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Newsletter 21

Notiziario online – newsletter n.21

Cassazione Sezione I, sentenza 9 marzo 2012 n. 3750

Appalti pubblici - Imprese in associazione temporanea - Fallimento della capogruppo - Conseguenze.

(Dlgs 406/1991, articolo 23; Rd 267/1942, articolo 78)

In tema di appalto di opere pubbliche stipulato da due imprese riunite in associazione temporanea, il fallimento dell’impresa capogruppo, costituita mandataria dell’altra ai sensi dell’articolo 23, comma 8, del Dlgs 406/1991, determina lo scioglimento del rapporto di mandato, ai sensi dell’articolo 78 della legge fallimentare, con la conseguenza che l’impresa mandante è legittimata ad agire direttamente nei confronti del committente per la riscossione della quota dei crediti nascenti dall’appalto a essa imputabile, matale azione non comprende i crediti maturati dopo il fallimento, il quale determina anche lo scioglimento dell’appalto, escludendo la configurabilità di una successione dell’impresa mandante nel relativo rapporto, la cui prosecuzione in via di mero fatto dà luogo a un diverso rapporto, che attribuisce all’impresa mandante un titolo diretto per azionare nei confronti del committente i crediti originati dal suo apporto esclusivo.

Sezione II, sentenza 6 giugno 2012 n. 9119

Difformità e vizi dell’opera - Azione ex articolo 1669 del Cc - Anche nel caso di alterazione di parti non essenziali della costruzione - Sussiste.

(Cc, articolo 1669)

Il difetto di costruzione che, a norma dell’articolo 1669 del Cc, legittima il committente all’esperimento della relativa azione di responsabilità nei confronti dell’appaltatore, può consistere in una qualsiasi alterazione, conseguente a un’insoddisfacente realizzazione dell’opera, che, pur non riguardando parti essenziali della stessa (e perciò non determinandone la rovina o il pericolo di rovina), bensì quegli elementi accessori o secondari che ne consentono l’impiego duraturo cui è destinata, incida negativamente e in modo particolarmente considerevole sul godimento dell’immobile medesimo, come nel caso in cui l’imperfezione costruttiva di natura strutturale riguardi la finitura essenziale del pavimento, determinante l’inutilizzabilità dell’abitazione a causa dell’anomalia di posa del sottofondo con correlato cedimento del massetto, in tal modo conseguendo la necessità della rimozione della pavimentazione e della sua successiva completa sostituzione.

Come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità (Cassazione 20307/2011 e 10857/2008) sono configurabili come gravi difetti dell’edificio, ex articolo 1669 del Cc, anche le carenze costruttive dell’opera, da intendere anche come singola unità abitativa, che pregiudicano o menomano in modo grave il normale godimento e/o la funzionalità e/o l’abitabilità della medesima, come nel caso in cui la realizzazione sia avvenuta con l’uso di materiali inidonei oppure non a regola d’arte e anche se incidenti su elementi secondari e accessori dell’opera (come nel caso di rivestimenti, infissi, impianti ecc.) purché tali da compromettere la sua funzionalità ed abitabilità ed eliminabili con lavori di manutenzione, anche ordinaria, e cioè con opere di riparazione, sostituzione delle finitura degli edifici o mediante opere che integrano o mantengono efficienti gli impianti installati. Il vizio, pertanto, deve essere in grado di pregiudicare in modo grave la funzione alla quale l’immobile è destinato, limitandone la possibilità di godimento, e non deve incidere necessariamente sulla stabilità dell’opera, essendo sufficiente a tal fine che i difetti riguardino elementi non propriamente strutturali quali i rivestimenti o la pavimentazione.