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Contratto di appalto: ultimi orientamenti della Suprema Corte sulla interposizione fittizia di manodopera

Al fine di verificare la la presenza di un'impresa fittizia, priva cioè di un'autonoma organizzazione, soccorrono alcuni indici frutto dell'elaborazione della giurisprudenza. Quest'ultima ritiene infatti sussistere interposizione di manodopera anche quando l'appaltatore è dotato di una vera e propria organizzazione d'impresa, ma si limita, in concreto, a fornire solo la manodopera, non assumendo alcun rischio economico in merito alla realizzazione del servizio dedotto in contratto.

L’esercizio del potere direttivo e organizzativo dell’Appaltatore nei confronti del proprio personale utilizzato nell’appalto, costituisce uno degli elementi più qualificanti di un contratto di appalto lecito, in quanto implica l’esclusione dell’intromissione del Committente nell’esecuzione dell’appalto.

Proprio con riferimento alle direttive di fatto impartite ai lavoratori, la Corte di Cassazione con sentenza n.21030 pubblicata in data 27.11.2012, si è recentemente pronunciata in tema di appalto “endoaziendale” ed illegittima interposizione di manodopera in favore del Committente.

La Cassazione, con sentenza n. 17049 del 23 giugno 2008, era già intervenuta sul tema delle condizioni di liceità dei cosiddetti appalti “endoaziendali”, vale a dire quegli appalti fondati sull’affidamento ad una impresa esterna (appaltatrice) di attività “ inerenti al complessivo ciclo produttivo del committente” e che siano a bassa intensità organizzativa. Tali appalti sono ritenuti leciti ove sia possibile individuare il soggetto che esercita l'effettivo potere direttivo sui dipendenti, assumendone il rischio e non limitandosi alla semplice gestione amministrativa dei rapporti di lavoro.

Nella ridetta sentenza la Suprema Corte ha ritenuto che - nel caso esaminato - non potesse ravvedersi una figura di appalto lecito “difettando qualsiasi carattere di prestazione di servizio o di autonomia gestionale da parte della [omissis](ndr l’appaltatrice), la quale – nella concreta attuazione dell’obbligazione assunta verso l’appaltante – si era limitata alla gestione amministrativa del rapporto di lavoro del dipendente, senza alcuna ingerenza circa le modalità esecutive della prestazione lavorativa (vedi in tal senso, tra le molte: Cass. 5 ottobre 2002, n. 14302; Cass. 19 luglio 2007, n. 16016, Cass. 17 febbraio 2010, n. 3681)”. La Cassazione ha fondato il predetto convincimento rilevando che i “compiti sono stati sempre svolti dal lavoratore sotto la direzione dei capistazione, alle cui istruzioni il sig. [omissis] adeguava tempi e modi delle prestazioni stesse in dipendenza delle esigenze della società ferroviaria e senza nessuna seria e concreta possibilità per la società appaltatrice di interferire a riguardo, tanto che le mansioni svolte dal 1994 in poi come addetto al passaggio a livello non erano neppure contemplate nello statuto della suindicata cooperativa”.

Sulla base di tali elementi di fatto rilevati nel caso di cui innanzi la S. C. ha così nuovamente ribadito uno dei principali indici che comportano l’illeceità del contratto di appalto.