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Contratti a termine, la riforma irrigidisce il mercato

Contratti a termine, la riforma irrigidisce il mercato

La dimenticanza della preventiva comunicazione dell’eventuale proseguimento del contratto a termine comporterà l’automatica conversione del rapporto a tempo interminato.

Questo è solo uno degli effetti distorsivi contenuti nel disegno di legge sulla riforma del lavoro che ha iniziato l’iter parlamentare da alcuni giorni. I Consulenti del lavorohanno evidenziato alcune criticità sulla nuova impostazione della norma.

L’introduzione della comunicazione obbligatoria del datore di lavoro al centro per l'impiego, da effettuare prima del termine, non è comprensibile nella sua finalità. Introdurre una comunicazione preventiva alla scadenza del contratto, oltre a prevedere l'ennesimo adempimentoi cui obiettivi risultano poco chiari. Oggi la norma in vigore, fondandosi proprio sulla possibile dimenticanza del termine da parte del datore di lavoro, ne agevola l’iter, seppur con le maggiorazioni retributive, è possibile proseguire il rapporto per alcuni giorni senza incorrere in sanzioni.

La riforma prevede anche un aumento dei limiti temporali e la conversione del rapporto in tempo indeterminato in ipotesi di superamento di tali limiti.

In un quadro annunciato di riduzione delle tipologie contrattuali esistenti, la norma introduce sostanzialmente una nuova tipologia contrattualecostituita dal contratto a tempo determinato di durata non superiore a 6 mesi per la quale trova applicazione una disciplina specifica.

Ad essa infatti, non si applica la causale che giustifica l'apposizione del termine e l'istituto della proroga. Volendo superare i 6 mesi dal primo contratto è necessario apporre la causale.

L’art. 3, comma 3 del DDL, interviene modificando la legge n. 183/10 in cui si fissano i termini per l’impugnativa della nullità del termine e per l’avvio dell’azione giudiziaria.

Se da un lato l’azione legislativa appare supportata da una corretta motivazione, dall’altro lato, la modifica introdotta non risolve affatto la distorsione evidenziata dal legislatore, ma si limita ad introdurre una ulteriore eccezione alle regole generali che producono confusione agli operatori del diritto.

Infatti, per ripristinare un giusto equilibrio di interessi tra le parti sarebbe stato sufficiente, nel caso di successione illecita dei contratti a termine tra lo stesso lavoratore e datore di lavoro (o azienda del gruppo), far decorrere i termini decadenziali di cui alla legge n. 183/10, dall’ultimo contratto a termine stipulato tra le parti e non da ciascun contratto.

Peraltro, il comma 4 stabilisce che le nuove disposizioni “trovano applicazione in relazione alle cessazioni di contratti a tempo determinato verificatesi a decorrere dal 1° gennaio 2013”.

Nel consegue che si complicano in modo rilevante i termini decadenziali in vigore che, salvo ulteriori modifiche, sono i seguenti:

- fino al 31 dicembre 2011, si applicano i termini vigenti prima della riforma introdotta dalla legge n. 183/2010;

- dal 1 gennaio 2012 al 31 dicembre 2012, si applicano i termini stabiliti dalla riforma introdotta dalla legge n. 183/2010;

- dal 1 gennaio 2013, solo con riferimento alle azioni di nullità del termine, si applicano i nuovi termini stabiliti dal DDL di riforma del mercato del lavoro.



Condivisa l’opportunità di perseguire e limitare l’utilizzazione distorta delle forme contrattuali “atipiche”, non si comprende il carattere penalizzante a priori della eccessiva onerositàche si deduce per il contratto di lavoro a termine, che risulta sottoposto ad oneri accessori destinati agli ammortizzatori sociali (+ 1, 4%degli oneri contributivi destinati al finanziamento dell’ASPI). Tale scarsissima appetibilità che conseguirebbe per l’istituto appare affatto compensata dalla prospettiva di una restituzione pari a sei mesi del trattamento di sostegno al reddito: vengono introdotti nuovi costi (immediati e certi), teoricamente bilanciati da rimborsi parziali (futuri ed eventuali).

In più non può accettarsi l’equazione meccanicistica flessibilità = elusione = sanzione, che risulta avulsa dal contesto concreto e penalizzante per tutta la platea dei contratti a termine genuini.

Quello sui contratti a termine è un altro intervento potenzialmente scatenante un aumento del numero dei disoccupati la cui penalizzazione rende rigido il mercato e non incentiva i datori di lavoro ad assumere. Da un'indagine della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro l'80% degli imprenditori intervistati non intende più dare seguito a questa forma di contratto, a causa dell'aumento dei costi e delle introdotte rigidità. È dunque indispensabile intervenire con modifiche dando spazio a maggiore flessibilità, specialmente nell'individuazione dei casi di esonero dal periodo di inibizione della riassunzione dei lavoratori a termine.

Leggi la tabella di sintesi sulla riforma

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