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Una recente modifica normativa, ad opera del c.d decreto-rilancio (d.l. n. 34/2020), adottato nell’ambito dell’emergenza Covid-19, pone il seguente interrogativo, rilevante rispetto a non pochi procedimenti penali, uno dei quali di rilevanza mediatica, interessando il ‘suocero’ del Presidente del Consiglio, proprietario di un albergo romano e al quale viene contestato l’omesso versamento di imposte al Comune di Roma per circa due milioni di euro: risponde di peculato (art. 314 c.p.) l’albergatore che non versi al comune la somma di denaro riscossa a titolo di tassa di soggiorno?

Va subito detto che a tale quesito la Corte di cassazione ha fino al recente passato dato risposta affermativa dopo aver qualificato l’albergatore quale incaricato di un pubblico servizio : un “agente contabile…che svolge un'attività ausiliaria nei confronti dell'ente impositore ed oggettivamente strumentale all'esecuzione dell'obbligazione tributaria intercorrente esclusivamente tra il comune ed il soggetto che alloggia nella struttura ricettiva” [1].

A riguardo la Cassazione ha precisato che:

a) “il denaro entra nella disponibilità della pubblica amministrazione nel momento stesso dell'incasso dell'imposta di soggiorno cosicché ogni imputazione delle somme riscosse dai contribuenti alla copertura di voci di altra natura, esulanti dal fine pubblico per il quale sono state versate e ricevute, integra la condotta appropriativa di cui all'art. 314 c.p.” [2];

b) l’albergatore non è un sostituto d’imposta, ma è un agente contabile , perché “ il comune si rapporta con il gestore non come soggetto attivo del rapporto tributario ” – tale essendo unicamente colui che alloggia nella struttura ricettiva – “bensì quale destinatario giuridico delle somme incassate dal gestore a titolo di imposta di soggiorno, nell'ambito di un rapporto completamente avulso dal rapporto tributario , sebbene ad esso funzionalmente orientato e correlato” [3].

2. Come è evidente, per la qualificazione giuridica del fatto, come peculato, e, ancor prima, per l’attribuzione della qualifica pubblicistica all’albergatore, è rilevante e decisiva la disciplina extrapenale dell’imposta di soggiorno ; disciplina di carattere amministrativo e tributario, dettata da fonti di rango diverso (legislative e regolamentari). Orbene, quella disciplina è stata ora modificata dall’art. 180, co. 3 del d.l. 19 maggio 2020, n. 34 ( c.d. decreto-rilancio ) , conv. in l. 17 luglio 2020, n. 77. Un provvedimento sospettato, per via del procedimento citato in premessa, di costituire una legge ad personam .

La modifica della disciplina extrapenale pone il problema della perdurante rilevanza penale dei fatti di omesso versamento dell’imposta, antecedentemente commessi . Il decreto-rilancio, infatti, ha radicalmente mutato l’assetto giuridico del rapporto tra il gestore della struttura ricettiva e il comune. Questi, infatti, è stato individuato come “ responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno …con diritto di rivalsa sui soggetti passivi”. L’albergatore, con il decreto-rilancio, è cioè diventato soggetto attivo di un obbligo tributario . Come è ben detto nel documento qui allegato, redatto dalla Procura della Repubblica di Roma (gruppo P.A.), egli “ non riscuote più per conto del comune denaro (che diventa pubblico fin dal suo incasso e) che è poi obbligato a versare nelle casse dell’ente locale, ma deve pagare al comune, quale obbligato in solido, l’importo dell’imposta di soggiorno ; il denaro che deve versare non è dell’ente pubblico ma proviene dall’ospite o, nel caso in cui questi non l’abbia corrisposto, dal proprio patrimonio potendo essere costretto ad anticiparlo per il soggetto passivo, nei cui confronti ha un diritto di rivalsa di natura privatistica”.

In conseguenza del mutato assetto della disciplina, il decreto-rilancio ha poi configurato come illecito tributario , di natura amministrativa , l’omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta di soggiorno (è previsto che si applichino le sanzioni amministrative pecuniarie di cui all’art. 13 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, recante “Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell'articolo 3, comma 133, lettera q) , della legge 23 dicembre 1996, n. 662”).

3. La modifica normativa ha dunque trasformato l’albergatore da incaricato del pubblico servizio di riscossione della tassa di soggiorno e versamento nelle casse comunali a destinatario dell’obbligo tributario , con diritto di rivalsa sugli avventori. In breve, il decreto-rilancio ha fatto venir meno, in capo all’albergatore, la qualifica di incaricato di un pubblico servizio . Si pongono così, per l’interprete, rilevanti questioni di diritto intertemporale, che risultano già emerse nella prassi. A tal proposito occorre distinguere tra fatti commessi prima e dopo il 19 maggio 2020 , data di entrata in vigore del decreto-rilancio

3.1. Quanto ai fatti commessi dopo quella data, se è vero che è venuta meno, in capo all’albergatore, la qualifica di incaricato di un pubblico servizio, non può essere contestato nei suoi confronti il delitto di peculato in caso di mancato versamento della tassa di soggiorno versata dal cliente. Il fatto integra il nuovo illecito amministrativo, di natura tributaria . Il difetto della qualifica pubblicistica preclude la configurabilità del peculato ; l’imposizione dell’obbligo tributario in capo all’albergatore impedisce altresì di configurare il delitto comune di appropriazione indebita , posto che il denaro, pagato dal cliente, diventa di proprietà dell’albergatore stesso.

3.2. Il problema si pone in rapporto ai fatti commessi prima del decreto-rilancio .

È anzitutto pacifico che la sanzione pecuniaria per il nuovo illecito amministrativo tributario non possa essere applicata retroattivamente : lo escludono l’art. 1 l. 24 novembre 1981, n. 689 e, ancor prima, secondo la recente giurisprudenza costituzionale [4], l’art. 25, co. 2 Cost., che impedisce la retroattività non solo delle pene, ma anche di tutte le misure di carattere afflittivo punitivo. Ciò non toglie peraltro – si noti – che l’omesso versamento possa (continuare ad) essere sanzionato quale diverso illecito amministrativo eventualmente già previsto al momento del fatto da un regolamento comunale e, prima della recente modifica normativa, configurabile in concorso con il delitto di peculato [5].

È invece problematico stabilire se siano ancora penalmente rilevanti, a titolo di peculato, i fatti antecedentemente commessi ; se cioè quei fatti siano ancora punibili. Se si dovesse ritenere che la modifica della disciplina extrapenale ha comportato una parziale abolitio criminis , infatti, troverebbe applicazione la disciplina dell’ art. 2, co. 2 c.p. , sicché:

a) nei procedimenti in corso andrebbe, a seconda delle fasi, disposta l’ archiviazione o pronunciata l’ assoluzione , perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, provvedendo se del caso a disporre il dissequestro delle eventuali somme di denaro sequestrate in vista della confisca, anche per equivalente, ex art. 322 ter c.p.;

b) nei procedimenti definiti andrebbe revocata ex art. 673 c.p.p. la sentenza di condanna (e andrebbe eventualmente revocata anche l’eventuale confisca).

4. La tesi che riconosce l’ abolitio criminis è stata sostenuta in sede di primo commento, in dottrina [6] e, a quanto risulta, in un provvedimento di dissequestro del Tribunale di Rimini , che qui si allega. La tesi che esclude l’ abolitio criminis è stata invece sostenuta dalla Procura della Repubblica di Roma , gruppo p.a., in sede di parere negativo all’istanza di dissequestro di somme di denaro, oggetto di sequestro preventivo per equivalente ex art. 322 ter c.p. In allegato pubblichiamo qui il modello (schema) di parere negativo che risulta già espresso nell’ambito di alcuni procedimenti pendenti presso il Tribunale di Roma compreso, da quanto si apprende dalla stampa , il procedimento a carico del ‘suocero’ del premier, citato in premessa.

Secondo la prima tesi l’abolizione del reato (parziale) sarebbe mostrata dalla circostanza che il fatto dell’omesso versamento dell’imposta, oggi, non integra più il peculato e sarebbe altresì confermata dalla volontà del legislatore di sanzionare il fatto quale mero illecito amministrativo. Questa tesi è stata argomentata valorizzando criteri di accertamento dell’ abolitio criminis tra loro opposti: quello c.d. del ‘fatto concreto’, sposato da una risalente e oggi superata decisione delle Sezioni Unite (Tuzet, 1987) [7], richiamata dal citato provvedimento del Tribunale di Rimini , e quello c.d. strutturale, evocato in dottrina [8].

Per la seconda tesi , viceversa, non si sarebbe in presenza di una successione di norme realmente integratrici della legge penale, riconducibile pertanto alla disciplina dell’art. 2, co. 2 c.p. Con le parole della Procura di Roma , infatti, “il comma 3 dell’art. 180 del d.l. n. 34/2020 non investe la norma incriminatrice poiché non modifica la nozione astratta di incaricato di pubblico servizio, ma elimina le condizioni che consentono (o meglio, consentivano) di qualificare il singolo albergatore come incaricato di pubblico servizio. Non vi è abolitio criminis perché la norma sopravvenuta non espunge dalla macro-categoria degli incaricati di pubblico servizio la sotto-categoria degli incaricati alla riscossione delle imposte per conto di un ente pubblico. Piuttosto, la norma sopravvenuta impedisce, da ora in poi, di ricondurre i singoli albergatori alla sotto-categoria degli incaricati alla riscossione delle imposte per conto di un ente pubblico, trasformandoli da riscossori in obbligati in solido (così come , mutatis mutandis , l’adesione della Romania all’UE non modifica la nozione di straniero extracomunitario, ma semplicemente esclude i rumeni da questa nozione)”.

Tale ultimo riferimento è alla questione, oggetto della sentenza delle Sezioni Unite Magera [9], che nel 2007 fu chiamata a stabilire se erano ancora punibili i cittadini rumeni espulsi, autori del reato di inosservanza dell’ordine di allontanamento dallo Stato impartito dal questore (art. 14, co. 5 ter t.u. imm.), pur avendo, in un momento successivo alla commissione del fatto, perso lo status di extracomunitari per effetto dell’adesione della Romania all’U.E. La risposta delle Sezioni Unite fu affermativa e coerente con il criterio strutturale di accertamento dell’ abolitio criminis – ribadito dalle stesse Sezioni Unite in decisioni precedenti (S. U. Giordano del 2003 [10]) e successive (S.U. Niccoli, del 2008 [11], e S.U. Rizzoli [12], del 2009) e oggi consolidato. La modifica di norme extrapenali, secondo quel criterio, può comportare abolitio criminis solo allorché si tratti di norme realmente integratrici, quali sono le norme di riempimento di norme penali in bianco e le norme definitorie: non anche le norme richiamate da elementi normativi della fattispecie penale. Come sottolinea la Procura di Roma, il decreto-rilancio non ha modificato la definizione legale di incaricato di un pubblico servizio (art. 358 c.p.) , così come non fu modificata, nel caso oggetto della sentenza Magera, la definizione legale di extracomunitario; nessuna modifica strutturale ha quindi interessato la fattispecie del peculato, con conseguente esclusione dell’ abolitio criminis .