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La relazione figlia-madre nelle prime teorie psicoanalitiche. 1 - Sigmund Freud


1.
Sigmund Freud

Solo negli ultimi anni della sua vita, solo dopo la morte della madre novantacinquenne, Freud , su sollecitazione di alcune colleghe psicoanaliste [1] , si interroga a fondo sulla specificità della sessualità femminile e scopre l’importanza fondamentale della primitiva relazione fusionale-passionale tra le bambine e le loro madri.

Negli scritti degli ultimi anni egli fa una sorta di autocritica, riconoscendo di aver sottovalutato l’antica “epoca preedipica” che domina incontrastata la diade madre-figlia.

Sapevamo (…) che vi era stato uno stadio preliminare di attaccamento alla madre, ma non sapevamo che potesse essere così ricco di contenuto, perdurare così a lungo, lasciarsi dietro tanti spunti per fissazioni e disposizioni successive. Durante questo periodo il padre è solo un molesto rivale (…). Quasi tutto quello che più tardi troviamo nel rapporto col padre era già presente in tale attaccamento (…). Ci formiamo, in breve, la convinzione che non si possa comprendere la donna se non si valuta adeguatamente questa fase dell’attaccamento pre-edipico alla madre. [2]

Nella lezione “La femminilità” e nel saggio “Sessualità femminile” Freud riconosce l’esistenza nella bambina di un attaccamento preedipico per la madre estremamente intenso, prolungato ed esclusivo, che differenzia nettamente il suo percorso evolutivo da quello del maschietto.

Questo vincolo materno (…) si prolunga nella maggior parte dei casi fino al quarto anno di età (…), comprende cioè la parte di gran lunga più estesa della fioritura piccolo-infantile della vita sessuale (…).

Tutte le aspettative di un puro parallelismo tra lo sviluppo sessuale maschile e quello femminile sono state da noi abbandonate. [3]

Si tratta di un legame che precede l’invidia del pene e la svolta in direzione del padre, caratterizzato dall’alternanza di desideri sia passivi che attivi (fallici, clitoridei), che si evidenziano nella fantasia della bambina di dare un figlio alla madre.

In questa nuova formulazione, il padre subisce un declino dal punto di vista dell’importanza libidica. L’ostilità nei suoi confronti non sembra paragonabile a quella che si sviluppa nei maschi, e laddove si riscontra un legame col padre particolarmente intenso, esso si rivela l’erede di un vincolo materno altrettanto forte.

Ma come avviene – si chiede Freud – il passaggio dall’attaccamento preedipico (omosessuale) alla madre all’amore edipico (eterosessuale) per il padre? Tramite un vero e proprio viraggio dei modi di essere e desiderare della bambina, che abbandona ogni fantasia attiva di relazione con la madre per acquisire la passività necessaria alla fase edipica. Il passaggio è innescato dal risentimento verso la figura materna, che trasforma l’amore della bambina in ostilità: la madre non le ha dato nutrimento sufficiente, l’ha costretta a condividere l’amore materno con altri fratellini, ha eccitato e poi proibito l’attività sessuale e infine ha la colpa di non averla dotata di un pene. Da qui l’abbandono di questo legame d’amore, e il viraggio verso il desiderio di essere posseduta dal padre e di ricevere un figlio da lui, un bambino che simboleggi il pene mancante.

L’invidia del pene e l’equazione pene/bambino continuano ad essere il fulcro della femminilità. Nella femmina, tuttavia, il complesso edipico non appare assoluto come nel maschio.

Poiché nella fase preedipica vi è spazio per tutte le fissazioni e rimozioni alle quali siamo soliti ricondurre il sorgere delle nevrosi, pare necessario ritrattare la validità generale della tesi che il complesso edipico sia il nucleo della nevrosi. [4]

La relazione fatale, di amore per uno dei genitori e di odio per l’altro considerato come un rivale, si pone solo per il maschio. [5]

In alcuni punti, inoltre, Freud sembra ammettere che la ferita di non possedere un pene e le altre motivazioni individuate alla base del distacco dalla madre abbiano un peso relativo nel determinare la fine di questo attaccamento. Sarebbe piuttosto il carattere così profondo e assoluto di questo amore a farlo perire, proprio in ragione della sua intensità.

L’intera serie delle motivazioni per il distacco dalla madre poste in luce dall’analisi (sembrano) motivi insufficienti per giustificare l’ostilità finale. Alcuni di essi (…) sembrano razionalizzazioni accampate più tardi per spiegare l’incomprensibile voltafaccia del sentimento. Piuttosto, forse, il vincolo materno deve scomparire proprio perché è il primo ed è così intenso (…). L’impostazione dell’amore non reggerà alle inevitabili delusioni e all’accumularsi delle ragioni di aggressività (…). L’intenso legame della bimba con la madre dev’essere fortemente ambivalente e (…) proprio per questa ambivalenza si strappa. [6]

L’attaccamento alla madre in molti casi non viene mai completamente abbandonato. Ma cosa resta, nella donna adulta, di questo primitivo e potente attaccamento? Freud scopre quanto sia importante l’atteggiamento della bambina verso la madre per i suoi futuri rapporti con gli uomini:

Abbiamo da tempo osservato che molte donne che hanno scelto il loro marito sulla base del modello paterno (…) ripetono ciononostante con lui nel matrimonio il loro cattivo rapporto con la madre. Egli doveva ereditare la relazione col padre e in realtà eredita quella con la madre. [7]

Ma soprattutto colloca questa continuità nella dimensione psicopatologica, avanzando “ il sospetto che esista una relazione particolarmente intima tra questa fase del vincolo materno e l’etiologia dell’isteria (…) e che in questa dipendenza dalla madre si trovi il germe della futura paranoia della donna”. [8]

Egli non va oltre, non dice nulla di più sulle emozioni che abitano la relazione preedipica madre-figlia (questa “civiltà minoico-micenea precedente alla civiltà greca”) e sul loro destino nella vita emotiva delle donne adulte. Ammette però l’incompletezza della propria ricerca.

Tutto, nell’ambito di questo primo vincolo materno, mi sembrò così difficile da afferrare analiticamente, così grigio e remoto, umbratile, difficile da riportare in vita, come se fosse precipitato in una rimozione particolarmente inesorabile. [9]

E indicando gli importanti contributi delle psicoanaliste donne nella scoperta del primissimo legame madre-figlia sembra passare il testimone, riconoscendo loro una particolare e specifica competenza.

Pare, in verità, che le analiste (…) abbiano avuto modo di accorgersi di queste realtà più facilmente e perspicuamente, perché venne loro in aiuto, nelle persone di cui avevano intrapreso il trattamento, la traslazione su un confacente sostituto della madre. Per parte mia non sono mai riuscito a penetrare perfettamente neppure un caso. [10]


Livia Botta ( www.liviabotta.it )


[1] Freud riconosce il proprio debito nei confronti di Lou Andreas-Salomé, Ruth Mack Brunswick, Jeanne Lampl-de-Groot, Helene Deutsch, autrici di importanti contributi teorici su quella che egli chiama “la preistoria della donna”.

[2] S. Freud (1932), tr. it. La femminilità, in Introduzione alla psicoanalisi. Prima e seconda serie di lezioni, Boringhieri, Torino 1978, p. 519.

[3] S. Freud (1931), tr. it. Sessualità femminile, in La vita sessuale, Boringhieri, Torino 1970, p. 242.

[4] Ibid., p.242.

[5] Ibid., p. 245.

[6] Ibid., p.251-252.

[7] Ibid., p. 247.

[8] Ibid., p. 243.

[9] Ibid., p. 243 .

[10] Ibid., p. 243.