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IL MODELLO COGNITIVISTA DELLA FOBIA SOCIALE

La fobia sociale è un disturbo molto diffuso ed invalidante. Gli sviluppi più recenti della teoria cognitiva hanno contribuito al modo in cui questo tema viene concettualizzato ed affrontato.
Il modello cognitivo della fobia sociale sviluppato da diversi autori (Clark e Wells, 1995-1997; Wells e Matthews, 1994), rappresenta un traguardo, in quanto mostra i progressi della terapia cognitiva nel campo dei disturbi d’ansia. Secondo questo modello, il disturbo della fobia sociale dipende da un lato da un processo maladattivo di elaborazione del sé come oggetto sociale e dall’altro da atteggiamenti di ricerca di sicurezza che contribuiscono al mantenimento del problema.
Clark e Wells (1995; 1997) hanno proposto un modello cognitivo dettagliato della fobia sociale, basato su un modello di autoregolazione della vulnerabilità emozionale. Secondo questo modello, la caratteristica centrale dei fobici sociali è il forte desiderio di dare una buona impressione di sé agli altri, ma tale desiderio è messo in discussione dalla sensazione di non avere le capacità per riuscirci. Questa insicurezza è contraddistinta da atteggiamenti negativi verso la propria prestazione, da strategie comportamentali protettive e da procedure di evitamento. I soggetti fobici, anziché concentrarsi sulla situazione sociale e sul feedback degli altri, focalizzano l’attenzione su loro stessi ed usano le informazioni che ottengono dalla propria auto-osservazione per valutare come appiano e cosa gli altri pensino di loro. L’attenzione diretta a sé, insieme ad i comportamenti protettivi e di evitamento, elude la falsificazione dell’auto-valutazione negativa ed induce gli altri a percepire il soggetto fobico sociale sotto una luce negativa, suggestionando la prestazione del soggetto nella situazione sociale.
Il modello di Clark e Wells pone particolare enfasi sull’attenzione alla focalizzazione del sè e l’uso delle informazioni interne per costruire un’impressione distorta e negativa di un sè osservabile. In generale si pensa che l’ansia sociale sia associata alla riduzione dell’esternazione dei segnali sociali. Questi due autori (Clark e Wells), in ogni caso, suggeriscono che chi soffre di fobia sociale riduce i processi di esternazione delle situazioni sociali. In particolare i fobici sociali si accorgono e si ricordano segnali/risposte degli altri che tendono ad interpretare poi come negativi. Dando il giusto peso alle reazioni negative nella maggior parte delle normali interazioni sociali, molti dei segnali che vengono conosciuti e ricordati, possono essere segnali ambigui che possono essere interpretati negativamente.
Questo fenomeno può risultare particolarmente evidente quando si parla in pubblico in una situazione ansiogena. Forse come conseguenza dell’errata applicazione, ad una a una, della regole sulle interazioni sociali (“quando ascoltano un’altra persona, possono mostrare di seguire il discorso facendo un sorriso o con un cenno del capo..ecc”) nel leggere le situazioni sociali, i fobici sociali tendono a interpretare l’assenza di segnali positivi (nessun sorriso, nessun cenno del capo...) e la presenza di risposte ambigue (come il guardare in basso, o l’interrompere il contatto oculare ecc..) in una assemblea possono essere interpretati come segni negativi (sempre quando si parla in pubblico), quando invece potrebbero benissimo essere interpretati nel senso che la presentazione è stimolante e fa riflettere.

Solitamente vengono citate dieci ipotesi di Clark (2001): 1. i fobici sociali interpretano gli eventi sociali in una modalità eccessivamente negativa.
2. I fobici sociali mostrano un aumento dell’attenzione su se stessi quando sono ansiosi in situazioni sociali.
3. I fobici sociali mostrano ridotta esternazione dei segnali sociali quando sono ansiosi
4. I fobici sociali generano immagini della prospettiva dell’osservatore, di come loro pensano di apparire agli altri in situazioni temute. (non alla lettera: le fobie sociali portano ad una dispercezione del sé… ossia fanno sì che chi ne soffre abbia una percezione distorta di come appare agli altri nelle situazioni da lui temute)
5. I fobici sociali usano le informazioni interne rese accessibili dalla focalizzazione del sé facendo attenzione a fare (erronee) previsioni di come appaiono agli latri. ( Non alla lettera:I fobici usano le informazioni interne rese disponibili dalla focalizzazione del sé/ su di sé..per fare inferenze su come appaiono agli altri.)
6. In situazioni di sicurezza e attenzione focalizzata del sé fanno attenzione ad evitare la disconferma delle credenze negative dei fobici sociali e mantenendo quindi, la fobia sociale.
7. In situazioni in cui si attuano comportamenti per la propria sicurezza, (cioè per tutelarla) e in cui si è focalizzati su se stessi, i fobici sociali possono apparire agli altri meno desiderabili.
8. L’esternazione di segnali sociali dovuta alla fobia sociale può essere interpretata dagli latri come un segno di disapprovazione.
9. I fobici sociali si impegnano nel trattare anticipatamente in modo negativo un evento, prima di immettersi nella situazione sociale temuta.
10. Dopo gli eventi, chi soffre di fobia sociale, rimugina prolungatamente e negativamente (ha pensieri a valenza negativa) su tali eventi.

Un altro aspetto importante sono le assunzioni di base: catastrofizzazione circa le conseguenze di eventuali comportamenti, standard elevati per le performance sociali e schemi su se stessi assolutamente negativi.
Esempi di percezione di sé: “mi sento così agitato che sicuramente sto dando una cattiva impressione di me”, oppure “Sento la mia voce come gracidante, patetica e debole”. Tali informazioni interne sono usate per elaborare delle inferenze su come si appare agli occhi degli altri e sul giudizio di questi ultimi. In alcune condizioni la persona evita completamente la situazione sociale temuta, togliendosi così della possibilità di contraddire le proprie credenze e i propri giudizi negativi.
Le preoccupazioni connesse all’anticipazione e all’analisi a posteriori partecipano al mantenimento del problema, preattivando i processi negativi e favorendo, dopo l’incontro, questi timori con sentimenti ed immagini distorte di sé. Il fobico sociale tende a rimuginare sugli aspetti negativi delle situazioni passate e sulle situazioni future; questi fattori contribuiscono a mantenere giudizi negativi di realtà distorte.
Da segnalare anche i comportamenti protettivi, i quali sono comportamenti o azioni mentali messe in atto dal paziente più o meno volontariamente, vengono utilizzati nel tentativo di nascondere o evitare le temute conseguenze, hanno la funzione di proteggere il soggetto dalle conseguenze temute dell’ansia, ma in realtà sono dannosi e quindi devono essere eliminati, perchè concorrono alla permanenza del problema per mezzo dei seguenti meccanismi:
- restrizione del focus attentivo sul sé,
- ostacolo alla verifica,
- aumento dei sintomi temuti (es. tremare, sudare, vuoti di mente, perdere il controllo…),
- influenzamento della situazione sociale (es. facendo apparire la persona ostile e fredda)
Alcuni esempi di comportamenti protettivi: Tremare—Impugnare con forza gli oggetti; evitarne alcuni, tenere le braccia appoggiate; provare a controllare i movimenti. Sudorazione ascellare—Tenere le braccia strette lungo il corpo; tenere le braccia conserte; non togliersi la giacca; concentrarsi sul proprio sudore. Parlare di fronte agli altri—Parlare velocemente; non guardare gli altri; non prendere pause; attenzione rivolta alle proprie sensazioni somatiche.

Un altro concetto fondamentale sono gli aspetti pre e post evento, cioè l’ansia anticipatoria e la valutazione successiva. Molte esperienze di fobie sociali sono considerabili ansiose quando anticipano un evento sociale, ovvero quando le persone che soffrono di fobia sociale danno la priorità a ciò che pensano possa accadere loro. Appena iniziano a pensare all’evento diventano ansiosi e i loro pensieri tendono ad essere dominati da una raccolta di fallimenti passati, da immagini negative di loro stessi durante l’evento e da altre nuove predizioni di misere figure, o dal fatto di essere respinti.

A volte, queste ruminazioni portano chi soffre di questa paura ad evitare completamente gli eventi. Se ciò non accade ed il soggetto partecipa agli eventi, è come se si sentisse dentro una modalità di processi già focalizzati sul sé, si aspetta il fallimento e gli fa meno piacere non riconoscere alcun segno di approvazione da parte delle altre persone. Vivere o fuggire un evento sociale, non porta necessariamente ad un immediato pensiero negativo nella persona con fobia sociale e ciò fa calare lo stress. Non c’è un lungo ed immediato pericolo sociale, così l’ansia rapidamente declina.
Tuttavia la natura delle interazioni sociali non è tale da far ricevere a chi soffre di questo disturbo, segnali di approvazione non ambigui dagli altri e per questa ragione non è raro per chi soffre di fobia sociale arrivare al post-mortem dell’evento. L’interazione è rivissuta nei dettagli e, durante queste revisioni, le sensazioni del paziente ansioso e le sue percezioni, sono associate a figure particolarmente preminenti, come se loro fossero esaminati nel dettaglio, mentre i pazienti erano nella loro situazione e quindi questo sarebbe fortemente impresso nella memoria. La sfortunata conseguenza di questo è che il rivissuto del paziente, è come se fosse dominato dalla sua percezione negativa del sé e l’intenzione è quasi come se fosse vista più negativa di quello che realmente è. Questo può spiegare perché alcuni fobici sociali manifestano un senso di vergogna che persiste per un pò dopo che l’ansia è scomparsa. Un qualunque aspetto del Post-Mortem (del sintomo) è la modalità di percepire il fallimento sociale. La recente interazione, unita alla lista dei fallimenti passati, rafforzerà la convinzione di inadeguatezza sociale del paziente e questa sarà rafforzata.

In conclusione (fig.1), secondo il modello cognitivo della fobia sociale avanzato da Clark e Wells (1995; 1997) quando una persona si trova a vivere una situazione pubblica, si riscontra la seguente sequenza di eventi: la situazione attiva le credenze relative al potenziale fallimento della prestazione e le implicazioni legate alla manifestazione dei sintomi; ciò induce il soggetto a percepire un pericolo sociale che diviene visibile nelle preoccupazioni anticipatorie o nei pensieri automatici negativi. Come per esempio: “non cosa dire, la gente penserà che sono stupido”; oppure “cosa succederà se sudo o balbetto? Tutti mi noteranno e penseranno che non sono normale”.
I pensieri automatici negativi sono associati all’attivazione dell’ansia, sotto forma di sintomi somatici o cognitivi, che diventano ulteriori fonti di pericolo, perché sono soggetti a giudizi negativi e potrebbero essere interpretati come prove di umiliazione o fallimento. La strategia difensiva porta a concentrare l’attenzione su di sé e sui propri comportamenti. Gli studi sopra esaminati sono un incoraggiante sostegno per la maggior parte delle ipotesi inserite nei modelli di Clark e Wells. Tuttavia solo per alcune di queste ipotesi sono stati finora riferiti solo studi analogici e sarà necessario confermare le loro scoperte (attraverso studi su pazienti) studiando i pazienti. Inoltre, molti aspetti dell’ipotesi restano da essere valutati e i veri stati causali di molti processi necessitano di essere dimostrati attraverso la manipolazione del processo relativo ad essi.
Dott.ssa Francesca Birello

Riferimenti bibliografici:
- Beck A.T., Emery C., Greenberg R.L., (1985), Anxiety Disorders and Phobias:A cognitive perspective. New York: Basic Books.
- Clark, DM.(1986), A cognitive model of panic. Behaviour Research and therapy; 24, 461-470.
- Clark DM., Wells A. (1995). A cognitive model of social phobia. In R. Heimberg, M. Liebowitz, D.A. Hope & F.R. Schneier (Eds) Social Phobia: Diagnosis, Assessment and Treatment. New York: Guilford Press.
- Wells A. (1999), Trattamento cognitivo dei disturbi d’ansia, curatore edizione italiana: Sica Claudio, Psicologia McGraw-Hill, Milano.
- Wells A., Matthews G. (1994), Attention and Emotion. A clinical Perspective. Hove, Uk : Erlbaum.