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Nessuna fede privilegiata per le dichiarazioni del dipendente

Un piccolo imprenditore napoletano è stato raggiunto da un avviso di accertamento Iva e Irap da parte del Fisco, a sua volta sollecitato dalla Guardia di Finanza, che aveva raccolto da un dipendente la denuncia del mancato versamento delle ritenute d'acconto.

Contro l'atto impositivo, la società ha presentato ricorso in primo e secondo grado, soccombendo in entrambi i giudizi. Secondo i giudici di merito, le dichiarazioni del dipendente rese in sede di processo verbale di constatazione, prevalevano, per la fede privilegiata dell'atto pubblico in cui erano contenute, rispetto a quelle rese successivamente con la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà.

La questione è giunta di fronte alla Suprema Corte di Cassazione. Con la sentenza n. 23397 del 9 novembre 2011, il ricorso dell’artigiano è stato accolto dato che lo stesso era riuscito a provare con altri mezzi, senza querela di falso, il versamento delle ritenute.

Secondo gli ermellini, infatti: “l'atto pubblico fa fede fino a querela di falso solo relativamente alla provenienza del documento dal pubblico ufficiale che l'ha formato, alle dichiarazioni dal medesimo rese e agli altri fatti dal medesimo compiuti o che questi attesti essere avvenuti in sua presenza; tale efficacia privilegiata non si estende, invece, alla intrinseca veridicità delle dichiarazioni rese al pubblico ufficiale da terzi (nella specie dal lavoratore), che costituiscono materiale probatorio liberamente valutabile e apprezzabile dal giudice, unitamente alle ulteriori risultanze istruttorie”.

La questione ora è rimessa ad altra sezione della Ctr campana, che dovrà decidere se confermare o meno l’atto impositivo sulla base delle nuove prove fornite dall’imprenditore, che non è tenuto comunque a proporre la querela di falso contro il verbale della Gdf.


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