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Mola vescicolare

La mola vescicolare (o mola idatiforme) è costituita da un'alterazione dei villi coriali, i quali vanno incontro ad una trasformazione in vescicole (cisti), in conseguenza della quale non sono più in grado di assicurare gli scambi materno-fetali, ma conservano sia la proprietà infiltrativa sia quella endocrina, cioè come il trofoblasto normale, il tessuto molare ha la capacità invasiva nei riguardi della decidua e produce la gonadotropina corionica, ormone caratteristico della gravidanza.

Questa degenerazione cistica (o meglio policistica) inizia generalmente verso la fine del secondo mese di gravidanza e può interessare o tutto il corion (mola vescicolare totale) o una sua parte (mola vescicolare parziale).

Poiché i villi degenerati non sono in grado di assicurare gli scambi con l'organismo materno necessari alla vita del feto, questo nella maggior parte dei casi viene a morte.

Solo raramente (2% dei casi), se l'area di degenerazione è limitata, la gravidanza può proseguire.

La mola vescicolare si osserva con frequenza variabile secondo la razza e le varie regioni: in media si osserva in 1 gravidanza su 2.000-2.500. Colpisce le pluripare più spesso delle primipare (4:1), e con frequenza crescente le donne dai trentacinque ai quarant'anni. Ben poco si sa sulle cause che la determinano.

Ad un esame grossolano la mola vescicolare si presenta come un ammasso di vescicole di diametro molto variabile (da qualche millimetro ad un paio di centimetri), riunite fra loro da sottili tralci. Le vescicole hanno pareti sottilissime e contengono un liquido chiaro e acquoso. La mola può raggiungere nel suo insieme un volume considerevole (a volte supera il peso di 1 chilogrammo).

Anche quando l'embrione viene a morte, il tessuto molare sopravvive, anzi accentua le sue proprietà infiltrativa ed endocrina. Di conseguenza, la mola supera la barriera opposta dalla decidua e si infiltra profondamente nella parete dell'utero, soprattutto in direzione dei vasi sanguigni: ciò è comprensibile, perché essendo sprovvista di vasi sanguigni che le apportino il nutrimento necessario al suo sviluppo, il solo modo che ha di sopravvivere è quello di trarlo dall'organismo della gestante.

La progressiva lesione dei vasi sanguigni determina emorragia quindi si ha fuoriuscita di sangue dai genitali esterni. D'altra parte, l'accentuata attività endocrina causa un grande aumento della concentrazione della gonadotropina corionica nel sangue e nelle urine: nell'ovaio, molto stimolato da questo ormone, compaiono numerose cisti luteiniche (derivanti da corpi lutei iperfunzionanti). Di solito la mola è espulsa spontaneamente entro il quarto-quinto mese di gravidanza, raramente più tardi.

Sintomi

Il primo sintomo è rappresentato da perdite sanguigne dai genitali, d'entità variabile e irregolari, presentano inoltre aspetto diverso: a volte sono di colore rosso vivo, a volte sono scure con coaguli. Si possono rilevare, sebbene raramente gruppi di vescicole in mezzo al sangue, è un sintomo prezioso che permette di porre immediatamente la diagnosi.

Le perdite generalmente non sono accompagnate da dolore; spesso, però, la gestante lamenta un senso di malessere al basso ventre. Se si verificano forti emorragie che determinano una rapida distensione della cavità uterina, possono però comparire forti dolori

Il sanguinamento vaginale induce a porre la falsa diagnosi di minaccia d’aborto e spesso si associa iperemesi molto gravi, più di quanto sia giustificato dal comune stato di gestosi gravidica.

e, se essa è ritenuta nella cavità uterina oltre il quinto mese, si può osservare eclampsia precoce.

La diagnosi può essere confermata con certezza se dall’utero vengono espulsi, per via vaginale, frammenti di materiale sanguinolento dal caratteristico aspetto “”ad acini d’uva”".

Si osserva un rapido aumento di volume dell’ utero , del tutto sproporzionato con l’età gestazionale. L'utero ha sempre un volume maggiore di quello corrispondente all'epoca di gravidanza e una consistenza particolarmente molle

Un altro segno caratteristico della malattia è costituito da una elevata concentrazione ematica delle gonadotropine corioniche, prodotte dal trofoblasto ed anche dalla sua forma neoplastica, da cui deriva una elevata escrezione urinaria dell’ ormone , che può essere facilmente dimostrata.

Terapia

Una volta accertata la presenza di mola vescicolare, occorre procedere al più presto allo svuotamento dell'utero. Ciò si ottiene applicando cilindri di laminaria nel canale cervicale e somministrando contemporaneamente ossitocina (ormone ipofisario capace di stimolare le contrazioni uterine). Qualora non inizi il travaglio di parto abortivo, è necessario ricorrere allo svuotamento strumentale, che deve essere eseguito con molta attenzione, data la particolare sofficità della parete uterina.

Il puerperio deve essere seguito attentamente perché, a causa dell'alto potere infiltrante posseduto dalla mola, è possibile che frammenti di essa rimangano annidati nella parete uterina, continuando a riprodursi e a produrre gonadotropina corionica.

Se tutto il tessuto della mola è stato espulso, le perdite di sangue cessano nel giro di pochi giorni, l'utero va incontro ad un normale processo d'involuzione e le cisti ovariche scompaiono dopo qualche settimana. Si osserva anche la diminuzione e la scomparsa della gonadotropina corionica dal sangue e dalle urine: la sua ricerca deve essere ripetuta periodicamente per almeno un anno dall'espulsione della mola, solo se persiste costantemente un esito negativo, si può essere certi della guarigione.

La mortalità causata dalla mola vescicolare o dalle sue complicazioni si aggira sul 5% dei casi. Tra le complicazioni, quella più temibile è rappresentata dal corion-epitelioma, tumore estremamente maligno, che origina appunto dal corion; esso compare con una frequenza variabile dall'1 al 10% dei casi di mola vescicolare. Poiché tale tumore ha la capacità di produrre gonadotropina corionica, si comprendono la grande importanza del dosaggio periodico di questo ormone nelle urine, dopo un caso di mola vescicolare e la necessità di un immediato ricovero in ospedale qualora esso rimanga presente dopo l'asportazione della mola.

Il decorso e la prognosi della malattia trofoblastica sono del tutto diversi nelle tre varietà a diverso grado di malignità: mola vescicolare benigna o mola idatidea, corioadenoma destruente (o mola vescicolare invasiva) e coriocarcinoma.·

Mola vescicolare . La donna portatrice di gravidanza molare è in ogni caso una paziente ad alto rischio, in quanto è esposta alla comparsa di emorragie copiose, di perforazioni dell’utero, di infezioni . Inoltre c’è la possibilità che la mola benigna evolva verso una forma a maggiore malignità. Il decorso della malattia trofoblastica nella varietà mola vescicolare, quando non è complicato da una delle evenienze sopra descritte, è all’incirca quello di una gravidanza precocemente abortiva; dopo un periodo di sanguinamenti erroneamente interpretati come minaccia d’aborto avviene l’espulsione del materiale molare e la donna può considerarsi guarita, anche se la maggior parte dei ginecologi preferiscono effettuare una revisione di cavità ( raschiamento uterino) per accertarsi che non sia rimasto alcun frammento di tessuto trofoblastico in utero.

Se la diagnosi viene effettuata prima dell’espulsione (in base alla sintomatologia atipica per una gravidanza normale e al dosaggio della gonadotropina corionica) l’espulsione della mola può essere favorita con infusione endovenosa di ossitocina. ·

Mola invasiva . La mola invasiva è caratterizzata da una proliferazione trofoblastica con parziale invasione del miometrio ; talora la proliferazione si approfonda fino alla sierosa che ricopre l’utero, e di conseguenza alla cavità addominale.

La diagnosi di mola destruente viene raramente effettuata al momento dello svuotamento dell’utero, che si effettua in seguito alla comparsa di una sintomatologia simile a quella provocata dalla mola benigna; essa viene invece posta quando, in un secondo tempo, si assiste alla comparsa di una recidiva che talora costringe ad interventi d’urgenza per copioso sanguinamento. La concentrazione ematica della gonadotropina corionica e la sua escrezione urinaria sono più elevate rispetto ai valori che si riscontrano nella mola benigna, ma non in maniera tanto significativa da rendere possibile la diagnosi sicura. La prognosi di questa malattia è seria, e la mortalità si aggira attorno al 5 In alcuni casi la mola invasiva si comporta come un vero tumore maligno, embolizzando ai polmoni e dando luogo a manifestazioni metastatiche in tale sede.

La terapia consiste nello svuotamento uterino; se compaiono recidive o metastasi è necessario ricorrere alla chemioterapia con metotrexate o altri farmaci, meglio se combinati. ·

Coriocarcinoma . Il coriocarcinoma è la forma più maligna e temuta di malattia trofoblastica; si comporta come un vero tumore maligno. Nel tessuto coriocarcinomatoso non si identificano più strutture che ricordino villi coriali , e la tendenza all’invasione del miometrio è nettissima. É difficile che il coriocarcinoma si presenti in forma primitiva; di solito la comparsa della malattia segue a distanza un evento gravidico sfociato in aborto o in mola vescicolare o in corioadenoma destruente. La latenza di comparsa del coriocarcinoma è di solito di sei-sette mesi da questo evento. La sintomatologia si compendia nella comparsa di perdite ematiche dall’utero, di dolori pelvici dovuti alla contrazione dell’utero stesso e di una serie di sintomi extragenitali imputabili alle metastasi, quali anemia , proteinuria , edemi, febbre anche elevata, dispnea . La lastra del torace mette in evidenza di solito una massiva invasione dei polmoni da parte del tumore; campi polmonari assumono il caratteristico aspetto “”a tempesta di neve”" per la presenza di numerosissimi noduli metastatici. Possono comparire tosse , emottisi , dolori toracici, dispnea prima sotto sforzo e poi a riposo.

La diagnosi si basa sulla sintomatologia, sulla pregressa gravidanza con esito abortivo, sulle radiografie e sull’elevato tasso di gonadotropina corionica escreta nelle urine.

Per quanto riguarda quest’ultimo dato è da notare che alcune fra le forme più maligne ed invasive della malattia non producono quantitativi elevati di gonadotropine corioniche, proprio a causa della forte differenziazione delle strutture cellulari del tumore. La prognosi della mola maligna, in assenza di terapia adeguata, è pessima, con mortalità molto elevate. Se si instaura precocemente una terapia aggressiva le probabilità di sopravvivenza sono molto più elevate.

La terapia dei coriocarcinoma è uno dei campi nei quali la somministrazione di farmaci antitumorali ha maggior successo; si può dire che il coriocarcinoma sia il primo tumore maligno guaribile con il solo trattamento chemioterapico. Per la terapia del coriocarcinoma si usano essenzialmente due farmaci, metotrexate e l’actinomicina D, seguendo protocolli diversi che in ogni caso prevedono alcuni cicli farmacologici susseguentisi. L’efficacia della terapia è tale che in alcuni casi si può addirittura evitare un intervento chirurgico di isterectomia , conservando nella donna la funzione riproduttiva; alcune pazienti con pregresso coriocarcinoma, curate con la chemioterapia e guarite, hanno in seguito messo al mondo figli completamente sani. L’azione della terapia farmacologica è impressionante anche nei confronti delle manifestazioni metastatiche del tumore; la regressione delle metastasi polmonari per esempio è apprezzabile radiograficamente già dopo pochi cicli di terapia. Per controllare l’efficacia della terapia è utile seguire la concentrazione dell’ormone gonadotropo nelle urine. Nella maggior parte dei casi, la concentrazione di questo ormone prima della cura antineoplastica è estremamente elevata. Dopo il ciclo di terapia con metotrexate si controlla il tasso dell’ormone: se questo è sceso, è segno che la terapia ha provocato una riduzione delle lesioni neoplastiche, mentre se la concentrazione è rimasta invariata bisogna purtroppo concludere che il tumore è insensibile alla chemioterapia, e che la prognosi è infausta. Se la terapia ha avuto successo, è bene ripetere il dosaggio dell’ormone a scadenze prestabilite: un’eventuale risalita della sua concentrazione indica una probabile recidiva del coriocarcinoma e, quindi, rende necessario un nuovo ciclo di terapia. Questo controllo della terapia non è possibile nelle forme più maligne, che non producono l’ormone.