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PSICOTERAPIA E PSICHIATRIA: due discipline in crisi

Psicoterapia e psichiatria: due discipline in crisi

S I M P S I SOCIETA’ ITALIANA MEDICI PSICOPATOLOGI E PSICOTERAPEUTI SEDE NAZIONALE

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LETTERA APERTA
A tutti i Presidenti degli Ordini dei Medici
A tutti i Colleghi
Genova, 10 Aprile 2009

Psicoterapia e psichiatria: due discipline in crisi

Molte sono le ragioni per le quali si può parlare, oggi, di una crisi profonda delle due discipline professionali della psiche: la psichiatria e la psicoterapia.

Nate, intorno a lla seconda metà del secolo XIX, nell’ambito della cultura e della professione della medicina, queste due discipline, per quanto entrambe interessate alla conoscenza ed al trattamento terapeutico dei disturbi mentali, sin dagli inizi si sono caratterizzate per le loro diverse modalità di inquadramento teorico e di assistenza clinica di tali disturbi.

Possiamo anzi dire che, se i contenuti cui si rivolgevano le due discipline ( cioè i problemi psicopatologici ) erano identici, ben differenti si presentavano le forme metodiche cui esse facevano ricorso nella teoria e nella prassi.

In effetti, la psichiatria moderna ( con ricercatori quali W. Griesinger, K.Kahlbaum, E.Kraepelin, ecc.) si costituiva nel mondo degli studi universitari, che si riproponevano di conferire alla conoscenza dei fatti psicopatologici una fondazione scientifica in senso naturalistico: il loro scopo era quello di evidenziare come i disturbi psichici fossero le conseguenze di malattie cerebrali (quali intossicazioni, infezioni, processi degenerativi, disturbi circolatori, neoplasie, disendocrinie, ecc.) e come, una volta individuata la causa fisiobiologica , sarebbe anche stato possibile trovare il rimedio scientifico (farmacologico) per sopprimerla.

Questo ideale scientifico naturalistico trovava però una limitazione nel fatto che, in molti casi, non era possibile assegnare ai quadri psicopatologici individuabili sul piano clinico una corrispondente patologia neurobiologica che ne costituisse la spiegazione causale. In tali casi, molto frequentemente, il medico esperto poteva anche arrivare a comprendere come gli stati di sofferenza psichica ed i disturbi del comportamento ad essi correlati dipendessero da sentimenti conflittuali riferibili, abitualmente, a vicende più o meno dolorose vissute dal paziente in diversi momenti della sua storia personale.

La comprensione del medico, condivisa dal paziente attraverso il dialogo, delle origini storiche delle attuali sofferenze psichiche, consentiva, in diversi casi, di conseguire una risoluzione del quadro clinico, senza fare ricorso a farmaci o ad altri rimedi di natura fisiobiologica: per questa via, diveniva così possibile concepire ed elaborare lo stesso rapporto dialogico medico-paziente secondo modalità che lo rendessero idoneo ad ottenere risultati terapeutici.

Per quanto queste modalità di rapporto dialogico potessero costituirsi secondo tecniche diverse ( di suggestione, di persuasione, di conforto, di consiglio, di analisi, di programmazione guidata, ecc. ), esse, tuttavia, si caratterizzavano pur sempre per una metodologia che non ricercava le cause sul terreno neurobiologico, ma trovava il suo punto di riferimento nell’ambito dei sentimenti interiori della personalità, nelle loro contraddizioni e nella loro intrinseca conflittualità.

Occorre a questo punto precisare che questa funzione terapeutica del medico nel rapporto dialogico con il paziente era stata riconosciuta già nella medicina dell’antichità, dove però veniva concepita ed esercitata secondo una visione magica, che conferiva sempre alla malattia (mentale o fisica) significati trascendenti.

Merito della psicoterapia moderna è di avere individuato nella stessa personalità dell’uomo e nelle sue più intime contraddizioni, che il medico poteva confrontare dialetticamente con la propria stessa interiorità, il fondamento per la comprensione di tutti quei quadri di sofferenza mentale che noi denominiamo come psicopatie ( o nevrosi ), distinguendole nettamente da quelle condizioni psicopatologiche che classifichiamo clinicamente come psicosi ( o autentiche malattie mentali ) e nelle quali sono diagnosticabili fattori di patologia neurobiologica.

Un progresso decisivo nello studio e nel trattamento dei disturbi mentali si è verificato appunto quando, sul piano della ricerca e della clinica ( grazie soprattutto ai contributi di autori quali K.Jaspers, K.Schneider e altri), è stato chiarito che, in psicoterapia e in psichiatria, si dovessero prendere in considerazione due diverse psicopatologie (tra loro contraddittorie e, nel contempo, complementari): l’una, basata sul principio della spiegazione neurobiologica e sul metodo naturalistico, specificamente applicabile alle psicosi; l’altra, fondata sul principio della comprensione psicologico-personologica e sul metodo fenomenologico-dialettico, specificamente applicabile alle psicopatie (personalità psicopatiche e loro sviluppi).

E’ precisamente su questa fondamentale distinzione metodologica che si basa la diagnosi psicopatologica differenziale, che ci consente di discriminare i quadri clinici psicotici da quelli psicopatici e di prescrivere, conseguentemente, i più appropriati trattamenti terapeutici (di ordine farmacologico, per i primi, psicoterapeutico, per i secondi).

L’importanza teorica e clinica della diagnostica psicopatologica differenziale potrebbe indurci a pensare che questa distinzione epistemologica tra la metodica della spiegazione naturalistica e quella della comprensione personologica (patopsicologica) dovesse costituire il tema dominante della formazione accademica del medico (generico e specialista) nelle discipline della psichiatria e della psicoterapia.

In realtà, purtroppo, ancora oggi, non è così, perché nelle nostre facoltà di medicina la psicopatologia personologica non ha mai trovato (né tuttora trova, grazie alla dominanza della manualistica operazionistica DSM e ICD) un qualsiasi riconoscimento didattico, così che la psicoterapia non ha mai potuto acquisire una sua dignità di disciplina autonoma.

Ai nostri giorni, non è possibile ignorare che questo inammissibile “buco nero “ didattico è stato deleterio tanto per la psicoterapia, quanto per la psichiatria, dal momento che non solo ha portato ad una rovinosa riduzione del profilo culturale e professionale del medico ( si è arrivati al paradosso di pensare che, per risolvere i problemi psicopatologici della sua professione, il medico dovesse rivolgersi agli psicologi non medici), ma è anche tuttora responsabile del declassamento dei servizi di assistenza psichiatrica, oltre che del degrado dell’assistenza psicoterapeutica, dove la latitanza culturale e professionale del medico in materia di diagnostica psicopatologica differenziale ha favorito l’intrusione di figure pseudoprofessionali ambigue, prive di qualsiasi competenza clinica e diagnostica ( si pensi che incarichi apicali, nell’assistenza psicoterapeutica, pubblica e privata, possono attualmente essere assegnati anche a persone non laureate in medicina).

Per le stesse ragioni, il caos impera anche negli attuali dibattiti riguardanti la riforma della legislazione psichiatrica (legge 180 ), dalla quale si pretenderebbero miracolistiche soluzioni di vetusti problemi clinico-psicopatologici che dipendono esclusivamente dalla perdurante latitanza della didattica universitaria delle facoltà di medicina, cui si associa la colpevole incuria di tutta la categoria medica.

Su questi argomenti, la SIMPSI organizza incontri di informazione e di aggiornamento. I Colleghi interessati a partecipare, potranno mettersi in contatto con la nostra sede di Genova, Tel. 010580903; www.istpsico.it ; Email: g_giacomini@libero.it

G.Giacomo GIacomini

Presidente SIMPSI

(Società Italiana dei Medici

Psicopatologi e Psicoterapeuti)