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Foggia: un riferimento per la diagnosi e la cura del melanoma oculare
Epidemiologia e diagnosi del melanoma della coroide
Il melanoma della coroide è il tumore intraoculare primitivo più frequente dell’adulto e rappresenta l’85% dei melanomi uveali e lo 0.15% di tutti i tumori. In Italia si stima un’incidenza di circa 400 nuovi casi l’anno. L'ereditarietà non sembra avere un ruolo importante. Il meccanismo di genesi neoplastica resta in parte ancora sconosciuto.
La presenza di nevi coroideali, con una prevalenza di circa l’1%, costituisce un fattore di rischio anche se estremamente basso.
A differenza della forma di melanoma cutaneo, ben più aggressiva di quella oculare, la luce solare per ovvi motivi non rappresenta un fattore di rischio, ad eccezione delle sole forme iridee in occhi chiari.
La presentazione è generalmente intorno alla sesta decade di vita in diversi modi: asintomatica e di casuale riscontro clinico, apparendo tipicamente come una massa sottoretinica rilevata, di colore marrone o grigio, a forma di cupola o, nei casi gravi, di fungo (FIG 1-2); sintomatica, con un calo dell’acuità visiva e/o un difetto del campo visivo; un terzo dei pazienti lamenta la presenza di lampi di luce.
Una serie di lesioni prime fra tutte il nevo della coroide, possono simulare, per il loro aspetto oftalmoscopico un melanoma maligno della coroide, ma nella maggior parte dei casi un semplice esame del fondo oculare è sufficiente per una corretta diagnosi; a volte però per chiarire il dubbio diagnostico può essere utile ricorrere ad altri esami come l’ultrasuonografia e la fluorangiografia, con un’accuratezza diagnostica che sale al 99.7%.
In particolare l’ecografia oculare con le metodiche A e B-scan, può fornire utili informazioni per la diagnosi differenziale e la misurazione micrometrica dei tumori anche quando il fundus è esplorabile oftalmoscopicamente, in base alle loro caratteristiche acustiche, nonché per valutare la risposta al trattamento sulla base di caratteristici segni ecografici post-terapia radiante come la riduzione dello spessore, l'aumento della reflettività e dell’irregolarità, la riduzione e/o scomparsa della vascolarizzazione interna del tumore (FIG 3): sono tutte variazioni in gran parte riconducibili ai fenomeni necrotici intralesionali ed a successiva sostituzione di tali aree con tessuto fibroso e rappresentano indici di efficacia del trattamento.
Da qualche anno poi il centro foggiano adotta ecografi di ultima generazione con trasduttori B-scan ad “alta frequenza” da 20 MHz, che con una maggiore risoluzione assiale hanno migliorato notevolmente la qualità e la chiarezza delle immagini, il monitoraggio dell'accrescimento o della regressione dei melanomi trattati, mostrando anche eventuali impercettibili segni di crescita dopo anni di significativa regressione.
Trattamento
La lunga sopravvivenza di pazienti portatori di melanomi uveali che hanno rifiutato l’enucleazione, la difficoltà di scelta nei piccoli melanomi scoperti in un occhio con visione conservata ed il sospetto che l’enucleazione (unica opzione radicale possibile fino agli anni ’70, trattamento di scelta oggi limitato ai tumori di grande dimensione) non evita le metastasi, anzi, può favorirle, hanno indotto alla diffusione di forme conservative di trattamento, la cui scelta dipende dalle dimensioni e dalla localizzazione del tumore, nonché dalle inclinazioni del chirurgo e/o del paziente: lo scopo è di distruggere i tessuti patologici senza danneggiare in modo significativo i tessuti sani circostanti, permettendo al paziente di conservare l’occhio affetto e spesso un valido visus, senza mettere a rischio la sopravvivenza. Tra queste la radioterapia ha quasi completamente sostituito altre possibilità terapeutiche utilizzate precedentemente e viene ad essere integrata con la resezione chirurgica e da nuove possibilità quali ad esempio il trattamento termico transpupillare (TTT), spesso usato come coadiuvante con la radioterapia di contatto o brachiterapia della base (terapia conservativa a “sandwich”) di melanomi più spessi di 5 mm, riducendo ulteriormente i rischi di recidiva. Tutte opzioni terapeutiche gia da anni possibili presso la Clinica Oculistica diretta dal Professor Nicola Delle Noci, talaltro unico Centro di riferimento del Sud Italia per la brachiterapia con placche di Rutenio ( 106 Ru): è questa una tecnica che grazie ai lunghi tempi di dimezzamento del radioisotopo, è caratterizzata da bassi costi di gestione e da scarsi effetti collaterali sulle strutture adiacenti al tumore, consentendo di somministrare dosi elevate in superficie senza ledere i tessuti vicini radiosensibili (retina, nervo ottico, cristallino).
Tale forma di trattamento prevede 2 interventi chirurgici tecnicamente semplici, entrambi condotti preferibilmente in anestesia generale, in regime di ricovero, con blande misure d’isolamento e tempi di degenza variabili ma brevi: un primo per il posizionamento di una placca dalla forma a conchiglia (FIG 4) con tempi di permanenza pianificati dal fisico sanitario, il professor Angelo Fratello, secondo parametri ecografici quali spessore e diametro di base del tumore; un secondo step per la rimozione della stessa.La regressione tumorale è massima nel primo anno post-trattamento, continua lentamente negli anni successivi ed andrebbe valutata con follow up clinico ed ecografico oculare molto lunghi (fig 5)
La prognosi dipende da numerosi fattori quali: caratteristiche istologiche, dimensioni del tumore, citogenetica, l’estensione extrasclerale, la localizzazione, l’età e la malattia sistemica: la metastatizzazone avviene principalmente per via ematogena, con localizzazione addominale nel 99% dei casi: 90% al fegato e 5% al pancreas, rendendo pertanto sufficienti per lo screening un’ecotomografia addominale accompagnata da esami di funzionalità epatica semestrali.
I risultati ottenuti su un’ampia casistica decennale con questo tipo di placche dal gruppo di ricerca della Cattedra di Oftalmologia dell’università di Foggia ed in corso di pubblicazione su prestigiose riviste internazionali di settore hanno recentemente confermato dati di Letteratura, raggiungendo un controllo tumorale, definito come assenza clinico-ecografica di evidenze di crescita nel 94.7%, una bassa incidenza di complicanze, ed una sopravvivenza pari all’85% nei primi 5 anni con conservazione dell'occhio in oltre il 90% dei casi. E’ pertanto auspicabile, ribadisce il Prof. Delle Noci, che nella pratica clinica si continui ad identificare e trattare con successo il melanoma della coroide il più precocemente possibile con un ampliamento di esami di screening come il fondo oculare, grazie anche all’ausilio delle nuove tecnologie e di personale altamente specializzato.
Una realtà dunque, quella della Clinica Oculistica foggiana il cui raggio d’azione che in particolar modo per queste problematiche già abbraccia un vasto bacino d’utenza anche extraregionale, e che si spera raggiunga traguardi ancor più ragguardevoli, garantendo ai pazienti qualità che troppo spesso si cerca altrove, con immani disagi ed inutili viaggi della speranza.