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Niente condanna per la mamma che, in buona fede, fa circoncidere il figlio da un "profano"

Con la sentenza n. 43646 del 24 novembre 2011, la Corte di cassazione ha annullato, senza rinvio, la decisione con cui i giudici di merito avevano dichiarato una cittadina nigeriana colpevole di concorso nel delitto di cui all’articolo 348 Codice penale – esercizio abusivo della professione - per aver fatto sottoporre il proprio figlio neonato ad un intervento di circoncisione da parte di soggetto non abilitato all’esercizio della professione medica; ne era conseguito che il bimbo, poche ore dopo l’intervento subito, aveva avuto una imponente emorragia, che ne aveva imposto il ricovero d’urgenza in ospedale per gli interventi terapeutici del caso.

Secondo i giudici di legittimità, in particolare, era da considerare come dato obiettivo incontestabile “il difettoso raccordo che si determina tra una persona di etnia africana, che, migrata in Italia, non è risultata essere ancora integrata nel relativo tessuto sociale, e l’ordinamento giuridico del nostro Paese”. Tale situazione, del resto, non può, a giudizio della Suprema corte “risolversi semplicisticamente a danno della prima, che, in quanto portatrice di un bagaglio culturale estraneo alla civiltà occidentale, viene a trovarsi in una oggettiva condizione di difficoltà nel recepire, con immediatezza, valori e divieti a lei ignoti”.

Era dunque da considerare come "errore scusabile" quello commesso dalla donna nel non ricorrere a un medico per far circoncidere il figlio neonato provocandogli una grave emorragia. Oltre all’ignoranza, la mamma doveva ritenersi scusata in considerazione della sua buona fede manifestata nel momento in cui, portando immediatamente il bambino in ospedale, aveva riferito senza alcuna reticenza o timore quanto era accaduto.


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