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La perequazione tributaria

La riforma Vanoni

La legge più significativa della riforma del sistema tributario italiano fu la legge 11 gennaio 1951, n. 25 che passò alla storia con il nome di “perequazione tributaria”. Perequare significava far pagare di più a chi poteva pagare di più per sgravare i meno abbienti.
I cardini della legge erano: l’introduzione della dichiarazione annuale unica dei redditi; l’abbassamento delle aliquote e l’innalzamento dei minimi imponibili; la possibilità che veniva offerta ai contribuenti morosi di condonare il passato senza oneri eccessivi. L’obiettivo era quello di aumentare il gettito delle imposte dirette facendo emergere gli evasori totali che con la nuova legge erano costretti a dichiarare gli incrementi del proprio reddito anno per anno.
La riforma del sistema tributario, però, non poteva prescindere da una radicale riorganizzazione dell’amministrazione finanziaria. Si diede, quindi, il via al progetto di trasformazione delle strutture che prevedeva interventi sulle sedi, sui mezzi e sugli uomini. Vanoni rivestì la carica di Ministro delle Finanze sino al 12 gennaio 1954. A Vanoni si deve anche la nascita dell’Eni. Difatti, il disegno di legge che prevedeva la costituzione dell’ente, venne preparato dal Ministero delle Finanze quando egli era ministro. La costituzione dell’Eni suscitò molte perplessità e disappunto sia nel mondo politico che in quello imprenditoriale. Si apriva, di fatto, la discussione se fosse più opportuno intervenire in determinati settori dell’economia ritenuti critici con iniziativa privata o con un intervento diretto dello Stato.
Per il caso Eni, il dibattito era se fosse più opportuno intervenire nel settore energetico creando un monopolio privato oppure creando un monopolio pubblico. Vanoni scelse il monopolio pubblico (creando appunto l’Eni), non senza polemiche e aspri dibattiti. La sua scelta di organizzazione produttiva pubblica, era finalizzata a promuovere il bene comune, collegando gli interessi dei produttori con quelli dei consumatori

Il filo conduttore, che ha ispirato anche le principali riforme, è la convinzione che è l’economia pubblica che serve l’uomo e non viceversa. In particolare, lo scopo della politica economica è di garantire a tutti gli uomini un’esistenza libera e dignitosa, mantenere la stabilità dell’occupazione assicurando nel contempo a ciascuno un adeguato compenso. Si osserva che, nonostante la matrice socialista del pensiero economico di Vanoni, egli non era un assertore delle teorie keynesiane sull’intervento dello Stato nell’economia. Era profonda convinzione di Vanoni che il perseguimento del fine dell’incremento dell’occupazione e della crescita del reddito nazionale non potrebbe essere conseguito attraverso l’intervento diretto dello Stato per finanziare una politica di lavori pubblici al solo scopo di movimentare il mercato. Infatti, tranne limitate manovre monetarie per ristabilire l’equilibrio tra prezzi interni ed esteri, Vanoni riteneva (con lungimiranza) che il ricorso alla moneta come strumento di politica monetaria indebolisce il sistema monetario, ingenerando dannosi meccanismi inflattivi.
Appena giunto al Governo, iniziò a lavorare alla riforma tributaria prefiggendosi l’obiettivo di raggiungere una giustizia fiscale, che era anche uno dei presupposti di una democrazia autentica. Ma, prima di una riforma in ambito di ordinamento legislativo, era necessaria, innanzitutto, una rivoluzione morale. Bisognava cambiare le coscienze e convincere gli italiani riguardo ai loro obblighi nei confronti del fisco, in virtù di un dovere sociale che era anche un dovere morale.