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PSICHIATRIA E FORMAZIONE PSICOPATOLOGICA DEL MEDICO

LEGGE 180, PSICHIATRIA E FORMAZIONE PSICOPATOLOGICA DEL MEDICO

Limiti della legislazione e responsabilità etico-politiche degli operatori - di G. Giacomo Giacomini

Per quanto riguarda l'assistenza psichiatrica, non la legislazione, bensì proprio la categoria medica e psichiatrica ha, purtroppo, già fallito due volte.

Il primo fallimento si è verificato quando, in occasione della legge 1904 / 36, vennero costituti gli ospedali psichiatrici che, nelle intenzioni del legislatore, avrebbero dovuto essere luoghi in grado di garantire sia la tutela che la cura degli infermi di mente.

Siamo sicuri che se tali luoghi, nella realtà, sono stati a suo tempo ridotti al rango di colonie penali, - dove i pazienti, a guisa di detenuti, venivano classificati e reclusi in padiglioni cui erano applicate etichette rispondenti a criteri "clinici" quali "agitati" e "tranquilli", "sudici" e"puliti", ecc., - ciò sia da imputarsi alla legge (che non prescriveva affatto simili nefandezze) e non alla totale carenza di cultura e di preparazione psichiatrica della categoria medica?

Non dimentichiamo, al riguardo, che già nei primi decenni del secolo scorso esistevano ben precisi criteri clinici che avrebbero consentito una diagnosi differenziale dei quadri psicopatologici ( la "Psicopatologia generale" di K.Jaspers risale al 1913 ). Non credo che la legge avrebbe impedito, neppure allora, alle nostre Università di impartire ai futuri medici, generici e specialisti psichiatri, quelle nozioni di psicopatologia clinica e di diagnostica psicopatologica differenziale indispensabili per un corretto esercizio della loro professione.

Anzichè insegnare ai medici l'uso di criteri professionali per il trattamento dei pazienti, si è però preferito, alla fine (quando non se ne poteva davvero più), cambiare la legislazione. La quale ( legge 180 ), giustamente, si è premurata di precisare, in primo luogo, che i pazienti dovevano essere trattati come esseri umani e non soltanto come disturbatori della pubblica quiete.

E qui arriviamo al secondo fallimento della nostra categoria. Era infatti evidente che, una volta sottolineato dalla legge il sacrosanto principio della tutela della dignità del paziente, costui restava pur sempre sofferente di un male che doveva essere comunque adeguatamente diagnosticato e curato; così come doveva essere altrettanto evidente che i criteri da applicarsi in sede diagnostica e terapeutica non avrebbero potuto chiedersi ad una qualsiasi legge, ma alla scienza ed alla coscienza del medico curante.

Com'è noto, alla formazione della scienza e coscienza del medico provvede ( o dovrebbe provvedere) l'Università. Questa istituzione didattica, nel caso specifico della psichiatria, usa però, ormai da decenni ( ignorando totalmente la moderna psicopatologia classica), il celebrato manuale DSM, il quale, in base a criteri puramente comportamentistici e del tutto "ateoretici" ( cioè, per definizione, "non scientifici"), stabilisce, anno dopo anno ( per alzata di mano di un gruppo di psichiatri americani, in libro paga presso le multinazionali dello psicofarmaco) quali "disturbi" (della pubblica quiete ) debbano essere considerati "malattia mentale" e quali no.

In qual modo simili criteri "ateoretici" possano differenziarsi da quelli della vetusta ( e malfamata) psichiatria infermieristico-manicomiale, non è dato di vedere. In realtà, sulla base di una simile "metodologia", qualunque personalità psicopatica, se considerata, a seconda delle circostanze, come "disturbata" o "disturbante", può essere "diagnosticata" come affetta da una "malattia mentale", con tanto di codice cifrato e con tutte le relative conseguenze. In tali condizioni, non è certo da meravigliarsi se gli attuali servizi per la cosiddetta "Salute mentale" ( SPDC, Comunità terapeutiche, SERT, ecc.) siano così simili a comunità manicomiali.

Il lato più grottesco di tale drammatica situazione è che mentre le sue penose caratteristiche sono ormai di pubblico dominio, con grave danno per il decoro della nostra professionalità ( una sommaria visita ai siti Internet è sufficiente per verificarlo), nessuna seria autocritica si è ancora fatta strada nell'ambito della nostra categoria per un autentico adeguamento della formazione psicopatologica del medico ( ancora una volta, ricordo che, già nel congresso SIP dell'ormai lontano 1985, la SIMPSI ha presentato, su tale tema, una relazione che è tuttora attuale ed alla quale non è stata mai data alcuna risposta).

Per tali ragioni, resto del parere che, prima di sollevare obiezioni o richieste su nuovi provvedimenti legislativi (con l'inevitabile prospettiva di un terzo fallimento), la categoria medica ( con, in primo luogo, i suoi vertici universitari e le sue istituzioni ordinistiche ), dovrebbe trovare il doveroso coraggio di valutare, senza infingimenti, i propri doveri e le proprie responsabilità.

G. Giacomo Giacomini

Presidente SIMPSI

– Società Italiana Medici Psicopatologi e Psicoterapeuti