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La rigidità dei ruoli e le forme imperfette

(OSTIA LIDO, 24 Marzo 2011)

Laura si rivolge alla psicoterapia per un malessere generale che la sta spingendo a credere che la sua vita non sia quella giusta per lei.

Quarantanove anni. Assistente sociale da 25. Da pochi anni a Roma, vissuta sempre in un piccolo paese del Veneto, sta con Matteo da 23 anni, ha un figlio di 21.

Di sé dice che ha sempre fatto il suo lavoro con passione, che tutti la considerano una sorta di “croce rossa” degli esseri umani per la sua grande disponibilità ed attitudine ad aiutare gli altri. Attualmente ha una vita di agi. Negli anni il marito ha fatto una splendida carriera come avvocato e lei contribuisce con il suo stipendio ma, soprattutto, con la sua grande anima solidale ed esperta di rapporti buoni e puliti.

La storia di Laura, anche se non nello specifico, è quella di molti di noi; comunque di chi, inconsapevolmente, porta avanti la sua vita su binari pre-confezionati da relazioni familiari in cui l’equilibrio è dato non certo dalla dinamicità dei ruoli ma dalla garanzia di ciò che è fermamente strutturato.

Laura ha un fratello, di due anni maggiore. Figlia di persone estremamente semplici, vissute nella campagna veneta, ora quasi ottantenni; il padre, un uomo affettuoso ma riservato e preso sino a qualche anno fa dal suo lavoro di custode, la madre poco incline a gesti teneri, a sorrisi intensi, ad una visione positiva della vita; brontolona, insoddisfatta, quasi sempre buia nel volto e nel modo di essere.

Il fratello di Laura sin da bambino ha dato tanti problemi. E’ scappato da casa, ha cercato più volte di picchiare il padre, sempre in forte combutta con i genitori, prima ladruncolo e poi scassinatore di banche per arrivare alla tossicodipendenza e a tutto l’iter canonico delle storie simili alla sua.

Laura, quindi, cresce in un clima di tensione continuo, di insoddisfazioni, di urla, di avvocati e istituti penali. Vuole bene al fratello ma anche con lui ha oramai il ruolo assistenzialistico e di recupero che da sempre ha con quasi tutte le persone della sua vita. Diversamente dal fratello, la sua è una crescita lineare, senza scossoni, sempre diligente a scuola, disponibile e tranquilla con i genitori ed i parenti vicini. La regola a cui, soprattutto la madre, cerca di abituarla è che “i panni sporchi si lavano in famiglia”. Laura, integerrima, questi panni li tiene per sé ma soprattutto evita in tutti i modi che anche lei ne sporchi altri in questa famiglia.

Il suo è un crescendo di discreti successi. Il diploma come assistente sociale, un concorso ed un lavoro velocemente in una Usl, il fidanzamento con un giovane avvocato, bravo e studioso, di buoni principi, orfano di padre da quando aveva 12 anni; un uomo che si è dovuto fare da sé avendo anche l’impegno di aiutare sin da subito la madre e la sorella minore; una bella casa, un figlio unico venuto su, a parere di molti, come un bravo ragazzo.

Quando arriva in terapia Laura non sa se ancora vuole stare con Matteo. Sta male perché le cose ora con lui vanno sicuramente meglio di qualche anno fa. Hanno affrontato insieme anche un suo tradimento ma ora Laura in continuazione gli ricorda l’affronto, sottolinea che non può credere all’amore che ora lui le dimostra perché già una volta non ha tenuto fede ai sentimenti che vantava di avere per lei.

Quando arriva in terapia esprime la sua stanchezza per il dover far fronte a tutte le vicissitudini che il fratello continua ad avere e al dover aiutare, in aggiunta, il nipote, anch’egli perennemente in difficoltà.

Quando arriva in terapia Laura ha dei dubbi su quanto ancora voglia continuare a fare il suo lavoro, fatto sempre più di tecnicismo e di poco rapporto interpersonale.

Quando arriva in terapia Laura mette in dubbio il suo essere genitore, teme di essere molto più simile alla madre di quanto lei possa accettare; teme che con il figlio non sia stata attenta ai suoi reali bisogni, che lo abbia accudito presa soprattutto dalla responsabilità di averlo messo al mondo ma che, fondamentalmente, non gli abbia dato tutta la parte emotiva di cui forse aveva bisogno.

Analizzando la storia di Laura è facile portare in risalto il tema di queste riflessioni.

Nella famiglia di Laura i ruoli negli anni si sono sempre più irrigiditi e questa rigidità ha continuato a persistere nella vita di ognuno di loro, anche nello strutturare la propria famiglia.

Andrea, il fratello, ha costruito tutta la sua vita lottando contro l’incomprensione e l’anaffettività che ha sentito da parte dei suoi genitori. Ha, con i suoi comportamenti, cercato di destrutturare l’idea di chiusura familiare, ha dato un senso alla vita soprattutto della madre che altrimenti avrebbe avuto una percezione della esistenza troppo diversa dalla sua abitudine mentale tendente al negativo. Ha permesso ai genitori di rimanere insieme in nome del figlio da salvare, della priorità di restare uniti per affrontare il male.

Vittorio, il padre, ha sostenuto il ruolo che ha ereditato dalla sua famiglia di origine di essere maschio ma senza i pantaloni, portati solo dalle donne di casa. Anche Vittorio ha perpetuato quanto appreso nelle dinamiche familiari pregresse. Quarto di sei figli, difatti, era sempre stato vessato dai fratelli senza avere il sostegno né della madre né della unica sorella maggiore che all’interno di casa erano quelle che decidevano assolutamente tutto.

Maria, la madre, era cresciuta con la regola che ciò che è prioritario è lavorare e contribuire alle esigenze della famiglia e che le tenerezze e le affettività siano spesso superflue di fronte alla pragmaticità.

E’ evidente il ruolo rigido di Laura. Il rimanere nella penombra, il non dover creare problemi, il dover riscattare il livello sociale semplice della sua famiglia con scelte oculate e di successo.

Laura che si è diplomata da sola, che non ha mai avuto un riconoscimento emotivo dalla madre, che non ha sentito quel calore familiare se non alcune volte solo dal padre. Laura, unica ad assistere questi genitori facendo ogni quindici giorni questo lungo viaggio per raggiungerli in Veneto.

Ora Laura però sente altri bisogni, solo per sé e non più tanto per gli altri. Per lei inizia ad essere faticoso, anche se molto consueto, continuare a mettere gli altri avanti a tutto. Inizia a pretendere di esistere ma, non essendo abituata a farlo, crea confusione attorno ma soprattutto dentro di sé.

Nel mantenimento degli equilibri familiari ognuno di noi assume inconsapevolmente un ruolo all’interno del proprio sistema di origine. Se pensiamo alla nostra storia personale, se ripercorriamo i nostri errori, scelte, comportamenti e atteggiamenti assunti e portati avanti con i genitori, fratelli, nonni, ci rendiamo conto che esiste un fil rouge che unisce tutti quanti, qualcosa che serve per tenere uniti, per confermare le regole di funzionamento, i modelli organizzativi ed interattivi che ogni famiglia ha.

E’ quando tutto ciò diventa estremamente rigido, inamovibile, troppo coinvolgente; quando il cambiamento o l’avvio di piccole modifiche di queste regole intrinseche diventa per la famiglia pericoloso e vengono inconsapevolmente attivate resistenze, è in quel momento che scattano forme di forte sofferenza in uno dei componenti del sistema di appartenenza. In tal senso, spesso il sintomo o il malessere può essere letto come l’unico adattamento possibile di un dato soggetto ad un dato tipo di funzionamento familiare. Però non sempre è necessario arrivare al grande disturbo, al sintomo eclatante. A nostro parere, spesso già l’avere in terapia il cosiddetto “paziente designato”, quindi uno dei componenti della famiglia portatore di un malessere, può essere letto come lo smuoversi di qualcosa all’interno della stessa famiglia che permette, attraverso il singolo, di mandare il proprio sos.

A chi di noi non è successo di appartenere o alla categoria dei sani o a quella dei malati, a quella dei perfetti e buoni o a quella degli imperfetti e cattivi. Ma non è possibile che ci possano essere solo persone buone e giuste ed altre solo cattive e sbagliate.

a cura dello STUDIO ASSOCIATO DI PSICOLOGIA