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La retribuzione a cottimo

L’articolo 2099 c.c. stabilisce che la retribuzione del prestatore di lavoro può essere stabilita a tempo o a cottimo.


In particolare il seguente articolo 2100 c.c., in tema di obbligatorietà del cottimo stabilisce che “ il prestatore di lavoro deve essere retribuito secondo il sistema del cottimo quando, in conseguenza dell’organizzazione del lavoro, è vincolato all’osservanza di un determinato ritmo produttivo, o quando la valutazione della sua prestazione è fatta in base al risultato delle misurazioni dei tempi di lavorazione ”.

Di conseguenza tale obbligatorietà si verifica soltanto quando sia richiesta al lavoratore una prestazione più intensa di quella del normale lavoro in economia o la realizzazione di un risultato produttivo predeterminato, superiore a quello conseguibile in ipotesi normale.

La previsione dell’obbligatorietà della retribuzione a cottimo, qualora si verificano determinate situazioni produttive e lavorative lasciano pensare che il legislatore abbia in qualche modo recepito un principio di proporzionalità della retribuzione in riferimento a queste situazioni.

Deve rilevarsi però che in concreto vi è sempre stato un ricorso al cottimo misto, basato su una paga base a tempo e una maggiorazione proporzionale all’entità della prestazione. La ragione dell’utilizzo di tali moduli retributivi sul piano normativo si rinviene nel riferimento dell’art. 2100 c.c. alle norme corporative per quanto riguarda la determinazione dei criteri per la formazione delle tariffe, e nella vigenza dell’art. 36 Cost per quanto riguarda la misura della prestazione.

L’art. 36 Cost. in particolare, nel sancire il principio di adeguatezza della retribuzione, prevede che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro: la giurisprudenza di legittimità ha più volte osservato come tale adeguatezza debba essere effettuata con riferimento all’insieme della retribuzione, e non in relazione alle singole voci, oltre che con riferimento all’insieme delle prestazioni rese.

Tale principio risulta applicabile anche qualora la retribuzione sia corrisposta sulla base di una sua determinazione a cottimo, ma la valutazione vera e propria del criterio della proporzionalità della retribuzione risulta difficile da effettuare in tali casi dal momento che il criterio della globalità della valutazione può legittimare l’eventuale adozione di coefficienti decrescenti di valorizzazione della quantità del risultato produttivo.

In quest’ultimo senso concorre anche l’opportunità di non favorire ritmi di lavoro eccessivi che siano a detrimento della salute del lavoratore ed eventualmente anche dell’organizzazione aziendale; in questo quadro può essere anche posto un vero e proprio tetto alla rilevanza del dato quantitativo.

La retribuzione a cottimo ha però posto dei problemi in relazione ad una sua possibile equiparazione retributiva con il lavoro straordinario: in particolare, facendo riferimento espresso alla fattispecie dei dipendenti delle Ferrovie dello Stato, la giurisprudenza di legittimità ha riscontrato due diversi orientamenti:

- alcune sentenze si sono espresse in senso negativo, affermando la spettanza del compenso per lavoro straordinario solo quale effetto di prestazioni svolte oltre l’orario di lavoro normale,

- altre sentenze invece hanno ritenuto tale compatibilità: si è affermato in particolare che una volta stabilito che il lavoro a cottimo deve pagato come il lavoro straordinario, ne scaturiva come conseguenza che il parametro di riferimento doveva essere aumentato nella medesima percentuale prevista dalla disposizioni di legge per il lavoro straordinari; questo perché pretendere che il lavoro a cottimo venga svolto anche oltre l’orario normale di lavoro vuol dire nella pratica annullare qualsiasi distinzione tra lavoro a cottimo e lavoro straordinario.

Tale giurisprudenza di legittimità però condivide il primo degli indicato orientamenti sollecitando alcune puntualizzazioni sulle differenze tra lavoro straordinario e lavoro a cottimo.

Dal punto di vista oggettivo il cottimo può distinguersi.

- in cottimo pieno, o integrale, nel quale il lavoratore viene pagato esclusivamente in base al proprio rendimento,

- o in cottimo misto, caratterizzato da una retribuzione base alla quale si aggiunge la maggiorazione di cottimo in relazione alla quantità e qualità del lavoro prestato, come avviene nei casi in cui ad un corrispettivo pattuito per il raggiungimento di un risultato predeterminato si aggiunge un corrispettivo correlato alla maggiore quantità di lavoro prodotto.

Da un altro punto di vista può essere sollevata un’altra osservazione: nel lavoro retribuito a tempo, la causa è data dallo scambio tra lavoro e retribuzione per un determinato periodo di tempo, a prescindere dal risultato da conseguire di modo che il rischio rispetto al risultato della prestazione risulta a carico esclusivamente dl datore di lavoro; nel contratto di lavoro a cottimo invece la causa è data dallo scambio tra lavoro e retribuzione in vista del raggiungimento di un dato risultato, con la conseguenza che in questo caso il rischio si presenta a carico del lavoratore.

Per attenuare tale rischio a carico del lavoratore interviene la contrattazione collettiva attraverso la garanzia di un utile minimo di cottimo oppure la sostituzione del cottimo collettivo al cottimo individuale.

Infine si può rilevare come il lavoratore a cottimo si impegna a fornire una prestazione più intensa di quella normale, apprezzabile in sede di laboriosità del singolo, ad esempio ai fini di una promozione; la retribuzione per lavoro straordinario è destinata, invece, a compensare l’attitudine usurante di un’attività prestata oltre il limite normale di tempo.

Questa differenza si rinviene soprattutto nella posizione della normativa laddove il cottimo viene contemplato come una forma di retribuzione, mentre il lavoro straordinario viene definito come prolungamento dell’”orario normale”.

Tale differenza viene ribadita in concreto nella normativa speciale disciplinante le competenze del personale delle Ferrovie dello Stato, la quale definisce come compenso per lavoro straordinario quello “per le prestazioni comandate ed effettivamente rese, per esigenze di servizio, oltre alla durata del lavoro ordinario”, e che attribuisce al direttore generale la possibilità a seguito di propria “autorizzazione” di adottare il sistema del lavoro a cottimo qualora la sua applicazione risulti possibile ed opportuna.

In sintesi la giurisprudenza maggioritaria, in relazione alla fattispecie in commento, ha stabilito che con riguardo ai dipendenti delle Ferrovie dello Stato retribuito con il sistema del cottimo misto, il diritto all’adeguamento di tale corrispettivo alle variazioni legislativamente disposte per il lavoro straordinario è configurabile solo nei casi in cui le prestazioni lavorative si siano svolte oltre l’orario normale.

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