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Spazio all’abuso di diritto ma i rischi sono limitati

La Sezione tributaria Civile della corte Suprema di Cassazione – sentenza 1465 del 17 dicembre 2008, depositata il 21 gennaio 2009 – afferma sull’abuso di diritto, che è principio applicabile nei casi in cui il contribuente ha l’unico scopo del risparmio d’imposta, che non vi possono essere presunzioni di elusione fiscale assolute e indistinte, che l’onere della prova dell’elusione spetta al Fisco e che vi è elusione soltanto se vengono utilizzate “strutture fittizie che non riflettono la realtà economica”. Poggiando le proprie conclusioni sul diritto comunitario (per la Cassazione ci si trova di fronte a “vero e proprio jus superveniens”) e sul trapianto giuridico (per la Cassazione la giurisprudenza domestica si ispira a quella estera o sovranazionale), i giudici di ultime cure entrano qui nel merito della valutazione del comportamento elusivo. E, sebbene confermino l’esistenza del principio antiabuso, analizzano attentamente la fattispecie, per negare che nel caso concreto sottoposto al loro giudizio vi sia elusione. Si evince dalla pronuncia di legittimità che la legge continua a proteggere le forme lecite di minimizzazione del carico fiscale. Ma pure che l’impatto della clausola antiabuso non può risolversi in una indeterminata attribuzione di poteri al Fisco, mentre può avere il fine di limitare comportamenti aggressivi connessi a criticità di governance fiscale e societaria, limitando così anche la “portata espansiva” della clausola asserita nella nuova pronuncia della Corte su un tema caldo di questi giorni.