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Centrali elettriche 3

Produzione di energia elettrica in Italia Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
La Centrale Termoelettrica Eugenio Montale presso La Spezia , una tra le più grandi d'Italia, in grado di produrre circa 1, 3 GW di potenza elettrica, in servizio dal 1962 [1] .

In Italia la produzione di energia elettrica avviene in gran parte grazie all'utilizzo di fonti non rinnovabili (come il carbone , il petrolio e il gas naturale ) e in misura minore con fonti rinnovabili (come lo sfruttamento dell' energia geotermica , dell' energia idroelettrica e dell' energia eolica ); il restante fabbisogno viene coperto con l'acquisto di energia dall'estero, trasportata nel paese tramite l'utilizzo di elettrodotti . Questo mix energetico è abbastanza comune, qualitativamente e quantitativamente, in tutti i paesi occidentali.



// Consumi, potenza richiesta e potenza installata

L'Italia, come sistema fisico nazionale comprendente le proprie centrali e le proprie stazioni di pompaggio , nel 2008 ha avuto consumi per circa 359 163 G Wh di energia elettrica. Tale dato è il cosiddetto "consumo o fabbisogno nazionale lordo" e indica l'energia elettrica di cui ha bisogno il Paese per far funzionare qualsiasi impianto o mezzo che abbisogni di energia elettrica. Tale dato è ricavato come somma dei valori indicati ai morsetti dei generatori elettrici di ogni singolo impianto di produzione e il saldo degli scambi con l'estero. Tale misura è effettuata prima di una eventuale detrazione di energia per alimentare le stazioni di pompaggio e non considerando gli autoconsumi delle centrali (ovvero l'energia che la centrale usa per il suo funzionamento) [2] . Il dato di consumo nazionale lordo contiene una percentuale pari al 11, 2% di energia importata dall'estero (ovvero, al netto delle esigue esportazioni, circa 40 034 G Wh annui nel 2008), che incide per l'11, 8% sul valore dell'energia elettrica richiesta [2] .

Se si escludono tali "consumi imposti" (servizi ausiliari, perdite nei trasformatori di centrale e l'energia elettrica per immagazzinare energia durante la notte attraverso le stazioni di pompaggio idriche), si ha un "consumo nazionale netto" o "richiesta nazionale di energia elettrica", che nel 2008 è stato di 339 480 G Wh , con un decremento dello 0, 14% rispetto all'anno precedente (principalmente a causa della riduzione dei consumi industriali a causa della crisi economica del 2008 ) ma con un incremento medio del 2, 33% negli ultimi venti anni. Tale valore comprende anche le perdite di rete, calcolate intorno ai 20 443 G Wh circa. La parte rimanente ( 319 037 G Wh ) rappresenta il consumo di energia degli utenti finali [2] .

Per quanto riguarda invece la potenza richiesta , l'Italia ha bisogno mediamente di circa 42 G W di potenza elettrica lorda istantanea ( 36, 4 G W di potenza elettrica netta istantanea). Tali valori oscillano tra la notte e il giorno mediamente da 28 a 50 G W , con punte minime e massime rispettivamente di 20, 2 e 55, 2 G W [3] .

Il fabbisogno nazionale lordo di energia elettrica viene coperto per il 72, 8% attraverso centrali termoelettriche che bruciano principalmente combustibili fossili in gran parte importati dall'estero (di questi piccole percentuali - inferiori al 2% - fanno riferimento a biomassa , rifiuti industriali o civili e combustibile nazionale). Un altro 16, 1% viene ottenuto da fonti rinnovabili ( idroelettrica , geotermica , eolica e fotovoltaica ) per un totale di energia elettrica di produzione nazionale lorda di circa 319 129 G Wh annui (2008). La rimanente parte per coprire il fabbisogno nazionale è importata dall'estero nella percentuale già citata dell'11, 2% [4] .

Infine, per quanto riguarda la potenza installata (ovvero la potenza massima erogabile dalle centrali), l'Italia è tecnicamente autosufficiente; le centrali esistenti a tutto il 2008 sono infatti in grado di erogare una potenza massima lorda di oltre 98 G W [5] contro una richiesta massima storica di circa 57 G W [5] nei periodi più caldi estivi. Secondo i dati 2008 tale potenza massima teorica non è quindi stata sfruttata interamente e la potenza media disponibile alla punta stimata è stata di 63, 5 G W [5] . La differenza tra la potenza teorica massima e la stima della potenza media disponibile è in parte dovuta a diversi fattori tecnici e/o stagionali (tra questi vi sono guasti, periodi di manutenzione o ripotenziamenti, così come fattori idrogeologici per l'idroelettrico o stime sull'aleatorietà della fonte per l'eolico, ma anche il ritardo nell'aggiornamento delle statistiche sulle centrali), mentre in parte è dovuta anche al fatto che alcune centrali (soprattutto termoelettriche) vengono tenute ferme "a lungo termine" in quanto, come detto, con gli impianti in esercizio si è già in grado di coprire la richiesta [6] .

Nonostante le suddette situazioni contingenti e/o stagionali, vi è dunque una sovrabbondanza di impianti di produzione, già cresciuti del 28, 8% fra il 2002 ed il 2008 [6] : Terna prevede che il carico massimo in caso di "estate torrida" nel 2019 sarà pari 72 G W in uno scenario definito "di sviluppo", cioè nelle condizioni di maggior consumo e minor risparmio ed efficienza energetica [7] .

Tipologie di fonti energetiche primarie utilizzate Energie non rinnovabili
Variazioni percentuali fonti di energia non rinnovabile in Italia. Elaborazione da dati pubblicati da Terna

L' Italia non dispone di consistenti riserve di combustibili fossili e quindi la quasi totalità della materia prima utilizzata viene importata dall'estero.

Secondo le statistiche di Terna , società che dal 2005 gestisce la rete di trasmissione nazionale, la maggior parte delle centrali termoelettriche italiane sono alimentate a gas naturale (66, 3% del totale termoelettrico nel 2008), carbone (16, 5%) e derivati petroliferi (7, 4%). Percentuali minori (circa il 2, 1%) fanno riferimento a gas derivati (gas di acciaieria , di altoforno , di cokeria , di raffineria ) e a un generico paniere di "altri combustibili" (circa il 7, 6%) in cui sono comprese diverse fonti combustibili "minori", sia fossili che rinnovabili ( biomassa , rifiuti, coke di petrolio, Orimulsion , bitume e altri) [8] .

È da notare come le percentuali relative ai tre principali combustibili siano cambiate radicalmente in pochi anni (1994-2007); solo nel 1994, gas naturale , carbone e petrolio "pesavano" rispettivamente il 22%, l'11% e il 64%. Si può notare come, accanto ad un discreto aumento dell'utilizzo del carbone, ci sia stata una radicale inversione dell'importanza relativa tra petrolio e gas naturale, il cui utilizzo è cresciuto fortemente sia in termini assoluti che percentuali [9] . Oggi gran parte delle centrali termoelettriche vengono concepite in maniera di poter utilizzare più combustibili, in maniera da poter variare in tempi relativamente rapidi la fonte combustibile (sebbene negli ultimi anni moltissimi cicli combinati non possano accettare carbone o petrolio o altri combustibili diversi dal gas).

Tale politica è conseguita da considerazioni circa il costo, la volatilità dei prezzi e la provenienza da regioni politicamente instabili del petrolio; non deve inoltre essere trascurato il minor impatto ambientale del gas rispetto al petrolio, soprattutto alla luce dei dettami del Protocollo di Kyōto .

Attualmente l'Italia figura come il quarto importatore mondiale di gas naturale [10] , proveniente principalmente dalla Russia e dall' Algeria , con quote minori da Libia , Paesi Bassi e Norvegia [11] ; il potenziamento del gasdotto sottomarino Greenstream dovrebbe in futuro far crescere ulteriormente la quota di gas importata dalla Libia [12] .

Nonostante ciò, l'Italia rimane ancora oggi (dati 2006) il paese europeo (sesto al mondo) maggiormente dipendente dal petrolio per la produzione di energia elettrica [13] .

Energie rinnovabili
Variazioni percentuali delle fonti di energia rinnovabile in Italia. Elaborazione dei dati pubblicati da GSE e Terna

La maggior parte dell'energia elettrica prodotta in Italia con fonti rinnovabili deriva dalle fonti rinnovabili cosiddette "classiche". Le centrali idroelettriche (localizzate principalmente nell'arco alpino e in alcune zone appenniniche) producono il 13, 2% del fabbisogno energetico lordo; le centrali geotermoelettriche (essenzialmente in Toscana) producono l'1, 5% della potenza elettrica mentre le "nuove" fonti rinnovabili come l' eolico (con parchi eolici diffusi principalmente in Sardegna, Sicilia e nell'Appennino meridionale), sebbene in crescita, producono ancora solo l'1, 3% della potenza elettrica richiesta. Percentuali ancora minori (sebbene con forti ratei di crescita) vengono prodotte con il solare in impianti connessi in rete o isolati (circa 193 GWh nel 2008, pari a circa lo 0, 05% del totale, considerando anche il contributo del programma " Tetti fotovoltaici " e impianti in Conto energia [14] ).

Infine, negli ultimi anni è cresciuta la quota di energia elettrica generata in centrali termoelettriche o termovalorizzatori dalla combustione di biomasse , rifiuti industriali o urbani . Tale fonte (generalmente compresa nel computo generale delle "termoelettriche"), è passata da una produzione quasi nulla nel 1992 , fino a superare la quota geotermoelettrica nel 2004 , per giungere fino al 2, 2% dell'energia elettrica richiesta nel 2008 . Circa il 60% di tale aliquota è riconducibile ad energia ottenuta a partire dai cosiddetti " RSU ", mentre la parte restante è relativa agli altri scarti e rifiuti o biomassa. [15] Gli RSU, tuttavia, non sono una fonte rinnovabile, se non in parte (33% circa per la quota organica che contengono), anche se sono stati assimilati alle fonti rinnovabili così da ricevere i contributi statali relativi ( CIP6 ) [16] .

In conclusione, considerando tutti i contributi, la quota "rinnovabile" italiana giunge fino al 18, 7% della produzione totale nazionale, al 17, 6% dell'energia elettrica richiesta e al 16, 6% del fabbisogno nazionale lordo [14] .

Scambi con l'estero

Nonostante il parco centrali italiano sia in grado di coprire il fabbisogno interno sia di base che di picco, l'Italia è il secondo paese al mondo per importazione di energia elettrica (dopo la Germania e seguita dagli USA) [17] , il primo se invece si considera il saldo con l'estero [18] . L'Italia importa una quantità di potenza elettrica media che, durante l'anno, può avere un massimo giornaliero inferiore ai 4000 megawatt (fase notturna) fino ad un massimo di oltre 7500 megawatt (fase diurna), con una capacità netta trasmissibile che ha il suo minimo (3800 MW) nel mese di agosto in fase notturna e un massimo di 8000 MW in fase diurna invernale [19] , per un totale di circa 40000 GWh netti all'anno.

Va comunque menzionato che la stessa ENEL è in alcuni casi anche comproprietaria di alcuni impianti di produzione esteri; tale elettricità sarebbe dunque in questi casi ancora dell'ENEL sebbene prodotta fuori dai confini nazionali.

L'importazione non è sempre proporzionale alla richiesta, cosicché il fabbisogno energetico italiano viene sostenuto da corrente prodotta all'estero per un'aliquota che può oscillare tra meno del 10% in fase diurna fino a punte massime del 25% durante la notte. Tale importazione avviene da quasi tutti i paesi confinanti, anche se l'aliquota maggiore è quella proveniente dalla Svizzera e, a seguire, dalla Francia (è da notare, tuttavia che attraverso la Svizzera viene veicolata anche parte dell'energia francese richiesta dall'Italia [20] vista l'insufficienza degli elettrodotti diretti); considerando dunque questi due Paesi insieme, da Francia e Svizzera proviene circa il 90% di tutta l'importazione italiana di elettricità. [21] .

Parte di questa energia (in particolare circa il 40% di quella "svizzera" [20] e l'85% di quella "francese" [22] ) viene prodotta con centrali nucleari . In effetti l'importazione notturna è percentualmente molto più importante di quella diurna proprio a causa della natura della produzione elettrica con questo tipo di centrali; queste infatti hanno scarse possibilità di regolazione in base al carico e quindi l'energia prodotta durante la notte (in cui l'offerta supera di molto la domanda) ha basso costo di mercato [23] [24] . Ciò consente di fermare in Italia durante la notte le centrali meno efficienti e le centrali idroelettriche a bacino e di attivare le stazioni di pompaggio idriche che poi possono "rilasciare" nuovamente energia durante il giorno. Questo meccanismo ha reso economicamente conveniente l'importazione di energia dall'estero, da cui il grande sviluppo del commercio di energia negli ultimi anni.

Dai dati pubblicati da Terna riguardanti il 2008 si ricava infne che l'energia elettrica importata è diminuita leggermente rispetto al 2007 (circa il 13, 5% in meno), a fronte di un incremento della produzione nazionale, in particolare per quanto riguarda la fonte idroelettrica [25] .

Problematiche Costo


Mercato elettrico italiano
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Gestore Servizi Elettrici
Gestore dei Mercati Energetici
Acquirente Unico
Borsa elettrica




Secondo dati riferiti al gennaio 2007, in Italia la corrente elettrica per uso domestico ha il costo medio, al netto della tassazione, più alto di tutta l'Unione Europea (165, 8 €/MWh); il costo medio europeo si attesta infatti attorno ai 117-120 €/MWh con un minimo in Bulgaria pari a 54, 7. Includendo la tassazione, l'Italia passa - sempre in media - al secondo posto, preceduta solo dalla Danimarca e seguita da Paesi Bassi, Germania e Svezia [26] .

Il reale costo ai consumatori finali dell'elettricità è tuttavia un valore che non è quantificabile in un unico numero: infatti esso dipende fortemente dal consumo annuale per contratto: ad esempio, per consumi fino a 1800 KWh l'Italia risulta uno dei paesi più economici, mentre le tariffe più elevate si riscontrano per consumi oltre i 3540 kWh, allo scopo di disincentivare gli elevati consumi.

Le ragioni di tale costo sono dovute a molti fattori, in parte produttivi ed in parte relativi ai meccanismi di mercato e alla distribuzione: va infatti sottolineato che il puro "costo di produzione" (già inclusi i guadagni del produttore) incide per poco più della metà del costo finale all'utente (~56% nel 3° trimestre 2008, periodo in cui petrolio e gas erano ai massimi storici, e 51% nel 1° trimestre 2009). [27]

Per quanto riguarda il costo di produzione esso è determinato da diversi aspetti; tra questi va tenuto in conto il "mix energetico" (cioè il tipo di fonte utilizzata dalla centrale - gas naturale, carbone, nucleare, idroelettrica, ecc.), ma anche l'età e l'efficienza delle centrali, il tasso d'utilizzo degli impianti, hanno impatti significativi.

Costo del kWh elettrico per diverse fonti di produzione, negli anni 2002 e 2007 (in centesimi di dollaro USA), secondo uno studio del MIT del 2009.

Per quanto riguarda le fonti, è noto che l'idroelettrico sia una delle modalità di produzione più economiche. Viceversa il gas viene spesso considerato fra le fonti più costose, mentre carbone e nucleare sarebbero più economiche: tuttavia non esiste unanimità di vedute in ambito tecnologico e tali valutazioni possono essere smentite da diversi studi. Ad esempio, riguardo la convenienza della generazione da fonte nucleare, si nota che anche paesi privi di centrali nucleari hanno costi dell'elettricità inferiori all'Italia (dal 25 al 45%) [28] , pertanto, la presenza o meno di impianti nucleari non influirebbe in maniera sostanziale sul prezzo finale al pubblico.

A tal proposito, uno studio del Massachusetts Institute of Technology [29] ha evidenziato che gas e carbone hanno costi piuttosto simili ed inferiori a quelli della fonte nucleare, a meno che quest'ultima fonte non venga favorita con prestiti agevolati e tassando gas e carbone, situazione in cui i costi delle tre modalità produttive si avvicinano. Ciò vale per impianti nuovi, in linea con le esigenze di sicurezza e tutela ambientale odierne: l'uso di carbone in vecchi impianti risulta più economico del metano a fronte però di un aumento dell'inquinamento. In Europa infatti la percentuale d'uso del carbone è significativamente superiore a quella italiana, avendo molti stati europei (in primis Germania e Polonia ) notevoli riserve di carbone [30] : questo spiega in parte il maggior costo di produzione (ma anche la minor produzione di CO 2 ) italiano.

Anche il tasso d'utilizzo delle centrali ha sicuramente un impatto sul costo di produzione: come spiegato, il parco centrali italiano è sfruttato solamente per circa i due terzi: le rimanenti centrali, costituiscono di fatto un costo in termini di capitale investito ma improduttivo, che viene dunque "spalmato" sui costi produttivi delle altre centrali.

Rientra nella formazione del costo anche l'inefficienza del sistema trasmissivo , concepito negli anni '60 come monodirezionale e "passivo": ciò significa che non è in grado di gestire flussi produttivi provenienti da tanti piccoli impianti né di gestire dinamicamente i carichi (riducendo quindi la differenza fra carico di punta e di base). È inoltre particolarmente insufficiente e congestionato specie al sud. [31]

Per quanto riguarda poi il prezzo all'ingrosso , esso è influenzato anche dai meccanismi di mercato della borsa elettrica, dove l'incontro fra domanda ed offerta porta ad allineare il prezzo finale ai livelli massimi anziché a quelli minimi (si veda la voce " Borsa elettrica " per dettagli).

Il costo finale all'utenza è influenzato infine anche da altri parametri: tra questi sicuramente l'elevata tassazione (in Italia seconda solo a quella sulle materie petrolifere). Ad esempio circa il 7% delle bollette è costituito dai prelievi CIP6 , formalmente introdotti per finanziare le energie rinnovabili, ma in pratica utilizzati in gran parte - in violazione delle normative europee - per finanziare l'incenerimento di rifiuti urbani o la combustione di scarti di raffineria. Esistono poi una tassa erariale di consumo e una addizionale provinciale: per il settore produttivo, secondo una ricerca di Confartigianato, la tassazione sarebbe particolarmente elevata: un'impresa che consuma 160 MWh all'anno paga il 25, 4% di tasse sui suoi consumi elettrici, contro una media europea del 9, 5%; tuttavia sopra una certa soglia di consumi per usi produttivi, sia la tassa erariale che l'addizionale si azzerano, creando paradossalmente situazioni per cui i consumi maggiori godono di tassazioni inferiori. [32]

Dipendenza

Considerando sia i combustibili sia l'energia elettrica importata, l'Italia dipende dall'estero per circa l'81% della propria energia elettrica per l'anno 2008. Tale valore viene dato dalla quota di generazione termoelettrica (fatto salvo i contributi relativi a combustibile nazionale, combustione di biomasse e rifiuti), più gli scambi di energia con l'estero.

Tuttavia, va osservato che, anche modificando il mix energetico, non sono possibili sostanziali variazioni di questa percentuale: che si parli di carbone, petrolio, uranio [33] o metano, le riserve italiane sono comunque molto inferiori al reale fabbisogno, per cui l'approvvigionamento avverrebbe comunque principalmente dall'estero. In pratica, l'unica modalità di generazione dell'energia che potrebbe realmente considerarsi "interna" è quella che fa affidamento sulle fonti rinnovabili.

Questa situazione è comune alla gran parte dei paesi europei, dipendenti comunque da paesi extraeuropei per l'importazione di idrocarburi o uranio.

Complessivamente, la bolletta energetica italiana (cioè il costo complessivo sostenuto dal paese per le importazioni nette di prodotti energetici) nel 2005 è stato pari a 38, 5 miliardi di euro. A titolo di paragone, nello stesso periodo la bolletta energetica francese netta è stata pari a 37, 5 miliardi, ma con una dipendenza estera del 52% circa [34] dalla quale sono tuttavia escluse le importazioni di uranio, considerato come "materia prima" mineraria e non come "energia primaria" e quindi escluso dal computo della dipendenza estera. Includendo anche le importazioni di uranio, la dipendenza estera francese sale a livelli paragonabili a quella dei restanti paesi della UE. [35]

Storia della produzione di energia elettrica in Italia
Riepilogo storico variazioni percentuali fonti di energia in Italia. Elaborazione da dati pubblicati da Terna
Gli inizi


I primi impianti di generazione elettrica italiani (sul finire del XIX secolo ) furono centrali termoelettriche a carbone situate all'interno delle grandi città. La prima centrale in assoluto fu costruita appunto a Milano.

In seguito, lo sviluppo della rete di trasmissione nazionale permise lo sfruttamento del grande bacino idroelettrico costituito dalle Alpi , e grazie all'energia idroelettrica (unica fonte nazionale e a buon mercato ) fu possibile un primo timido sviluppo industriale italiano. Le caratteristiche della risorsa idroelettrica diedero anche per un certo periodo l'illusione che l'Italia potesse essere indefinitamente autosufficiente dal punto di vista energetico (talvolta anche con eccessi retorici sul "carbone bianco delle Alpi" ).

Inoltre, nel 1904 , veniva costruita a Larderello la prima centrale geotermoelettrica del mondo. Tale fonte continua a dare il suo contributo anche oggi, sebbene, a causa della limitatezza delle aree interessate, tale contributo non abbia mai superato l'8% della richiesta nazionale.

Dopo la Seconda guerra mondiale apparve chiaro che la risorsa idroelettrica non poteva più tenere il passo con le richieste dell'industrializzazione e quindi l'Italia dovette sempre più (anche a causa del basso costo del petrolio in quel periodo) affidarsi a nuove centrali termoelettriche.
Il potenziale idroelettrico fu quasi completamente sfruttato negli anni cinquanta finché, anche a causa di enormi disastri ambientali (come la strage del Vajont ), non fu del tutto abbandonata la costruzione di nuove centrali di questo tipo.

La nazionalizzazione e la crisi petrolifera


Fin dall'inizio della sua storia, la produzione dell'energia elettrica in Italia era sempre stata affidata all'impresa privata (ove si escludano alcuni tentativi parziali di controllo statale nel periodo fascista); il 27 novembre 1962 la Camera approvava il disegno di legge sulla nazionalizzazione del sistema elettrico e l'istituzione dell' ENEL ( Ente Nazionale per l'Energia Elettrica ), cui venivano demandate " tutte le attività di produzione, importazione ed esportazione, trasporto, trasformazione, distribuzione e vendita dell'energia elettrica da qualsiasi fonte prodotta ". In base a ciò anche produttori "storici" (come " SIP " - Società Idroelettrica Piemonte, " Edison ", " SADE ", SME ) dovevano vendere le loro attività al nuovo soggetto; venivano esclusi dal provvedimento solo gli autoproduttori e le aziende municipalizzate cui rimasero lo stesso quote marginali del mercato. In definitiva, l'ENEL si trovò ad assorbire le attività di oltre 1000 aziende elettriche.

La scelta della nazionalizzazione (all'alba della cosiddetta " stagione del centro-sinistra ") sembrava allora essere l'unica possibilità di soddisfare la crescente domanda di energia, in un contesto di sviluppo uniforme ed armonico dell'intero Paese.

Riepilogo storico della produzione di energia in Italia. Elaborazione da dati pubblicati da Terna

Il nuovo periodo che si stava aprendo per l'ENEL e per il Paese sarebbe stato caratterizzato da grandi trasformazioni sia per quanto riguarda la rete di trasmissione che la produzione di energia; basti pensare che negli anni sessanta la produzione di energia elettrica italiana cresceva a un ritmo di circa l'8% annuo, contro lo scarso 2% attuale. Questa crescita avvenne in gran parte grazie allo sviluppo della fonte termoelettrica, facilitato dai bassi prezzi del petrolio tipici di quel decennio.

Tale tendenza venne bruscamente interrotta dalle crisi petrolifere del 1973 e del 1979 ; negli anni settanta e ottanta , accanto a una temporanea contrazione della produzione causata dalla crisi economica conseguente allo "shock petrolifero", si ebbe un primo tentativo di diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico; in tale ambito si collocano sia una leggera ripresa dell'utilizzo del carbone, sia la crescita dell'acquisto di energia dall'estero.

Ma negli anni settanta la vera e propria "scommessa" fu quella nei confronti dell'energia nucleare: è del 1975 il varo del primo piano energetico nazionale che prevedeva, tra l'altro, un forte sviluppo di tale fonte.

L'Italia aveva cominciato lo sfruttamento della fonte nucleare già dai primi anni sessanta (nel 1966 l'Italia figurò addirittura come il terzo produttore al mondo, dopo USA e Regno Unito ) ma fu sul finire degli anni '70 che venne effettuata una decisa svolta in questa direzione: alle vecchie centrali del Garigliano e Trino Vercellese si affiancarono (o si cominciarono a costruire) Caorso , Montalto di Castro e la seconda centrale di Trino (per quest'ultima fu solo individuato e terraformato il sito, poi impiegato per la costruzione di un impianto a ciclo combinato da 700 MW, entrato in funzione nel 1997).

Tuttavia, nel 1987 , dopo la forte impressione creata nell'opinione pubblica dal disastro nucleare in Unione Sovietica ( Disastro di Černobyl' ), l'Italia, con votazione tramite referendum, abbandonò di fatto lo sviluppo della fonte nucleare, chiudendo o riconvertendo le centrali esistenti.

Il presente

Lo scenario del mercato dell'energia è cambiato nuovamente agli inizi degli anni novanta : nel 1992 l'ENEL diventa una società per azioni , anche se con il Ministero del Tesoro come unico azionista; poi, il 19 febbraio 1999 viene approvato il decreto legislativo di liberalizzazione del mercato elettrico, anche detto decreto Bersani , che recepisce una direttiva europea in tal senso. Lo scopo è quello di favorire il contenimento dei prezzi finali dell'energia in un regime di concorrenza, ma in realtà i meccanismi della borsa elettrica per i prezzi all'ingrosso vanno nella direzione diametralmente opposta.

Nuovi soggetti possono tornare ad operare nel campo della produzione di energia elettrica; le attività di ENEL che devono essere dismesse sono divise tra tre società (dette " GenCo ": Eurogen , Elettrogen ed Interpower ) che vengono messe sul mercato.

Dal punto di vista dell'approvvigionamento, l'aumento della richiesta di energia dell'ultimo decennio, nonché le sempre maggiori incertezze economiche e geopolitiche legate all'utilizzo del petrolio hanno costretto i produttori ad intensificare gli sforzi nella ricerca di diversificazione delle fonti. A seguito di valutazioni economiche dettate dal costo delle materie petrolifere, costi sociali nell'uso del carbone (il cui utilizzo pure è in leggera crescita) e dall'abbandono del nucleare, le soluzioni adottate sono state essenzialmente due:

  • la sostituzione al petrolio del gas naturale come combustibile delle centrali termoelettriche, considerato un combustibile con oscillazioni di prezzo inferiori a quelle del petrolio, maggiore disponibilità e provenienza da aree meno instabili politicamente;
  • è stata ulteriormente perseguita la politica di importazione di energia dall'estero, in particolare dalla Francia e dalla Svizzera , nazioni che durante la notte (periodi off-peak ) hanno forti eccedenze di produzione che svendono a basso prezzo).

Si noti tuttavia che oggi, come spiegato più sopra, la potenza installata (cioè il numero e la potenza delle centrali) è di gran lunga sufficiente a coprire i consumi della nazione; le centrali sono infatti in grado di fornire una potenza massima teorica di oltre 98 GW (con una potenza media disponibile di 63, 5 GW) [6] , contro una richiesta massima storica di circa 57 GW nei periodi più caldi estivi.

Con la delibera n. 6 del 1992 ( CIP6 ) il Comitato Interministeriale Prezzi ha stabilito una maggiorazione del 6% del prezzo finale dell'energia elettrica a carico del consumatore. I ricavi provenienti da questo sovrapprezzo vengono utilizzati in parte per promuovere la ricerca e gli investimenti nel campo delle energie rinnovabili ed assimilate; l'attenzione maggiore è andata tuttavia all' incenerimento di rifiuti, in passato assimilato alle fonti rinnovabili [36] .

Grazie a tali incentivazioni, nonché ad una forte riduzione dei costi tali fonti (in particolare per l' energia eolica , attualmente competitiva con le altre fonti), si sono accese alcune aspettative su questo fronte, sebbene il contributo della fonte eolica sia al momento ancora pari a poco più dell'1% circa dell'energia richiesta e quella del solare (in particolare fotovoltaico) si limiti a quote ancor più marginali.