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Blefariti, calazi o orzaioli

La blefarite (dal greco Bléfaron , palpebra e –ite , desinenza convenzionale che in medicina indica un processo infiammatorio) è l’infiammazione del margine palpebrale che si arrossa, gonfia, forma pustole, squame, crosticine, talora si ulcera alla base delle ciglia, che possono cadere (Figura 1), con sensazione di corpo estraneo, prurito, eccessiva lacrimazione e sensibilità alla luce. Di notte le secrezioni seccano e le palpebre si appiccicano.

La diagnosi . La presenza di ulcere e di sanguinamento successivo alla rimozione delle crosticine distinguono le forme causate da un’infezione (in genere batteri come lo stafilococco, più raramente funghi) da quelle non ulcerative o seborroiche, in cui le squame sono più oleose e le cause sono da ricercare in fattori di origine allergica o costituzionale (i soggetti affetti hanno tipicamente seborrea cutanea, forfora del cuoio capelluto, talora condizioni dermatologiche come ad esempio l’acne rosacea). Nelle forme infettive si formano piccoli ascessi che coinvolgono i follicoli ciliari e le ghiandole di Meibomio, che si trovano all’interno della palpebra, con il compito di produrre la fase lipidica delle lacrime, che ne previene l’evaporazione (blefarite posteriore). Lo squilibrio di tale secrezione, sovente in eccesso, altera la qualità del film lacrimale e favorisce il sovrapporsi di infezioni batteriche a carico della superficie oculare, che può partecipare al processo infiammatorio con disturbi collaterali (congiuntiviti, calazi, orzaioli). Nei casi più seri si possono verificare cheratiti, ulcerazioni e ascessi corneali con conseguenze potenzialmente gravi per la visione. Siccome in molti casi i segni e i sintomi sono sfumati, la blefarite può sfuggire all’indagine preliminare per indicare la chirurgia refrattiva (LASIK, PRK) con rischi seri nel postoperatorio. Tale chirurgia va effettuata soltanto una volta risolta l’infiammazione del bordo palpebrale.

La terapia . Il trattamento della blefarite si presenta difficile, data la tendenza a ripetersi ciclicamente e a cronicizzarsi. Il cardine della cura si fonda sul rispetto di talune norme igieniche locali e generali. In buona parte dei casi, evitare di sfregarsi gli occhi e la corretta pulizia del bordo palpebrale e delle ciglia con impacchi di acqua tiepida salata (Figura 2), soluzione di bicarbonato di sodio (un cucchiaio da the in mezzo litro di acqua bollita) oppure con uno dei tanti prodotti detergenti ‘specifici’ presenti sul mercato permette, da sola, il controllo dell’infiammazione.

Nelle forme ulcerative si ricorre ad antibiotici locali (colliri e/o pomate) e sistemici (eritromicina e tetracicline), anche associati a deboli cortisonici. L’efficacia antinfiammatoria del cortisonico si associa ad un rischio significativo di complicanze gravi (cataratta, glaucoma) in caso di autoprescrizione senza il monitoraggio medico. Un’adeguata igiene alimentare (evitare cibi che sovraccaricano fegato e intestino, usare integratori di acidi grassi essenziali omega-3 ) e uno stile di vita poco stressato sono particolarmente utili.

Il calazio (Figura 3) è un nodulo infiammatorio che si forma nello spessore delle palpebre, sia inferiori che superiori, in seguito all’occlusione del dotto escretore delle ghiandole grasse deputate alla produzione della componente lipidica del film lacrimale. Pur non essendo causato da un’infezione, l’infiammazione generata predispone a un’infezione secondaria che si associa con scarico di pus. Le cause sono sconosciute, anche se, similmente all’acne delle ghiandole sebacee della cute, si associano spesso seborrea, predisposizione costituzionale, scarsa igiene locale e stili di vita particolari (stress, cattiva digestione, disturbi del fegato, intestino pigro), infiammazione cronica delle palpebre (blefarite), occhio secco. Le dimensioni possono variare da piccole, quasi invisibili, a noduli grandi quanto un pisello, capaci di comprimere il bulbo e disturbare la visione. Con il tempo, i calazi perdono l’iniziale dolorabilità, simile a quella degli orzaioli e diventano di consistenza più dura e più circoscritti. Si possono riassorbire in poche settimane senza terapia, anche se giova effettuare impacchi caldo-umidi e utilizzare colliri o pomate di antibiotici e cortisonici. Raramente si ricorre a medicinali per bocca o a infiltrazioni di cortisonici. Il calazio fastidioso e persistente può essere rimosso con un semplice intervento ambulatoriale. Dopo l’iniezione di una piccola quantità di anestetico locale, il calazio viene inciso e drenato dalla parte interna oppure esterna della palpebra, con o senza l’apposizione di punti di sutura, per evitare il sanguinamento. A causa di possibili rimozioni incomplete e recidive, l’intervento ha una percentuale di successo intorno al 90%.

L’ orzaiolo (Figura 4) si presenta senza regole, sviluppandosi a partenza di una terminazione ghiandolare che si infetta, in genere ad opera di batteri abituali residenti delle regioni nasali e perioculari (gli stafilococchi) che da lì si trasferiscono grazie allo strofinamento. In genere, si risolve spontaneamente in pochi giorni, aprendosi con una pallina gialla (il pus che drena) e causando pochi sintomi (gonfiore, a volte dell’intera palpebra, prurito, arrossamento, dolenzia, sensazione di occhio “acquoso”) e qualche fastidio pratico (ad esempio nei portatori di lenti a contatto, che devono sospenderne l’uso) ed estetico. Schiacciarlo come una pustolina della pelle non è una buona idea. Quasi sempre diffonde l’infezione e peggiora la sintomatologia, allungando i tempi di guarigione.