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LETTERA APERTA

Alla SIP – Società Italiana di Psichiatria

Alla FNOMCEO
A tutti i Presidenti degli Ordini dei Medici
A tutti i Colleghi

Agli Organi di Stampa

La crisi dei servizi di assistenza psichiatrica

e la formazione psicopatologica del medico

Da più parti, ormai da lungo tempo, vengono denunciate le sostanziali carenze dei servizi di assistenza psichiatrica (SPDC, Comunità Terapeutiche, Servizi di Igiene Mentale, SERT, ecc.) che, secondo quanto asserito, in un recente convegno, dal presidente SIP (Società Italiana di Psichiatria) Luigi Ferrannini, sarebbero da imputarsi alla "mancanza di un vero piano d’azione per individuare i bisogni emergenti (dalla depressione ai disturbi somatici o degli anziani) e arrivare a ridefinire i livelli essenziali di assistenza".

In un tale contesto, una particolare attenzione dovrebbe essere rivolta all’inquietante problema del "ritorno alla cronicità delle malattie, creduta ormai vinta dalla legge 180/78", con i conseguenti rischi di "un ritorno all’istituzionalizzazione dei pazienti a discapito dei servizi territoriali e quell’idea di malattia mentale legata al tema della sicurezza".

A tale riguardo, il presidente SIP ha espresso la convinzione che la soluzione di ogni problema risieda tutta nel "portare la spesa per i servizi territoriali di salute mentale dal 5% al 12% del fondo sanitario regionale, ma anche una formazione continua degli operatori sociali e sanitari".

Sembra che, peraltro, nel convegno in questione (che si è svolto a Roma, con il patrocinio della Fondazione Lugli), qualcuno abbia accennato alla "necessità di saper valutare la qualità della pratica clinica" ( Cfr. Dire-Notiziario Sanità , Roma, 2 luglio ).

In relazione ai temi citati dal presidente SIP e, in particolare, per quanto concerne il problema della cosiddetta "cronicizzazione" dei pazienti assistiti dalle Comunità Terapeutiche ( ma anche dagli altri servizi), non possiamo esimerci dall’osservare come la SIMPSI, ormai da diversi decenni, abbia a più riprese segnalato non solo la gravità del fenomeno, ma anche le cause dalle quali dipende: tali cause, in effetti, non si discostano, sostanzialmente, da quelle già esistenti ai tempi dei non mai abbastanza vituperati ospedali psichiatrici.

In realtà, è ben noto come in tali ospedali di malfamata memoria i criteri diagnostici impiegati per classificare e trattare i pazienti ivi ricoverati non rispondessero affatto a quelli della vera clinica psichiatrica ( che, già allora, aveva raggiunto, grazie soprattutto ai contributi di autori come K.Jaspers, K.Schneider ed altri, una rilevante maturità scientifica e professionale), bensì a quelli, di tipo comportamentistico-concentrazionario, applicabili ai detenuti in regime di custodia penitenziaria.

Accadeva così che, in ragione di tali brillanti criteri "nosografici", i pazienti si trovassero reclusi in reparti etichettati secondo categorie quali "agitati" e "tranquilli", "sudici" e "puliti", e simili.

Si può perciò facilmente comprendere come, classificando i pazienti in funzione del loro comportamento più o meno "disadattato" e "disturbante", in uno stesso reparto potessero venire a trovarsi sia pazienti psicotici autenticamente "cronici" ( in quanto affetti da cerebropatie di varia natura: alcolica, degenerativa, vascolare, traumatica, endocrina, dismetabolica, ecc.), sia pazienti affetti da alterazioni emotive di natura psicopatica, i cui disturbi non erano da riferirsi ad una psicosi ( cioè ad una vera malattia mentale, di origine cerebropatica), ma a problemi e conflitti della personalità.

Il fatto che anche le personalità psicopatiche venissero "diagnosticate" come psicosi croniche e, come tali, sottoposte agli stessi trattamenti delle psicosi genuine, provocava inevitabilmente gravi disordini nell’equilibrio mentale, già fragile, di queste personalità, che, assai spesso, avrebbero potuto ottenere sensibili vantaggi se precocemente trattate con adeguati interventi psicoterapeutici o anche solo psicopedagogici, e che invece venivano destinate a percorsi dolorosi di cronicizzazione e di progressivo deterioramento mentale.

E’ evidente che simili esiti catastrofici dell’assistenza psichiatrica avrebbero potuto essere scongiurati, qualora il medico, nel corso dei suoi studi universitari, fosse stato messo in grado di formulare una diagnosi psicopatologica differenziale tra psicosi e psicopatia.

Malgrado simili aberrazioni siano state imputate alla vecchia legge 1904/36, è evidente che il problema in questione non era affatto di ordine giuridico o amministrativo, bensì di ordine eminentemente clinico e, come tale, da addebitarsi ad una carente preparazione professionale del medico, che, nel corso dei suoi studi universitari, non riceveva alcuna reale formazione clinica e teorica nelle discipline psicopatologiche, psichiatriche, psicoterapeutiche e psicopedagogiche.

Resterebbe a questo punto da chiedersi se, a distanza di oltre 30 anni dalla promulgazione della legge 180, che ha portato alla chiusura delle vecchie istituzioni manicomiali, si sia verificato un effettivo cambiamento, ai nostri giorni, rispetto ai livelli, clinici e culturali, dell’ assistenza psichiatrica antecedente alla legge 180, dal momento che le critiche rivolte agli attuali servizi, anche da parte del presidente SIP, ne denunciano il totale fallimento.

In tali condizioni, pretendere di poter addebitare, ancora una volta, un simile fallimento, a presunte disfunzioni giuridiche o amministrative (adozione di provvedimenti legislativi aberranti o mancata applicazione di leggi virtuose, o insufficienza delle risorse destinate ai servizi, ecc.) appare francamente pretestuoso e privo di qualsiasi valida giustificazione, quando si consideri che, malgrado, ormai da tempo, sia stato istituito a livello accademico, un autonomo insegnamento della psichiatria, distinto da quello della neurologia, nulla di sostanziale risulta mutato per quanto concerne la formazione culturale e professionale del medico, generico e specialista, in relazione alle problematiche inerenti alla diagnostica psicopatologica differenziale.

Al riguardo, non possiamo fare a meno di rilevare come già nel lontano1985, al XXXVI Congresso SIP, la SIMPSI abbia presentato una comunicazione ( "Formazione Psicopatologica dello Psicoterapeuta e Riforma della Facoltà di Medicina") , con la quale si sottolineava la necessità di introdurre, nel quadro della riforma allora in atto della facoltà di Medicina, un programma didattico per una formazione organica del medico nelle discipline psicopatologiche, psichiatriche e psicoterapeutiche, con particolare riferimento a quei più maturi e moderni contributi della psichiatria classica che consentono di formulare, sul piano clinico, una specifica diagnosi psicopatologica differenziale tra psicosi e psicopatie.

Le proposte della SIMPSI sono state però osteggiate e ignorate dalla SIP e dalle gerarchie accademiche che la governano e dalle quali, per la formazione psicopatologica e psichiatrica del medico, è stato invece prescelto ( anche sotto gli auspici delle Aziende farmaceutiche) il cosiddetto Manuale Diagnostico e Statistico DSM, i cui criteri, meramente operazionistici e pragmatici, si conformano all’ ideologia comportamentistico-manicomiale della malattia mentale, concepita, essenzialmente, come un "disadattamento ambientale-sociale" e, pertanto, non entrano neppure in merito alle problematiche cliniche relative alla diagnostica psicopatologica differenziale.

La SIMPSI, che negli ultimi decenni ha deplorato questa opzione antimedica ed antiscientifica, da parte delle gerarchie accademiche, per la manualistica DSM e ICD, dimostrandone a più riprese, attraverso il proprio lavoro nella ricerca, nella teoria e nella clinica, l’infondatezza epistemologica, didattica e clinica , è pur sempre disponibile per un confronto costruttivo che restituisca al medico la coscienza critica delle proprie responsabilità professionali, contro ogni perdurante misconoscimento delle autentiche problematiche psicopatologiche, dal quale dipende la crisi attuale dell’assistenza psichiatrica.

G.Giacomo Giacomini

Presidente SIMPSI
Società Italiana Medici
Psicopatologi e Psicoterapeuti