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I Bambini che non si piacciono – Parte Seconda

a cura della dott.ssa Viviana d’Orio

Una buona autostima viene considerata come un fattore centrale per un buon adattamento socio-emozionale. Questa opinione, oltre ad avere una lunga storia, è stata ampiamente condivisa da numerosi autori che, sia attraverso la ricerca sia attraverso il loro lavoro clinico, hanno constatato come l’autostima positiva sia connessa ad un funzionamento personale più efficace. Se ciò è vero per gli esseri umani in generale, diventa ancor più importante per i bambini poiché è in età infantile che si gettano la basi per una autovalutazione positiva; ciò può rappresentare per i bambini un vero e proprio scudo contro gravi problemi futuri.

E’ importante sottolineare che anche i bambini con alta autostima possono andare incontro a esperienze negative che inducono stati d’animo spiacevoli, come un insuccesso scolastico, un litigio con il migliore amico, una competizione sportiva persa. Né bisogna immaginare il bambino con una buona stima di sé come un burattino “perfetto” incapace di incorrere in qualche piccolo guaio, di sperimentare dispiaceri o di disubbidire ai genitori. Ma ciò che contraddistingue i bambini che hanno sviluppato una stima di sé positiva riguarda la capacità di superare prontamente e con fiducia gli inevitabili momenti dolorosi dellapropria esperienza di vita. In altre parole, un bambino che si sente bene con se stesso riesce a fronteggiare meglio i problemi che incontra e di solito riesce a limitarne gli effetti dannosi.

Le basi dell’autostima si trovano nelle esperienze non del bambino…bensì del neonato! Ciò vuol dire che la relazione madre-bambino, sin dai primi istanti di vita, esercita un potere grandissimo sulla formazione della stima di sé del piccolo, come dimostrato anche dalla scienza neuro-biologica. Quando il bambino viene coinvolto dal genitore in una relazione appagante e soddisfacente (si guardano, sorridono, fanno versi, giocano con le mani, fanno il gioco del cu-cu) , nel suo cervello vengono rilasciate grandi quantità di alcune sostanze, come dopamina e oppioidi, che vengono attivate con regolarità quando il piccolo sperimenta frequenti interazioni piacevoli con il genitore. Tale attivazione risulta importante per suscitare in lui stati emotivi positivi; inoltre, la dopamina sembra giocare un ruolo importante nello sviluppo della curiosità, dell’interresse per l’apprendimento e del desiderio di esplorare.

Il periodo del “mondo-viso” dura da due a sei mesi di vita; se il bambino non lo attraversa perde qualcosa di fondamentale. E’ stato calcolato, infatti, che nelle interazioni faccia-a-faccia, il 55% del significato emozionale di un messaggio viene espresso attraverso i gesti, il viso, la postura, le mani, e il 38% attraverso il tono della voce. La comunicazione passa attraverso tutto il corpo: se i nostri messaggi sono ambigui o incoerenti, il bambino tende a “credere” di più al linguaggio del corpo che alle parole.

Naturalmente, anche fattori esterni, come gli stereotipi sociali, e i fattori interni temperamentali del piccolo contribuiscono in diversa misura alla formazione del giudizio che il bambino avrà di sé, delle proprie capacità e della propria immagine.

Quando gli adulti significativi per il bambino, per lo più i genitori nei primissimi anni di vita, ma anche i nonni e più tardi gli insegnanti, si mostrano pronti e attenti ad accogliere e rispondere ai segnali del piccolo, lo aiutano a sentirsi amato e apprezzato. Questi segnali possono essere un gridolino, un sorriso oppure una foglia raccolta a terra e donata alla mamma. Se invece gli adulti non riescono a rispondere bene ai segnali del bambino chiedendo, ad esempio, al piccolo di “farsi da parte” o di “non disturbare”, gli negano un’importantissima occasione di condivisione e di coinvolgimento emotivo. Se ciò accade ripetutamente e pervasivamente nel tempo, il bambino può essere portato a sperimentare insicurezza, vergogna, senso di rifiuto.

Ecco alcuni suggerimenti che possono essere utili per chiunque si trovi a operare a stretto contatto con i bambini:

- aiutate il bambino ad essere coinvolto in esperienze piacevoli e costruttive che favoriscano la cooperazione piuttosto che la competizione;

- meglio iniziare da attività in cui siete sicuri che il bambino riesca bene e partecipate alla sua gioia per il successo ottenuto: questo serve a instaurare con lui una relazione positiva e a fortificare il suo senso di sicurezza e di efficacia personale;

- anche quando non riesce in qualcosa, lodate il bambino per l’impegno dimostrato;

- lodi eccessive, immotivate e adulazioni non servono ad aumentare l’autostima del bambino;

- siate sempre chiari nel dare lodi o rimproveri evitando di esprimere giudizi troppo generali che intaccano il valore personale del bambino: “ in matematica hai bisogno di esercitarti un po’ di più ” è meglio di “ a scuola non riesci proprio a far bene…sei un asino ”;

- guidate il bambino a individuare i suoi pensieri negativi ed errati che lo portano a sperimentare stati d’animo spiacevoli e aiutatelo a trasformarli in pensieri più realistici: “ faccio proprio schifo ” può diventare “ alcune cose mi riescono bene, altre no ma posso impegnarmi per migliorare ”;

- siate un modello positivo per il bambino: dedicare dello spazio e del tempo per rafforzare il proprio benessere e il proprio valore personale è di fondamentale importanza e fornisce ai bambini un potente modello di comportamento;

- se il bambino mostra problematiche importanti che voi adulti, genitori o insegnanti, non riuscite a gestire è meglio un aiuto professionale.

Bibliografia

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- Feinstein L., The impact of children’s self-esteem on their education and employment prospect. The Institute for Public Policy Research, 2001.

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- Sunderland M., Aiutare i bambini con poca autostima . Edizioni Erickson, 2010.