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STORIA DEI TAROCCHI

La storia La storia dei Tarocchi è antichissima ed affascinante e ha accompagnato l'evoluzione delle culture evolvendosi a sua volta, compenetrandosi e contaminandosi con esse. L'origine prima dei Tarocchi non è certa, esistono diverse teorie. Ciò che è certo è che i Tarocchi esattamente come li conosciamo oggi sono di origine medievale, e che quindi per molti secoli i Tarocchi si sono conservati perfettamente immutati ed attuali. I Tarocchi però, secondo alcune teorie, hanno una storia ben più antica, e ad oggi non vi è accordo tra gli studiosi su quale sia l'origine. Principali teorie sull'origine dei Tarocchi

Le teorie più accreditate sull'origine dei Tarocchi si possono ricondurre principalmente a queste:

1 - X secolo a.C. in Cina. Già 3000 anni fa è documentata in Cina la presenza di un mazzo del tutto simile a quello dei Tarocchi, I Ching.

2 - XIV secolo d.C. in America Centrale. Nell'attuale Messico sono presenti testimonianze di epoca Azteca di un mazzo di quattro semi come quello dei Tarocchi e con simile simbologia, oltre all'aggiunta delle divinità Azteche.

3 - XII secolo d.C. in Europa. Origine incerta, si sospetta Francia o Italia, o in secondo luogo Spagna o Inghilterra.

4 - XIV secolo a.C. in Egitto. I tarocchi deriverebbero da una sintesi della filosofia e religione Egizia e sono corrispondenti ai geroglifici del Libro di Thoth. Diffusione dell'uso dei Tarocchi I Tarocchi hanno incontrato il loro periodo di massima diffusione nel tardo medioevo e nel rinascimento. Dai tarocchi discendono anche le carte da gioco diffuse oggi, sia quelle per il gioco del poker, sia quelle per il gioco della scopa. Questa origine è evidente e indiscussa in quanto i vari mazzi da gioco sono spesso la riproduzione precisa degli arcani minori dei Tarocchi. I Tarocchi come nessun altro hanno quindi accompagnato la storia umana nei secoli, e anche oggi in un'epoca di calo dell'interesse religioso e di abbandono dell'irrazionale i Tarocchi conservano viva come non mai la loro attrattiva e il loro fascino.

Altra teoria

Sul finire del Settecento, mentre i Tarocchi marsigliesi si diffondevano in tutta Europa come gioco di società, un adepto della Massoneria francese, Antoine Court de Gebelin (1719-1784), annunciò di avere scoperto che la vera origine di queste carte era da ricercare nell'antico Egitto. Più precisamente, de Gebelin parlò di un testo sacro, il Libro di Thot , che si sarebbe tramandato nel corso dei secoli sotto forma di un gioco di carte portato in Europa dagli zingari. Era un'idea senza fondamento e tuttavia non ebbe difficoltà a venire accettata nell'Europa del Settecento, attraversata da una moda egizianista che coinvolgeva non solo le Logge massoniche ma anche i salotti aristocratici, i circoli letterari, gli ambienti artistici e musicali. Oltretutto, l'annuncio della riscoperta di un antico libro egizio era stata divulgata da una personalità ben nota della cultura francese, sulla quale è necessario soffermarsi. Antoine Court de Gebelin non fu semplicemente “un pastore protestante appassionato di archeologia”, come talvolta viene sbrigativamente definito, ma fu una personalità molto più complessa. Ricoprì per vari anni la carica di Censore Reale, un ruolo che nella cattolicissima Francia era davvero inusuale per un uomo di fede protestante. Fu presidente del Musée, una società letteraria parigina. Fu amico degli enciclopedisti Diderot e D'Alembert, degli scienziati Franklin e Lalande, dei teorici della rivoluzione Danton e Desmoulins, dell'eroe dell'indipendenza americana La Fayette, tutti adepti come lui della Loggia massonica Les Neuf Soeurs, che egli diresse per due anni. Court de Gebelin fu anche affiliato all'Ordre des Philalèthes, una società paramassonica tra i cui scopi vi era quello di trovare nei riti della Massoneria i rapporti con le antiche dottrine esoteriche. Queste poche informazioni sono sufficienti a spiegare quanto peso avessero sugli intellettuali francesi le opinioni di Court de Gebelin. Infatti, quando egli annunciò la pubblicazione dell'enciclopedia Monde primitif, analisé et comparé avec le monde moderne, trovò subito un sufficiente numero di sottoscrittori che si impegnarono ad acquistare copie dei volumi, il primo dei quali fu stampato nel 1773. Il titolo di quest'opera si basa sulla credenza, diffusa non soltanto in ambienti massonici, che all'origine dei tempi fosse esistita una “Età dell'Oro” in cui l'umanità aveva un solo linguaggio, una sola religione e identiche usanze, semplici e pacifiche. Quel mondo sarebbe poi degenerato moralmente, nel corso dei secoli, fino a compiere quell'atto di orgoglio, la costruzione della Torre di Babele, punito da Dio con la confusione delle lingue. Dunque, tra le ambizioni della Massoneria vi era pure quella di ritrovare la lingua perduta e di ricostruire la religione primitiva che sarebbe stata il fondamento di una nuova Età dell'Oro. Poiché la civiltà egizia era unanimemente considerata la più antica del mondo, proprio sull'Egitto si concentrò l'interesse maggiore dei massoni. In sostanza l'enciclopedia di Court de Gebelin consiste nello studio comparato di miti, principalmente egizi e greci, racconti biblici, nomi di persone e di città, radici linguistiche, geroglifici, emblemi, dipinti, monumenti e quant'altro potesse servire a dimostrare la presunta unità culturale del mondo primitivo. Oggi questa teoria è considerata assurda, come la maggior parte delle affermazioni di Court de Gebelin, e infatti Monde primitif sarebbe completamente dimenticato se non fosse per un articolo apparso nell'ottavo volume (Parigi, 1781), in cui si parla della riscoperta del mitico Libro di Thot e del suo rapporto con il gioco dei Tarocchi. L'articolo Du Jeu des Tarots comincia descrivendo la “sorpresa che causerà la scoperta di un libro egizio”: Se ci apprestassimo ad annunciare che, ai nostri giorni, sussiste un'Opera degli antichi Egizi sfuggita alle fiamme che hanno distrutto le loro superbe biblioteche, un'Opera che contiene la più pura dottrina degli Egizi, chi non sarebbe impaziente di conoscere un Libro tanto prezioso, tanto straordinario! E se aggiungessimo che questo Libro è molto diffuso in gran parte dell'Europa, che da secoli va per le mani di tutti [...] riguardato come un mazzo di strane figure prive di senso! Chi non penserebbe che scherziamo o che vogliamo approfittare della credulità degli ascoltatori? E tuttavia quanto sostengo è rigorosamente vero: questo Libro egizio, il solo rimasto delle loro superbe Biblioteche, esiste ai nostri giorni, e ciò che è più stupefacente, esso è talmente comune che nessuno, prima di noi, ne aveva intuito l'illustre origine. [...] Questo libro è il Gioco dei Tarocchi. Dunque, il letterato francese sosteneva di essere stato il primo a indicare l'origine egizia dei Tarocchi e per dare più forza alle sue affermazioni raccontò di avere praticamente ignorato l'esistenza di queste carte fino al giorno in cui era andato a trovare un'amica che egli trovò intenta a giocare a Tarocchi con alcune dame. Incuriosito dalle strane figure le osservò meglio e ne comprese il vero significato: “in un quarto d'ora tutto il mazzo venne sfogliato, spiegato, dichiarato egizio”. L'articolo prosegue descrivendo il rapporto dei vari Atous, termine usato dai giocatori francesi per indicare i Trionfi, con la religione egiziana. Per esempio, nella carta del Diavolo (XV) vide Tifone, il mostro che annualmente uccide il dio solare Osiride, riportando così l'inverno sulla terra. Nella figura del Carro (VII) vide Osiride trionfante in seguito alla risurrezione provocata dalle lacrime della moglie Iside. Nella Luna (XVII) vide Iside intenta a versare le lacrime che all'inizio dell'estate provocano le fertili inondazioni del Nilo. Per dare una misura all'assurdità di queste affermazioni basti pensare che Court de Gebelin non prese come riferimento i Tarocchi più antichi, cioè quelli viscontei dipinti nel Quattrocento, ma una loro derivazione, cioè i Tarocchi marsigliesi. E ancor più assurde sono le fantasticherie linguistiche contenute nella seconda parte dell'articolo, dove il Maestro massone pretese di mostrare “alcuni nomi orientali” presenti nei Tarocchi. Per prima cosa affermò che il nome di queste carte, composto dai termini Tar e Ros (a suo dire di origine egizia) significherebbe “sentiero reale della vita”. La parola Matto verrebbe da Mat, cioè ucciso, incrinato; difatti “i folli sono sempre rappresentati con il cervello fêlé” (sic!). Invece Bagatto deriverebbe da Pag e Gad, traducibile con “Signore del Destino”. Sono tutti termini che, in realtà, non hanno alcun rapporto con l'antica lingua egiziana. A quell'epoca i geroglifici erano ancora indecifrati e la maggior parte delle tombe egizie giaceva sotto la sabbia; tuttavia i giochi linguistici di Court de Gebelin erano destinati a suscitare una forte suggestione nei lettori.

L'origine del gioco delle carte è antica e misteriosa. Di sicuro sappiamo soltanto che il più vecchio mazzo di carte in nostro possesso, il Mulûk wa-Nuwwâb è arabo, è conservato al museo di Topkapi, a Istanbul, ed è del XIII o XIV secolo: il mazzo era composto da una serie di lamine intarsiate in oro, con 4 "semi" Ogni seme comprendeva 14 pezzi, 10 numerali e 4 figure, per un totale di 56 carte.
Agli arabi il gioco delle carte potrebbe essere arrivato dalla Cina dove forse era già in uso nel X secolo. Dal nord-Africa il gioco si sarebbe diffuso in Spagna prima, in Italia dopo e poi in tutta Europa.
In italiano antico il gioco si chiamava naibi e in spagnolo naipes : la parola viene dall'arabo na'ib che significa rappresentante del re, una delle figure che componevano il mazzo e che corrisponderebbe secondo alcuni a quello che oggi è il fante (il jack inglese, valet francese, paje spagnolo e Bube tedesco), mentre secondo altri sarebbe proprio il re .

IPOTESI EGIZIA E EBRAICA

Un'ipotesi poco sostenibile ma certamente molto affascinante fa nascere la tradizione delle carte in Egitto. Secondo questa ipotesi le carte non sarebbero altro che l'antico calendario egizio esportato dagli ebrei dopo la famosa fuga. Un mazzo di carte "francesi" ha 52 carte come le 52 settimane dell'anno. Se sommiamo i punti delle delle singole carte sono 364. C'è poi è una carta detta "la matta" (il jolly) che permette di arrivare a 365, i giorni dell’anno. Ma gli egizi sapevano che un anno è composto da qualcosa in più che 365 giorni e per questo in molti mazzi di carte ci sarebbero 2 "matte". Il mazzo è diviso in 4 semi come le 4 stagioni. Ogni seme ha i numeri da 1 a 13 e rappresenterebbero i mesi lunari usati ancora oggi nel calendario ebraico.
I 4 re sarebbero invece i quattro elementi antichi terra, aria, acqua, fuoco. Il fuoco sarebbe il sole.
Il fante di picche ha in mano un bastone graduato più o meno uguale a quello del fante di denari; questi bastoni sarebbero i nilometri che indicano l’altezza dell’acqua del fiume Nilo durante le inondazioni. Il fante di fiori ha in mano un fiore o una foglia o una spiga che indicherebbe la stagione calda, mentre il fante di picche ha in mano una clessidra (dal greco klepteim, rubare + hydor, acqua) che indicherebbe invece la diminuzione o la crescita delle acque del Nilo. La parte delle carte che noi chiamiamo quadri o denari (nelle carte d' oro ) raffigura una monete d’oro con al centro un viso circondato da raggi solari. Sarebbe la rappresentazione del dio sole che gli egiziani si chiamavano Orus .

Le carte, col passare del tempo e attraverso le diverse condizioni sociali, mutarono i disegni e i semi.

IPOTESI SPAGNOLA E FIAMMINGA

Secondo un'altra teoria le carte da gioco moderne sarebbero state inventate direttamente in Spagna: l'inventore sarebbe un certo Nicolao Pepin (e naipes quindi sarebbe solo una contrazione del suo nome e del suo cognome). Ma in Spagna potrebbero invece essere arrivate attraverso i Fiamminghi che con gli Iberici sono sempre stati in stretto contatto commerciale: in questo caso il nome naipes verrebbe dal fiammingo cnaep che significa appunto fante, come la figura delle carte da gioco.

IPOTESI ITALIANA

Altrettanto sostenibile è l'ipotesi "italiana", anche perché l'Italia è certamente il paese dove le carte hanno avuto il maggior sviluppo sia come produzione che come qualità artistica.
Naibbe in questo caso potrebbe essere una storpiatura del nome Napoli , la città in cui sarebbe nato il gioco. Da Napoli si sarebbe poi esteso nel nord-Italia dove si sarebbe sviluppato fino a dare origine alla tradizione dei Tarocchi .
Riassumendo sembra che le carte, arrivate dai paesi arabi, si siano diffuse prima di tutto in Spagna (con il nome di naipes ) e in Italia (con il nome di naibbe in un primo momento, carte saracene e carte lombarde in seguito). Nell'Italia del nord il mazzo di carte di origine araba viene integrato con altre 22 carte speciali che si chiamano tarocchi: i tarocchi avranno poi uno sviluppo indipendente. Dall'Italia le carte si diffondono in tutta Europa e ogni paese le modifica un po' creando una tradizione locale: in Germania i semi (spade, bastoni, coppe e denari) sono sostituiti dai simboli cuori, foglie, ghiande e campanelli. In Francia questi simboli probabilmente si stilizzano in quelli ancora oggi molto noti di cuori, fiori, picche e quadri. L'Italia è storicamente il paese che ha prodotto il maggior numero di carte da gioco: e non solo sono qualitativamente molto belle per l'antica tradizione artistica, ma sono anche molto diverse fra loro per l'incredibile varietà degli stili regionali .

Il gioco dei Tarocchi

I Tarocchi sono formati da due mazzi di carte:
- Gli Arcani maggiori o Trionfi , cioè 22 carte figurate numerate da I a XXI più una carta senza numero.
- Gli Arcani minori , cioè 56 carte divise in quattro semi (coppe, denari, spade e bastoni); ogni seme è formato da dieci carte che vanno dall'Asso al 10 (carte lisce o cartazze ) e da quattro carte con Re, Regina, Cavallo e Fante (carte di corte ).
In tutto 78 carte. Gli Arcani minori probabilmente derivano dalle naibe, mentre non sono chiare le origini degli Arcani maggiori.
Maggiori certezze ci sono invece su chi ha inventato i Tarocchi , in particolare gli Arcani maggiori. Si ritiene che il gioco sia stato inventato nell'Italia del Nord, agli inizi del XV secolo (entro il 1420): le carte più antiche arrivate fino a noi sono infatti carte dipinte a mano per la nobile famiglia dei Visconti, i duchi di Milano. La parola "Tarocchi" , invece, appare cento anni dopo, nel 1530, e si riferisce al "gioco dei tarocchi".

Sull' origine della parola Tarocchi ci sono varie ipotesi, alcune molto fantasiose:
- deriva da due parole egizie che significano "strada" e "re", Tar e Rog (o Ros ), cioè la "Via del Re". Oppure, da Ta-urt / Tarut , la Grande Madre nella religione egizia.
- deriva da una parola araba, taraha , che significa "tara" (è quello che non si conserva, il superfluo che viene buttato via). Oppure da tarocco , cioè una varietà di arance; il nome è di origine araba perché sono stati gli Arabi ad introdurre questo frutto in Sicilia. Le prime carte, realizzate dagli arabi con fogli dorati decorati "a sbalzo" (a rilievo), erano definite "taroccate" perché ricordavano la buccia dorata e ruvida delle arance. O, ancora, dal verbo arabo taraqa , che significa "martellare" e dal punto di vista fonetico somiglia molto alla parola occidentale.
- deriva dall'italiano antico altarcare (dal latino altercari , cioè litigare con qualcuno), che è poi diventato altarocare , da cui taroccare , che significa "rispondere con un carta più potente": nel gioco dei Tarocchi gli Arcani maggiori prendono le carte restanti. Nell'italiano di oggi "taroccare" significa falsificare ( indossare un abito taroccato , cioè un abito firmato da un grande stilista ma non originale, fatto da altri).

La relazione tra Tarocchi e cartomanzia (lettura del futuro nelle carte) è relativamente recente, dalla seconda metà del XVIII secolo.

I Tarocchi dei Visconti

I più antichi mazzi di Tarocchi esistenti sono tre e sono legati alla famiglia dei Visconti, i duchi di Milano. Questo non prova che i Tarocchi siano stati inventati nella Milano viscontea, ma è un indizio molto forte. Sappiamo poi che Filippo Maria Visconti era un appassionato del gioco delle carte: per lui Marziano da Tortona - segretario di corte, erudito ed astrologo - ha creato un mazzo di carte. Secondo alcuni si tratterebbe proprio del gioco dei Tarocchi mentre per altri si tratta di carte didattiche , con illustrazioni ispirate alla realtà del tempo, fatte non per divertire ma per educare.

I tre mazzi viscontei arrivati fino a noi non sono completi (78 carte); li elenchiamo in ordine cronologico:

Mazzo Cary-Yale Visconti

67 carte: 11 Trionfi ( Mago, Imperatore, Imperatrice, Matrimonio, Carro, Fede, Speranza, Carità, Fortezza, Ruota del Destino, Morte, Giudizio, Mondo ); 17 carte di corte, 39 carte numerali.

Dimensione delle carte: 90x190 mm. Le carte numerali hanno il fondale punzonato in argento, le figure in lamina d'oro. I bordi sono rosa con Mazzo Brera-Brambilla Visconti
48 carte:

2 Trionfi ( Imperatore e Ruota );

7 carte di corte ( Re, Regina, Cavaliere di Frecce, Cavaliere e Fante di Coppe, Cavaliere e Fante di Denari );

39 carte numerali.
Dimensione delle carte: 80x178 mm. Le carte numerali hanno il fondale punzonato in argento, le figure in lamina d'oro.

Sulle carte di denari è raffigurata la moneta con il ritratto di Filippo Maria del 1436 .
È conservato nella Pinacoteca di Brera a Milano, tranne una carta (collezione privata di Torino)

Mazzo Pierpont-Morgan (Bergamo) Visconti-Sforza

È il più antico mazzo di Tarocchi con la successione "classica" dei Trionfi, ed è quasi completo: mancano solo 4 carte.

74 carte: 20 trionfi ( Matto, Mago, Papa, Papessa, Imperatore, Imperatrice, Matrimonio, Carro, Ruota, Eremita, Traditore, Morte, Giustizia, Giudizio; Sole, Luna, Stelle, Mondo, Fortezza e Temperanza. Perduti il Diavolo e la Torre ); 15 carte di corte e 39 carte numerali.
Dimensione delle carte 85x175 mm. Le carte numerali hanno il fondale punzonato in argento, le figure in lamina d'oro.
Si pensa che la carta degli Amanti raffiguri le nozze tra Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti del 1441 . 14 Trionfi (dal Matto al Giudizio ) sono dell'epoca di Filippo Maria, e sono opera del pittore e miniaturista Bonifacio Bembo ; i restanti 6 sono stati aggiunti qualche decennio dopo (verso il 1480) dal miniaturista Antonio da Cicognara . Bonifacio Bembo, pittore di corte presso gli Sforza dal 1447, sarebbe l'autore di questo mazzo e anche degli altri due.

26 carte sono conservate nell'Accademia Carrara di Bergamo, 35 carte nella Biblioteca Pierpont-Morgan di New York, le restanti 13 carte si trovano una collezione privata.

Le illustrazioni delle carte sono un riflesso della raffinata atmosfera della corte dei Visconti, e si inseriscono nel clima elegante della civiltà tardogotica.

Un passatempo pericoloso

Il gioco dei Tarocchi subito diventa il passatempo preferito non solo della nobiltà, ma anche del popolo. E dei preti. Al punto che San Bernardino da Siena, nel 1423, durante una predica nella basilica di San Petronio a Bologna si scaglia contro i Tarocchi, definendoli creazione degli infedeli e " ingegnoso strumento del diavolo per spingere sulla via del peccato le anime elette che si sono votate a Dio ", cioè i sacerdoti ed i monaci.
Ma saranno parole inutili

I Tarocchi e Italo Calvino

Le carte dei Tarocchi del "mazzo Pierpont-Morgan (Bergamo) Visconti-Sforza" hanno ispirato uno dei libri più fantasiosi di Italo Calvino (1923-1985): si tratta de Il castello dei destini incrociati , pubblicato nel 1969. Tanti racconti costruiti in base a sequenze diverse delle carte del mazzo: ecco cosa scriveva Calvino nella Nota finale all'edizione del 1973:

" Mi sono applicato soprattutto a guardare i Tarocchi con attenzione, con l'occhio di chi non sa cosa siano, e a trarne suggestioni e associazioni, a interpretarli secondo un'iconologia immaginaria. Quando le carte affiancate a caso mi davano una storia in cui riconoscevo un senso, mi mettevo a scriverla ".

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