ripeto si presenta ogni
tanto la necessità di inseguire velocemente un animale selvatico. Quanto alle altre
parti del corpo, si ritiene che siano buone quando assomigliano a quelle del cane da
cortile.
All'una e all'altra specie si devono dare all'incirca cibi dello stesso genere. Se i campi
sono tanto vasti che possono nutrire greggi e armenti, farina d'orzo e siero sono il
miglior sostentamento di tutti senza distinzione. Se invece il fondo è piantato ad alberi
e frutti e privo di pascolo, si possono nutrire con pane di farro bagnato nell'acqua in
cui sono state cotte le fave, ma tiepida, calda fa venire la rabbia.
Ne ai maschi ne alle femmine si deve permetter l'accoppiamento avanti l'anno, se si
concede loro quando sono ancona teneri, consuma il corpo e le forze e degenera la
loro indole. Bisogna portare via i nati alle cagnoline che partoriscono per la prima
volta, perché queste principianti non possono nutrire bene i piccoli e l'allattamento
nuoce al completo sviluppo del corpo. I maschi possono generare con forze giovanili
fino ai dieci anni, ma dopo questo tempo non si dimostrano più adatti a fecondare le
femmine, perché la prole dei cani vecchi è sempre ignava. Le femmine sono adatte al
concepimento fino ai nove anni e dopo il decimo non valgono più niente. Durante i
primi sei mesi, finché abbiano preso forza, non bisogna mandar fuori i cagnolini se
non vicino alla madre per giocare e scherzare. Dopo si devono legare alla catena
durante il giorno e lasciar liberi la notte. Non lasciamo mai allattare da un'altra
madre quelli di cui vogliamo conservare intatta la razza, perché sempre il latte e lo
spirito materno nutre e sviluppa il corpo, ma anche il carattere.
Se anche alla madre però manca il latte, più di ogni altro converrà dare ai piccoli
latte di capra fino a quattro mesi. Bisogna chiamarli con nomi non troppo lunghi in
modo che rispondano più in fretta alla chiamata, ma nello stesso tempo i nomi non
devono essere più brevi di due sillabi. Vanno bene il nome greco Skylax, il latino

Ferox, il greco Lakon, il latino Celer, e per una femmina i nomi greci Spondè, Alkè,
Rome, o i latini Lupa, Cerva, Tigris.
Dopo quaranta giorni dalla loro nascita converrà tagliare la coda dei cagnolini nel
modo seguente: c'è un nervo che si snoda lungo gli articoli della spina fino
all'estremità, lo si afferra con i denti lo si tira fuori un poco e lo si spezza, con questa
operazione la coda non acquista più una lunghezza sgraziata, e nello stesso tempo,
come affermano molti pastori, si tiene lontano la rabbia, malattia pestifera e mortale
per queste bestie. ”
[1]
Lo scriveva Columella nel I secolo d.C. nel suo “De l’Agricoltura”, prima di lui, ne
aveva parlato anche Marco Terenzio Varrone, nei suoi scritti riguardanti il mondo
agricolo.
Se leggiamo il brano con cui ho aperto questo capitolo, tenendo ben presente il suo
contesto storico, possiamo dedurre che Columella, di cani, ne capiva qualcosa.
Oggi, la situazione è un po' cambiata.
Pare che la zootecnia moderna abbia lasciato indietro, forse non ai tempi dell’antica
Roma ma, probabilmente, intorno alla prima metà del 900, quello che l’illustre autore
sopracitato definiva come uno dei primi animali di cui l’agricoltore doveva munirsi, il
cane, e precisamente, quello guardiano. Esso, infatti, avrebbe custodito i frutti delle
fatiche del suo padrone.
Più fedele e coraggioso della servitù umana, meno costoso nel suo mantenimento, e
soprattutto, meno incline a farsi corrompere.
Lasciando da parte quelle che, al lettore moderno, possono sembrare descrizioni
pittoresche e suggerimenti piuttosto bizzarri, che Columella consigliava
nell’approcciarsi alla scelta dei cani, magari non errate, nel loro significato di fondo,
ma figlie di un’epoca diversa dalla nostra, si potrebbe ancora oggi fare un discorso
analogo, confrontando il cane da guardia ai sistemi che lo hanno sostituito.
Sono sicuro, che l’antico, superato e mai troppo sottovalutato mastino, potrebbe,
tutt’ora, nell’epoca del click e dello smart, rivelarsi il più utile, efficace, e sempre
economico, strumento di protezione di beni, animali o attrezzature, che l’imprenditore agricolo potrebbe adottare.

Non è mia intenzione, però, in questo elaborato, districarmi in questo tipo di
comparazioni, non ho la pretesa di convincere i lettori a ritenerlo migliore di altri
sistemi, con cui, in uno scenario ideale, potrebbe efficacemente integrarsi.
Non credo, infatti, esistano seri studi in questo campo, né penso sia questo un
argomento prioritario, che attanaglia l’interesse e le menti dei moderni zootecnici.
Delle ricerche sono state svolte relativamente alla protezione contro il selvatico. Sul
web, inoltre, sono facilmente reperibili delle mini guide, spesso stilate da associazioni
di categoria o enti di tutela faunistica, che illustrano e comparano vari metodi di
difesa del bestiame, dedicando delle righe anche i cani.
Non bisogna dimenticare, però, che non tutti i predatori giungono dalla selva. Tutto
ciò che direi a proposito di quest’ultimo caso, quindi, in mancanza del supporto di seri
dati comparativi a monte, sarebbe facilmente opinabile in qualsiasi sede da qualsiasi
figura professionale manipolatrice di pets, e ho usato questa parola non a caso al posto
del termine “cane”, messomi d’avanti.
Nelle pagine seguenti, quindi, mi limiterò a descrivere quello che intendo per cane
utile all’attività zootecnica, dandone un’immagine diversa e cercando di comprendere
tutti i contesti in cui questo può essere impiegato; descrivendone l’origine, le razze,
gli usi tradizionali e il possibile impiego in contesti odierni, senza dimenticare la
normativa in materia e le pratiche per una corretta gestione, che eviti il più possibile
problemi di natura penale a chi dovesse servirsene.
La moderna zootecnia non mostra particolare interesse nell’approfondire i possibili
utilizzi del cane. Questi, è oggi considerato prevalentemente un animale da
compagnia, per tanto di quasi esclusiva competenza, in ambito accademico, dei
veterinari.
Anche se esistono e sono riconosciuti i cosiddetti “cani da lavoro”, che nell’ambiente
zootecnico coincidono con i cani pastore, custodi e conduttori, si tratta, nel nostro
caso, di un settore marginale, riguardante soprattutto un tipo di agricoltura rurale e
ancora legata alla tradizione.
Tralasciando i cani pastore da conduzione, di cui non parlerò, se si osserva la maggior
parte dei cani da custodia utilizzati oggigiorno, non si può non capire come mai siano
tanto sottovalutati e ad essi, laddove possibile, si preferiscano altri metodi.

Mancando un sistema di allevamento standard e un’idea precisa di quello che è, e
cosa debba fare un cane da guardia per essere davvero considerato tale, tra chi ne
avrebbe bisogno c’è molta confusione. Questa confusione fa sì che nei contesti in cui
esso è ancora impiegato, vi sia molta differenza nei riscontri sull’efficacia di questo
animale, a volte soddisfacente, altre pessime.
Da ciò, pare si sia diffusa la convinzione che il cane da guardia non sia più
indispensabile all’attività agro-zootecnica, ed è da quest’idea errata che iniziano i
problemi per questo tipo di animale.
In passato il bacino di sviluppo di questi animali era la pastorizia, ma quello stesso
mondo, che potremmo definire “Zootecnia tradizionale”, almeno in occidente, sembra
aver dimenticato il suo più importante ausiliario. Molti dei pastori, storici utilizzatori,
non saprebbero più come tirar fuori da una cucciolata, dei soggetti con buone
attitudini lavorative, quindi, mantenere vitali linee di sangue formate da soggetti
selezionati per funzionalità. Questo è un primo punto che incide sul calo qualitativo
dei rappresentanti di queste razze, poiché, in assenza di selezione, determinati
caratteri funzionali per un certo tipo di impiego sono abbandonati a quelle forze che
interferiscono con la loro espressione, rendendoli sempre più rari, nel tempo,
all’interno della popolazione.
Del resto, il cane non produce direttamente reddito, e se qualcosa non produce
reddito, non c’è interesse nello studiarla e migliorarla.
Alla fine, è opinione diffusa che un soggetto vale l’altro, e se poi, non è possibile
attingere dall’ambiente pastorale per la “rimonta” della propria muta, si può
tranquillamente procurarsi qualche esemplare da circuiti diversi, come gli
allevamenti. Anche qui, non occorre cercare chissà cosa, allevatori specializzati in
cani da lavoro, selezioni per funzionalità o altri concetti particolari, basta un
allevamento qualsiasi che allevi una delle numerose razze riconosciute adatte a
sorvegliare sugli armenti.
Pensandoci bene, però, gli allevamenti fanno pagare cari i propri animali; sono figli di
campioni da esposizione, rispettano meticolosamente gli standard di razza e poi,
hanno i pedigree. Anche se in realtà, non valgono più di un qualsiasi meticcio che
vaga per le campagne italiane. Quindi, alla fine, è meglio rivolgersi a chi ha avuto la

voglia e i soldi di acquistare degli esemplari d’allevamento, ed ora ha una cucciolata
accidentale di cui sbarazzarsi.
Ma quelli prodotti nella stragrande maggioranza degli allevamenti non sono cani,
sono pets.
Hanno l’aspetto, le dimensioni, portano il nome, e almeno sulla carta, condividono la
storia della razza che ricalcano esteticamente, ma difettano del carattere e
dell’attitudine adatti al lavoro per cui sono ricercati. Non sono stati selezionati per
lavorare; come scrive il biologo R. Coppinger nel suo “Dogs”, tutto quello che questi
cani devono saper fare è farsi esaminare da un giudice di gara senza morderlo. [2]
Un pets è qualcosa di diverso da un cane.
È un prodotto moderno, creato dai club cinofili per permettere all’appassionato di
portarsi nel salotto di casa un esemplare di qualsiasi razza canina di cui s’innamori.
Il pets non deve essere mordace, territoriale o difficile da manipolare, anche se la
razza che tenta di scimmiottare lo è. Deve essere docile, amichevole con tutti e se poi,
di salute cagionevole o pieno di turbe caratteriali, meglio ancora, assicurerà un’entrata
economica fissa alle tante e varie figure professionali che ruotano intorno al business
dei pets.
In pratica, si potrebbe affermare che i pets sono tutti dei Golden Retriever a cui è stata
semplicemente cambiata la “carrozzeria”.
Sul campo, il risultato di tutto ciò sono cani inidonei, sia nella custodia del bestiame
contro il selvatico, sia nella guardia contro il predatore umano, poiché, tutti i caratteri
e le attitudini utili a queste attività, sono stati, attutiti o addirittura eliminati dalla
selezione operata dagli allevatori moderni, considerate non più un valore, ma un
problema comportamentale da estirpare.
Dal non interessarsi più alla comprensione di quest’animale e dal non saper
riconoscere i soggetti adatti a una certa mansione, però, si può incombere anche in un
altro tipo di problemi, opposti a quelli appena descritti.
Può verificarsi, ad esempio, che delusi dalle performance delle razze più diffuse, sul
territorio, rappresentate, però, dai pets o esemplari di scarsa qualità attitudinale, che
con le dinamiche sopra esposte approdano anche negli ambienti lavorativi, e questo, è
un secondo punto che contribuisce al calo qualitativo della popolazione, ci si procuri
razze esotiche. Convinti dalla pubblicità e dal passa parola, che li descrive come cani

autentici e poco manipolati dai cinofili da gara, ci si doti di cani di cui si ignorano
indole e attitudini, a volte eccedendo in ingenuità, in quanto, più lontano dal proprio
paese è l’areale di sviluppo storico della razza, più difficile sarà procurarsi la sua
forma ancestrale.
Un esempio rappresentativo potrebbe essere il Pastore del Caucaso. La versione della
razza riconosciuta dalle associazioni cinofile ufficiali, nonché la più diffusa, a dispetto
del nome, non si è sviluppata in ambienti pastorali, bensì militari.
I russi ottennero la razza incrociando tra loro esemplari di vari ceppi di cani da
pastore autoctoni delle zone circostanti la catena montuosa del Caucaso, ma lo scopo
della sua creazione era ottenere un ausiliario in compiti militari (Qualcosa di simile
l’aveva fatta anche il capitano Max von Stephanitz, nell’allora Prussia, per ricavare il
suo Pastore Tedesco partendo da diversi cani pastore locali).
Se si decidesse di introdurre soggetti di questa razza in un gregge, che ad esempio
pascola in aree frequentate da turisti, escursionisti, hobbysti ecc… in questo caso,
aver messo le mani sulla sua versione pets sarebbe il male minore, poichè, se ci si
imbatte in autentici rappresentanti della razza, questi, considerando sempre le
differenze caratteriali dei vari soggetti, potrebbero risultare anche estremamente
pericolosi per gli “spettatori innocenti” che dovessero capitare nei dintorni del gregge,
nonché, come mi fu raccontato da un allevatore di cani da lavoro, un rischio anche per
gli stessi animali che dovrebbero proteggere.
Di contro, però, potrebbero risultare adatti come cani da guardia da adoperare nelle
zone confinate dell’azienda agricola a cui è stata semplicemente affidata la mansione
sbagliata.
Probabilmente, anche il mitigarsi del conflitto tra domestico e selvatico, che ha
interessato molte zone, non solo d’Italia, ha contribuito a far abbassare la guardia
all’allevatore di bestiame, portandolo, così a non prestare più attenzione alla qualità
attitudinale delle proprie linee da lavoro. Ciò ha decretato un decadimento qualitativo
generale delle razze da custodia, anche senza l’influenza peggiorativa del diffondersi
dei pets. In alcuni contesti, addirittura, un gregge può tranquillamente pascolare libero
senza la protezione di nessuno.
I problemi, come si è già potuto constatare, iniziano quando i predatori fanno ritorno
in un aerea da cui, per svariati motivi, erano scomparsi, trovando come oppositori,

allevatori non più abituati alla convivenza col selvatico e cani che, a causa
dell’alleggerirsi della pressione selettiva, non sanno più fare il loro lavoro, oltre a non
esserne più idonei.
La nascita degli allevamenti intensivi, poi, totalmente staccati dall’ambiente naturale
circostante, ha posto definitivamente una barriera alle interazioni tra selvatico e
domestico. Questo, a mio avviso, non è assolutamente un male, tuttavia, spesso non si
considera che esistono predatori perfettamente in grado di interagire con i moderni
allevamenti confinati, minacciandone non più solamente il bestiame, ma anche i
prodotti aziendali, in caso la trasformazione avvenga sul posto, i macchinari e
strumentazioni, impiegati nella conduzione dell’impresa, dai costi tutt’altro che
ridotti.
Facile intuire che in questi casi, il tipico cane che si vede scortare le greggi al pascolo,
serva a poco, occorrono soggetti allevati specificatamente per lo scopo, che agiscano
in modo diverso, anche se, con la stessa logica di base.
Non credo, quindi, che il cane da guardia possa scomparire dal contesto agro-
zootecnico, reputo che questo debba essere considerato a tutti gli effetti un animale da
reddito, studiato, allevato e gestito con la medesima professionalità impiegata per gli
animali in produzione. Riprodotti in selezione funzionale, i soggetti più efficienti,
scartati quelli non idonei a ciò che gli si richiede.
Quello che può essere considerato il “prodotto” del cane, è qualcosa di diverso, non
una materia prima da destinare alla trasformazione alimentare, ma un ausilio nel
vigilare su tutto quello che garantisce reddito all’imprenditore agricolo.
È iniziando a vedere il cane sotto quest’ottica, che sarà possibile riadattare al contesto
odierno gli antichissimi cani custodi, capendo dove, in quali casi e in che modi
impegnare i diversi soggetti, in base alle loro naturali attitudini.
Chissà che alla fine, il cane non possa riacquistare la dignità persa a causa dei pets, e
riprendere il posto che gli spetta come animale zootecnico, il primo di cui un
imprenditore agricolo deve munirsi.


Fonti:
(1) - De l’Agricoltura – Lucio Giunio Moderato Columella (Estratto reperito sul sito www.pastoreabruzzese.it)
(2) - Dogs – Raymond e Lorna Coppinger, I ed. Italiana, Torino, Haqihana S.r.l., 2012, ISBN 978-88-89006-22-1