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IL TRASFERIMENTO A TITOLO ONEROSO DI STUDIO PROFESSIONALE E' VALIDO ANCHE SE COMPRENSIVO DEI CLIENTI

(Commento a Corte di Cassazione Civile, 2^ Sezione, n. 2860 del 09.02.2010)

La sentenza in commento si segnala perché stabilisce un nuovo principio di diritto: “ E’ lecitamente e validamente stipulato il contratto di trasferimento a titolo oneroso di uno studio professionale, comprensivo non solo di elementi materiali e degli arredi, ma anche della clientela, essendo configurabile, con riferimento a quest’ultima, non una cessione in senso tecnico (attesi il carattere personale e fiduciario del rapporto tra prestatore d’opera intellettuale e cliente e la necessità, quindi, del conferimento di un nuovo incarico dal cliente al cessionario) , ma un complessivo impegno del cedente volto a favorire – attraverso l’assunzione di obblighi positivi di fare (mediante un’attività promozionale di presentazione e di canalizzazione) e negativi di non fare (quale il divieto di riprendere ad esercitare la medesima attività nello stesso luogo) – la prosecuzione del rapporto professionale tra i vecchi clienti ed il soggetto subentrante” .

La situazione di fatto oggetto della sentenza di legittimità è la seguente: Tizio, con atto di citazione dinanzi al Tribunale di Catania, conveniva in giudizio Caio lamentando che - nel 1994 - il convenuto gli aveva ceduto lo studio professionale di fiscalista con scrittura privata, dietro pagamento di un corrispettivo, comprensivo – in larga parte - della cessione della clientela e in piccola parte degli arredi dello studio professionale.

Pertanto, chiedeva dichiararsi la nullità del contratto per contrarietà a norme imperative e per illiceità dell’oggetto, atteso che la clientela non poteva formare oggetto di scambio; in subordine, la conversione parziale della scrittura privata in altro contratto nella parte relativa agli arredi ed in quella concernente la cessione del contratto di locazione e le utenze.

Il convenuto si costituiva in giudizio, resistendo e spiegando domanda riconvenzionale, con la quale chiedeva il pagamento della residua somma dovuta (quasi la totalità della somma concordata).

Il Tribunale, in primo grado, accoglieva la domanda, dichiarando nullo il contratto intercorso tra le parti in causa per impossibilità dell’oggetto; condannò, altresì, il convenuto alla restituzione della somma già percepita e respinse la sua domanda riconvenzionale.

Il convenuto impugnava la sentenza dinanzi alla Corte d’Appello di Catania, la quale accoglieva l’impugnazione in via principale e la domanda riconvenzionale spiegata in primo grado, condannando l’appellato al pagamento di una somma – inferiore a quella richiesta -, nonché al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

La Corte d’Appello riteneva, infatti, che l’oggetto del contratto esiste, è possibile ed è lecito: infatti, è evidente che oggetto del contratto non era direttamente la cessione della clientela, ma “ un complesso organizzato di beni idonei a produrre reddito, tanto più che il riferimento al fatturato dello studio era stato fatto non in relazione ad un eventuale corrispettivo per la clientela ceduta (che, peraltro, non costituiva oggetto del contratto), sebbene avuto riguardo solo all’entità ed alle modalità di pagamento dell’ultima trance di prezzo ”.

Tizio ha proposto, dunque, ricorso per cassazione.

La Suprema Corte ha confermato la sentenza della Corte d’Appello di Catania, sostenendo, innanzitutto, che “ non si può normalmente equiparare ad un’azienda…. uno studio professionale, nel cui esercizio è elemento di gran lunga preponderante l’attività personale del professionista, onde sull’organizzazione dei beni materiali occorrenti, e anche sui beni immateriali rappresentati dal nome, dall’avviamento, dalla clientela e dal complesso di rapporti suscettibili di continuazione e di sviluppo sovrasta, di regola, in modo assoluto la personalità di chi esercita lo studio, senza la cui capacità, attività e considerazione professionale anche quel complesso di beni sarebbe destinato a rimanere inefficiente e privo di attitudine produttiva ” (si vedano, in proposito, le sentenze della Corte di Cassazione n. 3495 del 09.10.1954 e n. 1889 del 21.07.1967).

Nello studio professionale – ha sostenuto ancora la Suprema Corte di legittimità – “ .. quello che conta e prevale – e ne caratterizza l’importanza e il valore – è sempre l’opera intellettuale del titolare, il quale agisce, anche nello svolgimento della sua attività, in base ad un incarico fiduciario (intuitu personae) del committente, espletato con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione. Il nome, la capacità del professionista e la fiducia che egli ispira costituiscono quindi i fattori che sogliono indirizzare la clientela, la quale è in funzione (principale se non esclusiva) delle doti personali d’ingegno, perizia, serietà e considerazione delle quali gode il professionista, e non dei beni materiali e strumentali che ne arredano lo studio ”.

Gli ermellini osservano, altresì, che nel momento in cui viene stipulato un contratto avente ad oggetto il trasferimento, verso corrispettivo, dello studio professionale ad altro soggetto, il quale sia intenzionato a proseguire l’attività avvalendosi del medesimo complesso di beni (materiali e immateriali) di cui si serviva il proprio dante causa, si verifica un vero e proprio trasferimento dell’attività – comprensiva degli arredi, dei beni strumentali e dei rapporti contrattuali di fornitura ma anche, in via indiretta, della clientela, mediante attività promozionale di presentazione e canalizzazione -, volta a “ consentire al successore che ne abbia le qualità di mantenere la clientela del suo predecessore, previo conferimento di un nuovo incarico ”.

La Cassazione, a sostegno di questo orientamento, fa riferimento ad alcune decisioni precedenti non proprio recenti (cfr. Cass. civ., sez. III, 08.02.1974 n. 370 e Cass. civ., sez. III, 12.11.1979 n. 5848), a norma delle quali “ il contratto di cessione-vendita di uno studio professionale nell’insieme degli elementi che lo costituiscono e pure in relazione alla clientela che ade esso faccia capo, mediante il versamento di una somma, è valido e lecito in base al principio dell’autonomia contrattuale, che consente alle parti di concludere anche contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purchè siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico ”, e “ sebbene non sia possibile in senso tecnico – giuridico il trasferimento della clientela, è giuridicamente configurabile la cessione di uno studio professionale insieme con il suo avviamento, consistente in una qualità di detto studio, il quale viene così trasferito, quale complesso di elementi organizzati per l’esercizio dell’attività professionale, munito dell’attributo essenziale e necessario costituito dall’avviamento ”.

Indirettamente – secondo i Giudici di legittimità – la validità della cessione dello studio professionale trova conferma anche nel dato normativo, in particolare nell’art. 2238, 2^ comma, c.c., che consente l’appalicazione dell’art. 2112 c.c. (in tema di mantenimento dei dirtti dei lavoratori): in forza del rinvio citato, la disposizione che prevede la continuazione del rapporto di lavoro con il cessionario e la conservazione, in capo al lavoratore, di tutti i diritti che nederivano, si applica anche nell’ipotesi in cui venga ceduto lo studio di un professionista che – pur non essendo imprenditore , nonché titolare di uno studio professionale non qualificabile come azienda – impieghi sostituti ed ausiliari (in proposito si vedano, ex multis, Cass. Civ., sez. II, 16.11.1968 n. 3757; Cass. civ., sez. lavoro, 15.07, 1987 n. 6208 e Cass. civ., sez. lavoro, 23.06.2006 n. 14642).

Infine, l’art. 36 – comma 29 – del D.L. 04.07.2006 n. 223 (il quale ha inserito il comma 1-quater all’art. 54 del T.U. delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22.12.1986 n.917), prevede espressamente che “ concorrono a formare il reddito (di lavoro autonomo) i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferibili all’attività artistica o professionale ”.

Alla luce di quanto sopra osservato, la Suprema Corte ha affermato il principio di diritto citato all’inizio, confermando la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Catania.

Roma, 10.02.2010 Avv. Daniela Conte