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OMEGA 3: integrazione importante per il benessere cardio vascolare

Le prime osservazioni dell’associazione tra livelli di assunzione di acidi grassi omega 3 con la dieta e benefici per la salute risalgono alla metà del secolo scorso, quando un ricercatore danese notò la bassissima frequenza di morti per infarto del miocardio tra gli abitanti del distretto di Umanack in Groenlandia.

Confrontando la dieta eschimese con quella dei Danesi, popolazione con un’alta incidenza di infarto, egli trovò che essa si differenziava soprattutto per il contenuto di grassi, simili per quantità ma diversi per tipologia. Infatti la dieta danese, basata principalmente sui grassi animali sia visibili, usati cioè per condire e cucinare, che invisibili, contenuti soprattutto nelle carni, era ricca di grassi saturi. Diversamente gli eschimesi si cibavano quasi esclusivamente di pesce, col quale assumevano grandi quantità di grassi polinsaturi della serie omega 3.

La relazione tra dieta ricca di pesce e protezione cardiovascolare è stata in seguito confermata da studi epidemiologici condotti in diversi Paesi, che hanno collocato gli omega 3 tra i composti naturali più interessanti per le possibili applicazioni terapeutiche. Infatti sia direttamente che attraverso i loro prodotti metabolici possono agire come antiaritmici, ipotrigliceridemizzanti, antitrombotici, antiinfiammatori. Effetti benefici sono stati poi descritti per altri stati patologici del sistema nervoso centrale o su base infiammatoria e autoimmune.

L’interesse del mondo scientifico per gli acidi grassi omega 3 nasce quindi fondamentalmente da due osservazioni: 1) alti livelli di assunzione sono associati alla ridotta incidenza di alcune patologie; 2) alcuni stati patologici sono associati a concentrazioni ridotte di omega 3 nel sangue e nei tessuti.

La prima considerazione è emersa inizialmente da studi epidemiologici e di intervento che hanno indicato che gli omega 3 di origine marina possono agire come ipotrigliceridemizzanti, antiaritmici, antiinfiammatori, antitrombotici, antiipertensivi, antiaterosclerotici e promotori della funzionalità endoteliale. Inoltre il consumo di alti livelli di EPA e DHA è stato correlato anche con la riduzione della sintomatologia di malattie a carico del sistema nervoso centrale, come l’Alzheimer, il morbo di Parkinson e la depressione. Anche alcune patologie oculari verrebbero favorevolmente influenzate. Ricerche in vitro hanno dimostrato che tutti questi effetti sono mediati da una serie di meccanismi d’azione diversi che possono interagire tra loro e che comprendono, oltre alla modulazione della funzionalità delle membrane cellulari e all’inibizione o regolazione della via degli eicosanoidi, anche la regolazione di molecole ed enzimi associati a diverse vie di trasmissione del segnale e dell’espressione genica.

Infine l’analisi della composizione degli acidi grassi ha permesso di rilevare tra i soggetti con basse concentrazioni di acidi grassi omega 3, plasmatiche o cellulari, una maggiore incidenza di fibrosi cistica, diversi tipi di tumore, disturbi neurocomportamentali, oltre che di mortalità per cause cardiovascolari. Quindi la composizione in acidi grassi dei lipidi circolanti viene oggi considerata un parametro importante, non solo nella definizione dell’apporto di grassi con la dieta, ma anche come possibile fattore di rischio. Da una recente metanalisi di studi osservazionali e clinici è stata infatti ricavata una scala dei livelli circolanti di omega-3 a lunga catena, cioè della somma di EPA e DHA. Queste osservazioni indicano che, poiché le concentrazioni più elevate corrispondono alla maggiore protezione dal rischio di mortalità per cause cardiovascolari, mentre quelle più ridotte corrispondono al rischio maggiore, la somma dei livelli di EPA e DHA circolanti possano costituire un fattore di rischio indipendente, fisiologicamente rilevante, che può essere facilmente corretto con l’aumento del consumo di omega 3 con la dieta o con la supplementazione.

I meccanismi mediante i quali gli acidi grassi polinsaturi della serie omega 3 esercitano i loro effetti protettivi sono sia funzionali che metabolici: essi determinano una maggiore fluidità di membrana, migliorano la funzione endoteliale (valutata sia direttamente sia mediante il dosaggio di molecole di adesione delle quali riducono l’espressione genica), modulano l’aggregazione piastrinica, intervengono sul metabolismo degli eicosanoidi, stabilizzano le lesioni ateromasiche, e sono dotati di una significativa azione di tipo antiaritmico.

A livello del profilo lipidico, gli omega 3 esercitano sostanzialmente un’azione ipotrigliceridemizzante, riducendo la sintesi e la secrezione epatica delle VLDL. Tale effetto è più marcato in presenza di ipertrigliceridemia basale e, talora, può essere accompagnato da un lieve aumento della colesterolemia LDL. Da un punto di vista metabolico, gli omega 3 riducono principalmente i trigliceridi serici attraverso un aumento dell’ossidazione degli acidi grassi, diminuendone inoltre la sintesi e modulando la composizione dei fosfolipidi di membrana. Il contemporaneo aumento del colesterolo HDL, in genere blando e spesso assente, è probabilmente mediato da una inibizione dell’enzima Cholesteryl Ester Transfert Protein (CETP). Per quanto riguarda invece le LDL, gli omega 3 interverrebbero aumentandone il diametro (una caratteristica che ne ridurrebbe l’aterogenicità) ma senza ridurne i livelli plasmatici.

Più recentemente sono stati presi in considerazione gli effetti degli omega 3 della dieta anche su alcuni markers infiammatori, i cui livelli elevati sono stati associati all’insorgenza di patologie infiammatorie. I risultati di uno studio condotto su un sottogruppo della popolazione femminile reclutata per il Nurses Health Study, per esempio, indicano che i livelli di assunzione più elevati di omega 3, si associano a basse concentrazioni ematiche di PCR (proteina C reattiva), IL-6 (Interleuchina 6), sICAM (soluble Intracellular Adhesion Molecule) e sVCAM (Soluble Vascular Adhesion Molecule), tutte molecole coinvolte nei processi infiammatori. Questi dati suggeriscono pertanto che l’effetto preventivo degli omega 3 della dieta nei confronti del rischio cardiovascolare possa essere, almeno in parte, attribuibile all’intervento di questi grassi sull’infiammazione e sull’attivazione endoteliale.

Una conferma dell’associazione diretta tra omega 3 e stabilità della placca ci viene fornita da uno studio di intervento condotto su pazienti in attesa di endarterectomia carotidea, supplementati con grassi alimentari di diversa origine, nei quali il trattamento con omega 3 ha influenzato la placca, sia dal punto di vista della composizione in acidi grassi (con l’arricchimento in omega 3) che dal punto di vista morfologico, con la formazione di un cappuccio fibroso più spesso, una riduzione dell’infiammazione ed una maggiore stabilità. Proprio quest’ultimo aspetto potrebbe spiegare la riduzione di eventi cardiovascolari fatali e non fatali, associata all’aumento dell’apporto di omega 3.

L’efficacia degli omega 3 nella prevenzione delle aritmie cardiache è stata valutata indirettamente per dosaggi che non influenzano la pressione arteriosa né il profilo lipidico, grazie all’analisi della composizione in acidi grassi dei lipidi circolanti, che riflette la composizione dei grassi della dieta: maggiore è l’apporto alimentare di omega 3 e più elevata è infatti la loro concentrazione nei lipidi ematici.

Estratto da: Marangoni F. “Omega-3: un nutraceutico ‘olistico’ ”. In Borghi C, Cicero AFG “Nutraceutici e alimenti funzionali in medicina preventiva”. Bononia University Press 2011.

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