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Quando il corpo si ammala.

Le componenti psicologiche ed emozionali che valenza hanno all’interno del quadro psicopatologico delle neoplasie? Tali fattori come possono interagire con quelli somatici? In che misura rientrano le variabili psicosociali nello sviluppo di queste importanti patologie? Questo articoletto vuol porre attenzione ad una branca delle scienze che ultimamente gode di particolare visibilità; ovvero la neuropsiconcologia. Negli ultimi decenni la medicina ha compiuto importanti progressi nella conoscenza dei meccanismi eziopatogenetici alla base di molte malattie organiche. Spesso il ruolo del fattore psichico è rimasto in secondo piano, anche perché è difficilmente riproducibile e oggettivabile. Solo alla fine del secolo scorso sono state studiate le relazioni tra sistema nervoso, emozioni, sistema endocrino, e sistema immunitario (Panchieri & Biondi, 2002; Biondi & Grassi, 1995). Il modello proposto da Engel di malattia come risultato di fattori bio-psico-sociali ha permesso di comprendere meglio i vari aspetti di molte patologie. Da qui la nascita e lo sviluppo della ricerca verso la psiconeuroimmunologia. Tale termine è stato coniato nel 1981 da Robert Ader, direttore della divisione di medicina psicosociale e comportamentale dell’Università di Rochester a New York, per indicare un ambito disciplinare che studia i rapporti fra gli stati mentali e la fisiologia umana con particolare riferimento alla risposta immunitaria. Tra la fine degli anni ‘60 e ‘70 sono state condotte numerose osservazioni attestanti il legame tra stati psicologici e sistema immunitario (USA: George Salomon, Robert Ader e Marvin Stein). Ader fu il primo a dimostrare che il sistema immunitario è suscettibile di condizionamento mediante la procedura associativa classica. Ormai celebre è il suo esperimento nel quale somministrava ai topi saccarina insieme ad un farmaco (ciclofosfamide) in grado di indurre nausea e che portava i topi, per associazione, ad evitare la saccarina. Un effetto collaterale di quel farmaco era l’immunosoppressione. Quando, dopo tempo, iniettò negli animali solo saccarina, molti di essi morirono per immunosoppressione. Ader ipotizzò che un simile legame si potesse stabilire fra gli stati mentali (sistema nervoso) ed immunitari, in seguito a stress e a varie altre condizioni patologiche. Altri studi hanno indagato l’interazione tra sistema nervoso e sistema immunitario riscontrando l’intervento del sistema endocrino, stimolato dai neuropeptidi liberati nel circolo sanguigno dalle cellule nervose, nella regolazione dei fenomeni immunitari e la presenza sui linfociti, cellule del sistema immunitario, di recettori per neuropeptidi e ormoni. Studi sistematici evidenziano che il sistema nervoso centrale e il sistema immunitario comunicano attraverso diverse vie e strutture anatomiche come, ad esempio, il sistema libico (ippocampo e amigdala), molto importante nelle reazioni di adattamento allo stress e mediatore della risposta linfocitaria. La psiconeuroimmunologia integrando anche il sistema neuroendocrino viene a definirsi come la disciplina scientifica che studia i rapporti di reciproca influenza tra sistema nervoso (stati emozionali), sistema immunitario e sistema endocrino, nelle loro implicazioni fisiologiche e patologiche. Grande rilievo viene dato al possibile ruolo dei fattori emozionali e dello stress nella genesi e nel decorso di varie patologie somatiche, alle modalità di risposta emozionale di un paziente e alla sua strategia di coping nell’ influenzare la risposta immunitaria e l’andamento della patologia. Questo atteggiamento clinico ancora non è riconosciuto appieno dalla medicina come scienza basata sull’evidenza; molti medici immaginano con difficoltà le conseguenze pratiche di uno stato immunosopressivo legato ad un lutto. Se da una parte è universalmente riconosciuta l’importanza di fattori come il fumo e le abitudini dietetiche, dall’altro i fattori emozionali restano “impalpabili”e difficilmente documentabili. Per giunta, pur riconoscendo un ruolo ai fattori psichici, risulta difficile riconoscerne i risvolti pratici nel trattamento. Un recente articolo apparso su JAMA (Hundson, Mertens et al., 2003) mette in luce l’importanza dei fattori psichici nell’insorgenza dei tumori. I dati disponibili nella letteratura riguardo lo stress e le neoplasie evidenziano sperimentalmente negli animali il rapporto tra stress, insorgenza e/o decorso dei tumori. Inoltre nell’uomo sono stati eseguiti studi controllati di tipo retrospettivo (Lillberg et al., 2003; Gonzales Perez, 2005) per indagare gli eventi stressanti prima della diagnosi di tumore rispetto a soggetti sani o con altre patologie, senza portare ad un risultato conclusivo. Tuttavia recentemente sono stati pubblicati i risultati di uno studio condotto su donne ammalate di tumore al seno che sembrano confermare tale ipotesi (Romanelli M et al.). Per quanto riguarda la patologia tumorale, la psiconeurobiologia del cancro riduce le variabili legate alla malattia a tre fattori e l’interazione di queste variabili aumenterebbe il rischio di sviluppare o meno le neoplasie. (Pancheri & Biondi, 2002; Biondi & Grassi, 1995) Essi sono: 1. Rischio cellulare ovvero l’ attivazione di oncogeni, normalmente presenti in maniera silente nel patrimonio genetico cellulare, che una volta attivati possono indurre la proliferazione cellulare incontrollata. 2. Fattori ambientali la possibile attivazione di meccanismi cellulari di trascrizione e attivazione dell’oncogene da parte di sostanze cancerogene ambientali, o per abitudini di vita disadattive, per esempio la mancata adesione a programmi preventivi per la diagnosi precoce. Questi atteggiamenti possono essere dovuti a fattori quali il livello di istruzione, lo stato socioculturale, ma anche a meccanismi psicologici di difesa dalle angosce come il diniego, suscitati da tali argomenti. Evitare di sottoporsi a controlli preventivi permette di tenere lontana de sé l’idea angosciosa della possibilità di morire per un tumore.
Spesso ciò che più è motivo di angoscia nel malato di cancro, non è la pura e semplice paura di morire, ma la probabile sofferenza che precede la morte.
3. Fattori psicobiologici legati alla vulnerabilità individuale e alle caratteristiche di personalità da cui dipende in parte il risultato della risposta allo stress. La capacità di far fronte alle avversità della vita è assolutamente diversa per ogni individuo. Si può ipotizzare che cellule pre-cancerose latenti e in equilibrio con l’organismo, possano replicarsi in modo incontrollato e afinalistico a seguito di una condizione di stress protratto e intenso, ma soprattutto non affrontato in modo efficace (coping disfunzionale). Inoltre in questi ultimi anni sono comparse su prestigiose riviste internazionali diverse review che hanno evidenziato una correlazione tra assunzione a lungo termine di antidepressivi e aumento del tumore al seno. Tale ipotesi seppur non confermata potrebbe essere spiegata anche con una peggiore capacità adattiva dell’individuo depresso con l’utilizzo di coping disfunzionali (Bahl et al., 2003).
Legate a queste variabili vi sono i fattori affettivo-emozionali evidenziati dalle maggior parte delle ricerche di psicosomatica dei tumori; quelli conseguenti ad una importante perdita affettiva in cui il soggetto reagisce allo stress con uno stile hopelessnessl/helpiassness (Schspiro et sI., 2002; Celton & Schapiro, 2002).
Più volte è stato menzionato il termine stress; per stress si intende una reazione finalizzata alla risposta verso stimoli che riguarda l’intero organismo e coinvolge più sistemi, sia fisici, sia chimici, che ne possono compromettere l’equilibrio. La reazione di stress può essere definita come pre-programmata poiché, pur potendo essere modificata con l’apprendimento, coinvolge sistemi nervosi e neuroendocrini ed un complesso articolato di reazioni. Lo stress è una reazione sia biologica, sia psicologico/comportamentale e da risposta adattiva può trasformarsi in cofattore patogenetico in numerose patologie. Infatti il DSM-IV prevede l’asse descrittivo IV per indicare presenza e grado di stress psicosociali. Quindi per stress si intende una risposta di un sistema ad una sollecitazione ambientale che tende a portare il sistema stesso lontano dal suo intervallo di funzionamento ottimale. Nel caso di un organismo vivente ciò si traduce in una reazione che cerca di riportare il funzionamento nell’intervallo ottimale; rappresentando la reazione di un organismo ad ogni stimolo che tende a disturbare la situazione omeostatica , o che si confronta con i suoi particolari desideri o bisogni in un determinato momento. Gli stressors possono essere considerati fattori di crescita e maturazione cerebrale nella misura in cui ogni stimolo ambientale richiede all’organismo una modificazione ai fini dell’adattamento (mantenere l’omeostasi). L’interazione di questi stimoli (interni o esterni) con il sistema cognitivo/emozionale del soggetto induce una varietà di modificazioni biologiche, nervose, endocrine e metaboliche allo scopo di massimizzare la capacità di risposta dell’individuo e la probabilità di successo nell’adattamento. Quando si parla di stress bisogna tener presente che: n La reazione allo stress è aspecifica e, in caso di successo della risposta adattativa nel ripristinare lo stato precedente, è anche transitoria, tendendo a recedere una volta scomparso lo stimolo; essa costituisce la reazione acuta allo stress n Non sempre è possibile ritornare ad uno stato di funzionamento considerato ottimale, per cui la reazione allo stress non si disattiva integralmente. In questo caso l’adattamento avviene nei confronti di uno stato di funzionamento meno che ottimale e le parti della risposta allo stress che permangono e si modificano costituiscono la reazione cronica allo stress, predisponendo allo sviluppo di patologia (uno stato di funzionamento ai limiti dell’intervallo di funzionalità è a maggior rischio di danno sistemico) o costituendo esso stesso la patologia (patologia da stress, disturbi ansiosi e depressivi). Il supporto sociale è il fattore psicologico per il quale è maggiormente attestato il ruolo prognostico positivo nei pazienti oncologici, essendo in grado di ridurre lo stress psicosociale. Inoltre bisogna tener presente questa piccola finestra che segue per comprendere le miriadi di possibilità di interazione che il nostro organismo opera continuamente tra noi e il mondo, ovvero, il sistema immunitario è formato dalle cellule immunitarie (linfociti), dagli organi linfoidi primari (timo, midollo osseo) dove vengono prodotte e dagli organi linfoidi secondari dove migrano successivamente (linfonodi, tonsille, milza, appendice, placche di Peyer dell’intestino ed altri aggregati di tessuto linfatico distribuiti in tutto il corpo). I linfociti si compongono di sottopopolazioni: linfociti B che producono gli anticorpi, i linfociti T citotossici che uccidono le cellule infettate (microbi intracellulari), i T helper che producono e secernono citochine, sostanze solubili che servono ad attivare altre cellule, i NK (natural killer) che provocano la lisi e la morte per apoptosi (programmata) di cellule malate o infette, i fagociti che inglobano e distruggono gli antigeni estranei ed altre cellule ancora. Questi meccanismi sembrerebbero essere suscettibili e condizionati anche da u no stile di coping di tipo helpessness/hoppeleness improntato sul sentimento di disperazione e mancanza di speranza. Tale costrutto si mette in relazione sul piano immunobiologico con una alterazione dei sistemi noradrenergico, dopaminergico, degli oppiodi endogeni (encefaline), dell’asse ACTH-cortisolo e della soppressione dell’immunità cellulare (bassa attività dei Natural Killer). Diverse ricerche sugli animali hanno dimostrato come lo stress faciliti la comparsa di neoplasie e una precoce metastizzione mediante la depressione delle attività dei linfociti NK. Al contrario gli oppiodi endogeni, potenziando l’attività di questi ultimi, inibiscono la crescita dei tumori sperimentali (Bressi e Cattaneo, 2002; Berard, 2001). Il verificarsi dell’aumentata suscettibilità alla malattia a seguito di esposizione prolungata allo stress è stata oggetto di numerosi studi rivolti a scoprire i meccanismi attraverso cui lo stress modula la risposta immune. Ciò che è emerso, è una diminuzione della attività dai linfociti citotossici e delle cellule NK in concomitanza del verificarsi di stressful life-events e l’intensità del fenomeno si correla con la reazione emozionale dell’individuo all’evento. Per giunta i disturbi depressivi sono altamente connessi a modificazioni immunologiche sia dell’immunità cellulo-mediata che umorale, quali: leucocitosi, aumento del rapporto T helped/T suppreseor, aumento della IL1, diminuzione IL2, diminuzione delle endorfine e dei linfociti NK. Le modificazioni neurotrasmettitoriali che si verificano in corso di depressione modificano la risposta immunitaria e sono in grado di influenzare il decorso di una neoplasia. I dati di letteratura evidenzierebbero che l’esposizione a stressor elaborati con stile disadattivo provocano nell’individuo una riduzione della immunosorveglianza da parte dei NK, soprattutto a seguito di una grave perdita affettiva. Anche sotto l’aspetto dei comportamenti a rischio, questi soggetti possono presentare, tabagismo, assunzione di alcool, scorrette abitudini alimentari e non aderenza ai programmi di prevenzione in concomitanza alla depressione. Infine alcuni autori hanno osservato nella loro pratica clinica, la remissione spontanea di alcuni casi di tumore. Si tratta di pazienti “miracolati” che sopravvivono oltre 10 anni rispetto alla prognosi prevista e con inspiegabile arresto della progressione della malattia. Probabilmente fattori psichici e di coping adattivo hanno ritardato, in questi casi, una risposta immunitaria favorevole nei confronti della malattia (fenomeno denominato “narrow wscape from death”) (Ikemi & Nakagawa, 1996) Questi pazienti presentano una mancanza di angoscia, una adeguata presa di coscienza della loro situazione clinica ed un forte carisma. Dal punto di vista immunoendocrino si riscontra una riduzione dei valori di cortisolo, una diminuzione dell’attività neurovegetativa simpatica, un rapporto favorevole Th/ Ts . Anche se rimangono dei case-report senza significatività statistica, rappresentano esempi da tener presente. Quanto sopra esposto, a mio avviso, conferma la validità di un modello di rischio patogenetico multifattoriale per le neoplasie. Inoltre la relazione tra stress e insorgenza di tumori sembrerebbe mediata dal sistema immunitario e dal sistema endocrino. Su questa base si inseriscono i fattori ambientali, la vulnerabilità individuale, nonché lo stile di risposta e di adattamento allo stress (coping). E ancora difficile tradurre in una pratica clinica orientata alla prevenzione queste interconnessioni, mentre è possibile cogliere precocemente nel paziente la presenza di disturbi psichici come la depressione, l’insonia e l’ansia che possono influenzare la qualità della vita e il decorso della malattia e perdurare anche a distanza di anni della guarigione. Dott. Lorenzo Flori


Bibliografia:

Bahl S. et Al. (2003) use of antidepressant medicatone and the possibile association with breast cancer risk. A review Psychother. Psychosomm. Hundson M., MertensA., et al. (2003) Health status of long-term survivos of childhood cancer, JAMA, sept. 290 n121583-1592. Lillberg Ket al. (2003) Strssful life events and risk of breast cancer in 10, 808 woman: a cohort study. Am. J. of Epidemiology, 157:415-423. Pancheri P., Biondi M.(2002) Stress emozioni e cancro. Roma :il pensiero scientifico.