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Bancarotta da escludere dopo la scissione

Con sentenza n. 45031 del 22 dicembre 2010, la Corte di cassazione, Quinta sezione penale, ha rigettato il ricorso presentato dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Udine avverso la decisione di non luogo a procedere disposta dal Gip nei confronti degli amministratori di una società a cui era stata contestata la bancarotta fraudolenta impropria conseguente al fallimento della società medesima.

Nella specie, era stata posta in essere una complessa operazione societaria di scissione di un originario organismo in due entità; per il Pm, il successivo fallimento di una di queste derivava proprio da tale operazione, operazione dallo stesso censurata come condotta di distrazione e come operazione dolosa ex articolo 223 comma 2 n. 2 della Legge fallimentare. Di fatto, la società fallita, in base al progetto di scissione, non risultava proprietaria di beni immobili, rimasti all'altra società.

Per la Corte, tuttavia, il lasso di tempo intercorso tra il perfezionamento della manovra societaria ed il fallimento (sei anni) lasciava “seri dubbi che vi sia mai stato un reale rischio di pregiudizio alle aspettative della massa dei creditori” i quali – continuano i giudici di legittimità – mai si opposero a tale operazione.

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