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Bancarotta documentale

Con la sentenza n. 14042 del 25 marzo 2013, la Corte di cassazione, Quinta sezione penale, ha annullato un capo della sentenza con cui i giudici di appello avevano confermato la condanna per reati fallimentari e per associazione per delinquere di tre amministratori di una serie di società tra loro collegate, nell’ambito della vicenda che aveva portato una di queste società al fallimento.

Nel dettaglio, sono state parzialmente accolte le censure mosse da uno degli imputati relativamente alla contestazione per bancarotta documentale, reato questo che era stato “automaticamente dedotto” nella motivazione della sentenza impugnata in considerazione della natura delle operazioni consumate.

Secondo la Suprema corte, in particolare, i giudici di merito avevano accomunato l’accertamento dell’evento giuridico del reato in contestazione a quello della bancarotta societaria da falso in bilancio – reato anch’esso contestato e riconosciuto nella vicenda in esame – non avvedendosi della diversa materialità dei due illeciti e della conseguente diversità dell’oggetto della relativa prova.

Ed infatti - si legge nel testo della sentenza - se è vero che la fattispecie della bancarotta documentale di cui al secondo comma dell’articolo 216 della Legge fallimentare “inglobi in sé ogni ipotesi di falsità, anche ideologica, in quanto preordinata a tutelare l'agevole svolgimento delle operazioni di curatela e a proscrivere ogni manipolazione documentale che impedisca o intralci una facile ricostruzione del patrimonio del fallito o del movimento dei suoi affari”, in ogni caso, gli organi giudicanti nel merito avrebbero dovuto chiarire in che termini le annotazioni contabili avrebbero dovuto ritenersi per un verso ideologicamente false e per l’altro idonee a compromettere la funzione assegnata ai libri contabili.