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Comunicati Stampa

Semaforo giallo per le visite post-operatorie in ambulatorio privato

Apparente freno al malcostume in corsia ad opera della recente pronuncia della Corte di Cassazione (sentenza n.40824 del 17 ottobre 2012). Tale sentenza, suscitando primi entusiastici commenti, ha confermato la condanna per il reato continuato di abuso di ufficio del chirurgo ospedaliero che, dopo aver operato, invitava i pazienti ad effettuare visite a pagamento presso il proprio studio privato per controlli post operatori di routine; ciò senza avvertirli che avrebbero potuto ricevere tali prestazioni in ospedale, con costi già compresi nel pagamento del ticket di ricovero ed intervento.

Osserva la Suprema Corte che con tale condotta il medico viene a percepire un ingiusto vantaggio – da doppia retribuzione – con danno del paziente – che viene a versare un emolumento non dovuto - a causa della dolosa carenza di informazione al paziente stesso della possibilità e diritto di ricevere i controlli in ambito ospedaliero.

Invero, il contratto d’opera che lega il paziente e la struttura ospedaliera sorge al momento in cui il paziente si rivolge alla stessa, sottoponendosi a trattamento sanitario, diagnostico e chirurgico ed affrontandone i relativi costi, ed ha per oggetto l’esito terapeutico nella sua globalità. Il tutto senza necessità di ricorrere agli ambulatori privati dei singoli medici operanti nell’ospedale. Gli stessi sono obbligati alla “conclusione” del contratto nella sua sede “naturale”, ospedaliera, senza ulteriori e non dovute dazioni di danaro, a meno che siano gli stessi pazienti che, pur consapevoli di aver già retribuito quella prestazione con il pagamento del ticket iniziale, optino per la soluzione “privata” volendo che l’autore della visita operatoria sia lo stesso medico che ha praticato l’intervento.

Ciò perché il pagamento del ticket in ospedale, come molti di noi già hanno pagato sulla propria pelle, non garantisce che il medico che ha “preso in carico” il paziente lo possa seguire in tutto l’iter terapeutico, adempiendo a quel pactum fiduciae che si instaura al momento della anamnesi e diagnosi iniziale.

Nell’ampia motivazione fornita dai Supremi giudici viene fatto riflettere, per quanto incidentalmente, sulla circostanza, non di poco momento, che all’assolvimento dell’iniziale obbligo del pagamento del ticket corrisponde l’interesse del presidio ospedaliero all’esatto ed integrale adempimento della prestazione terapeutica anche se non data necessariamente ad opera del chirurgo che ha materialmente operato.

E’ logico chiedersi quanti di noi, pur correttamente informati, non opterebbero per la visita di controllo privata del chirurgo operante, in luogo del medico di turno, che potrebbe non averci mai visto…

A questo punto, si ritiene opportuno sottolineare che, a dispetto degli entusiasmi legalitari iniziali, la Corte ha di fatto riconosciuto come assolutamente legittima la condotta del medico che inviti il paziente a recarsi a pagamento presso il proprio studio privato dopo averlo informato che avrebbe diritto comunque ad una visita gratuita in ospedale senza la garanzia di incontrare un operatore di propria fiducia.

Al di là del grande clamore suscitato dalla sentenza, dunque, siamo ancora al “tutto cambi perché nulla possa cambiare”.

Avv. Maurizia Venezia – Studio Legale Di Vizio & Venezia

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