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Radio, il ritorno di una tradizione riparte la raccolta pubblicitaria

LA SOCIETÀ MINDSHARE HA CALCOLATO CHE DAL 2014 A OGGI L’ADVERTISING DEL MEZZO CHE SI CREDEVA SUPERATO È CRESCIUTO DEL 13% CONTRO IL 5% DELLA TV: SOLO INTERNET HA FATTO MEGLIO, MA IL TARGET DEGLI ASCOLTATORI DELLA “SOLA VOCE” È RITENUTO PIÙ EVOLUTO E PERCIÒ PIÙ REDDITIZIO

Sempre più diffusa e amata, più capace di attrarre investimenti pubblicitari rispetto alla tv e a prezzi più competitivi, la radio sta vivendo una nuova primavera: quest’anno si prevede che la raccolta pubblicitaria registrerà un aumento del 13% rispetto al 2014, contro il + 5% della tv. Solo Internet farà meglio, come è ormai abituale, con una crescita del 28%. Una tendenza positiva favorita in primo luogo dal fattore economico: secondo un rapporto della società di comunicazione Mindshare presentato a Milano durante l’evento Radiocompass, fare promozione in radio in Italia costa meno di un terzo (29%) che in tv e un tredicesimo rispetto alla pubblicità online interattiva con video. In confronto ai grandi Paesi europei, solo la Germania è più competitiva (28% rispetto alla televisione), mentre in Gran Bretagna si arriva al 32%, in Spagna al 34% e in Francia addirittura al 38%. La crescita della raccolta si lega all’aumento degli ascolti registrato negli ultimi anni: «Tra il 2014 e il 2016, la radio ha conquistato un milione di ascoltatori, passando da 43, 5 a oltre 44, 5 milioni di persone che si sono sintonizzate almeno una volta durante una settimana. Anche i tempi sono in crescita: nel 2014 il tempo speso in un giorno medio era di tre ore e 17 minuti, ora siamo a tre ore e 22», ha spiegato l’ad di Mindshare Roberto Binaghi a Radiocompass, organizzato insieme all’associazione delle concessionarie di pubblicità radiofonica

Fcp-Assoradio per fare il punto sullo stato di salute dell’etere. Lo studio 2017 smentisce chi pensava a una sconfitta delle frequenze da parte del web o a una subalternità residua rispetto al piccolo schermo, e delinea nuovi spazi di sviluppo. La radio è seconda alla tv, in sofferenza per la capacità di raggiungere persone con più di 15 anni di età (67% contro 74%, mentre internet segue in terza posizione a quota 52%), ma le cose cambiano se si restringe il focus alla popolazione compresa tra i 15 e i 45 anni, il target forte della maggior parte delle campagne pubblicitarie. In questo caso l’etere vola al primo posto con una capillarità del 76%, contro il 62% della tv e il 57% del web. Non solo: «Le nostre analisi rivelano che la radio ha un target di ascoltatori evoluto: la parte attiva della popolazione, quella su cui anche le aziende possono contare come un’interessante base commerciale», continua Binaghi. Chi si sintonizza con regolarità sulle frequenze radiofoniche, infatti, adotta pratiche di consumo in genere più avanzate. Prendiamo ad esempio l’uso dell’e-commerce: se in Italia oggi hanno acquistato online 21 milioni di persone, circa il 30% della popolazione, tra gli ascoltatori assidui della radio la percentuale sale al 95, 5%. O, ancora, l’uso di un conto corrente on line: lo ha attivato il 56% degli heavy radio listener, 14 punti percentuali in più rispetto alla media degli acquirenti on line. A favorire la crescita della pubblicità sono anche i dati che mostrano l’efficacia degli spot via etere per la decisioni di acquisto: la radio è un valido mezzo di raccomandazioni commerciali per oltre l’8% degli italiani, contro il 6% di tedeschi e spagnoli, il 5% dei francesi e addirittura il 4% dei britannici. Nel nostro Paese, almeno un acquirente su due dichiara di essere stato aiutato dalla radio per decidere: sempre secondo il report Radiocompass, il dato è al 53% per gli acquisti di auto e prodotti finanziari, per salire al 63% quando si parla di tecnologia e cibo e toccare addirittura il 70% per i viaggi.

(12 giugno 2017)