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Newsletter 39

Notiziario on line – news letter n.39

IL PROBLEMA DEI REQUISITI NECESSARI ALLA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO E DEI SUOI LIMITI TEMPORALI Premesso che, secondo la previsione del nuovo art. 1, comma 2, L.F., per la dichiarazione di fallimento, sono necessari 3 requisiti: a) debiti superiori ad euro 50.000, 00 e, nei tre esercizi precedenti il deposito dell'istanza: b) attivo patrimoniale superiore ad euro 300.000; c) ricavi lordi superiori ad euro 200.000, 00, il Tribunale di Roma, Sezione fallimentare, con decreto del 18 giugno 2008, Presidente Deodato, Relatore Ruggiero, ha ritenuto che "in mancanza del superamento dei limiti dimensionali di cui all'art. 1 comma 2 L.F., la ditta insolvente non può essere sottoposta a procedura fallimentare, anche ove il requisito dimensionale sia stata superato negli anni pregressi il triennio", in quanto "il limite temporale deve essere accertato in funzione della attualità dello stato dell’impresa sottoposta alla valutazione dell’insolvenza, che il legislatore ha tipicamente individuato nella situazione dimensionale della stessa risultante dai tre esercizi precedenti la data del deposito del ricorso, oltre i quali appare irrilevante, risultando un dato ormai superato e non più idoneo a rispecchiare l’elemento dimensionale dell’impresa"

I L PROBLEMA DEL MAGGIOR DANNO DA SVALUTAZIONE MONETARIA NELLE OBBLIGAZIONI PECUNIARIE: SCORAGGIARE L'INADEMPIENZA Con pregevole sentenza 10 giugno - 16 luglio 2008, n. 19499, Presidente Carbone, Relatore Amatucci, la S.C. di Cassazione, Sezioni unite civili, dopo una puntuale ricostruzione della "storia dell'evoluzione della giurisprudenza in ordine alla prova del danno da svalutazione monetaria nelle obbligazioni pecuniarie", ha enunciato i seguenti innovativi principi di diritto:
a) - nelle obbligazioni pecuniarie, in difetto di discipline particolari dettate da norme speciali, il maggior danno di cui all'art. 1224, comma 2, cod. civ. (rispetto a quello già coperto dagli interessi legali moratori non convenzionali che siano comunque dovuti) è in via generale riconoscibile in via presuntiva, per qualunque creditore che ne domandi il risarcimento - dovendo ritenersi superata l'esigenza di inquadrare a tale fine il creditore in una delle categorie a suo tempo individuate -, nella eventuale differenza, a decorrere dalla data di insorgenza della mora, tra il tasso del rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi ed il saggio degli interessi legali determinato per ogni anno ai sensi del primo comma dell'art. 1284 cod. civ.;
b) - è fatta salva la possibilità del debitore di provare che il creditore non ha subito un maggior danno o che lo ha subito in misura inferiore a quella differenza, in relazione al meno remunerativo uso che avrebbe fatto della somma dovuta se gli fosse stata tempestivamente versata;
c) - il creditore che domandi a titolo di maggior danno una somma superiore a quella differenza è tenuto ad offrire la prova del danno effettivamente subito, quand'anche sia un imprenditore, mediante la produzione di idonea e completa documentazione, e ciò sia che faccia riferimento al tasso dell'interesse corrisposto per il ricorso al credito bancario sia che invochi come parametro l'utilità marginale netta dei propri investimenti;
d) - in entrambi i casi la prova potrà dirsi raggiunta per l'imprenditore solo se, in relazione alle dimensioni dell'impresa ed all'entità del credito, sia presumibile, nel primo caso, che il ricorso o il maggior ricorso al credito bancario abbia effettivamente costituito conseguenza dell'inadempimento, ovvero che l'adempimento tempestivo si sarebbe risolto nella totale o parziale estinzione del debito contratto verso le banche; e, nel secondo, che la somma sarebbe stata impiegata utilmente nell'impresa ».
A tal proposito, rilevano le S.U. che "dal 1991 al 2008 i valori relativi al rendimento medio annuo lordo dei titoli di Stato di durata non superiore ai dodici mesi ed i valori del tasso legale d'interesse sono stati, infatti, di anno in anno, rispettivamente i seguenti:
13, 779 e 10 (1991); 12, 876 e 10 (1992); 13, 555 e 10 (1993); 8, 815 e 10 (1994); 11, 949 e 10 (1995); 10, 043 e 10 (1996); 6, 757 e 5 (1997); 5, 212 e 5 (1998); 3, 556 e 2, 5 (1999); 5, 187 e 2, 5 (2000); 4, 928 e 3, 5 (2001); 4, 512 e 3 (2002); 3, 672 e 3 (2003); 3, 631 e 2, 5 (2004); 3, 244 e 2, 5 (2005); 3, 332 e 2, 5 (2006); 4, 167 e 2, 5 (2007); 4, 22 e 3, 8 (fino a giugno del 2008)"; sicchè "Fatta eccezione per l'anno 1994, nel quale il rendimento dei titoli di Stato fu inferiore al tasso legale, va constatato che la più comune e prudente forma di investimento del denaro ha una redditività superiore al tasso dell'interesse legale, con la conseguenza che, per il debitore di un'obbligazione pecuniaria, in linea di massima continua a poter essere economicamente conveniente non adempiere tempestivamente, così lucrando la differenza tra quello che è agevolmente in grado di ricavare dal denaro non versato al creditore durante la mora debendi e quello che dovrà al creditore quando adempirà la propria obbligazione".