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La depressione

(OSTIA LIDO, 11 Ottobre 2009)

Sono tante le domande che vengono esplicitate da più parti in merito alla depressione. Il grande interesse per questa tipologia di sofferenza è da ricercare nei numeri. Le statistiche affermano che almeno una persona su sei, nel corso della propria vita, soffrirà di depressione e che quindici persone su cento ne sono coinvolte.

Che cosa è la depressione? Quando si deve considerare la tristezza come “sana” e quando come “malata”? E ancora, quante forme di depressione si possono classificare? Se viene prescritto il farmaco quanto la persona vive delle emozioni “vere” e quanto può andare incontro al rischio di vedere modificato eccessivamente il suo modo di esperire gli eventi?

Proviamo ad entrare insieme in questo mondo dai confini non sempre ben definiti ma che nel tempo sono stati, per quanto possibile, definiti.

La definizione di depressione si è andata man mano ampliando in questo secolo, racchiudendo in sé anche tutte quelle forme di melanconia, tristezza, senso di stanchezza, reazione ad un lutto, che in un’altra epoca sarebbero state definite diversamente. Nella nostra vita psichica oscilliamo da stati di benessere psicologico a stati in cui ci sentiamo più abbattuti, depressi, e queste oscillazioni variano anche a seconda delle nostre fasi vitali; nell’ adolescenza, infatti, l’oscillazione del tono dell’ umore è maggiore.

La differenza quindi tra il sentirsi melanconico e uno stato depressivo va ricercata in alcuni fattori chiari. Per definire se un soggetto sta soffrendo di depressione è fondamentale capire se in esso c’è una corrispondenza tra la depressione ed un avvenimento scatenate. Per esempio un fattore scatenante, come una grave perdita, può far cadere una persona in uno stato d’animo depressivo, superabile dopo la rielaborazione del lutto. Invece è il perdurare dello stato d’animo depressivo che porta a parlare di disagio e che porta alla necessità di capire cosa la persona si porta dentro, di comprendere il conflitto interiore legato alla perdita della persona cara.

Ci sono più forme di depressione. Ad esempio il disturbo depressivo maggiore (DDM). Si tratta di un disturbo grave episodico e i sintomi specifici sono caratterizzati dalla marcata diminuzione di interesse nel fare le cose, insonnia o ipersonnia, mancanza di energia, umore depresso per la maggior parte della giornata . Un’altra forma è definita disturbo distimico che è una forma meno grave di depressione ed ha una insorgenza più subdola e graduale; i sintomi prevalenti sono caratterizzati da scarso appetito, disturbi del sonno, scarsa capacità di concentrazione e sentimenti di stanchezza soprattutto nelle prime ore del giorno. Un’altra ancora è la forma bipolare in cui il soggetto alterna episodi maniacali - in cui il tono dell’ umore è sempre alto ed il soggetto si sente troppo bene, troppo forte, “troppo innaturalmente felice” - a episodi depressivi più lunghi.

Molto controverse sono le teorie che si occupano della cura della depressione; infatti molte, adducendo come cause dell’ insorgenza della depressione quelle di natura biologica, la cura che consigliano è di natura prevalentemente farmacologica. Per altre, invece, che attribuiscono a cause di natura psicologica l’insorgenza del disagio, la cura è prevalentemente psicoterapeutica.

In questo articolo non si vuole entrare in questa diatriba tra soma e psiche. Si vogliono fare solo semplici riflessioni, anche attraverso la lettura del lavoro svolto dal prof. Cancrini e dalla sua equipe, in cui viene messa in evidenza l’ importanza di dare parole al dolore (come cita il titolo di un suo famoso libro “Date parole al dolore”). Cancrini spiega che la cura della depressione , grave o meno grave, non può prescindere dalla ricerca dei motivi che l’hanno scatenata. L’autore fa una distinzione tra la depressione scatenata da un evento traumatico e una depressione senza apparenti cause, sorta dal nulla. Mette in evidenza che, anche per questo seconda tipologia, esiste sempre una causa scatenante, anche se il soggetto molto spesso non è in grado di capirla e di avvicinarsi alla propria sofferenza in maniera più consapevole. Pertanto solo una psicoterapia è in grado di far emergere la sofferenza che c’è sotto alla depressione; può far emergere i legami profondi tra la sofferenza sotterranea, nascosta e la depressione che emerge.

Facendo “uscire” la sofferenza e, soprattutto, dandole un significato profondo si può venire fuori dalla depressione, così che la possibilità di ricaduta sarà inversamente proporzionale alla possibilità che il soggetto ha potuto avere nel capirne e coglierne nel profondo il significato.

“Un viaggio all’ interno di se stessi” per non lasciare senza voce il dolore.

a cura dello STUDIO ASSOCIATO DI PSICOLOGIA