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Il comportamento antisindacale nel trasferimento d'azienda


In un’operazione di trasferimento d’azienda, o di ramo d’azienda, che occupi più di 15 dipendenti, il mancato rispetto da parte del cedente o del cessionario degli obblighi di comunicazione ai sindacati, ex articolo 47 della legge 428/1990, realizza una condotta antisindacale (articolo 28 della legge 300/1970). Si chiede alla Fondazione studi dei consulenti del lavoro, che forniscono risposta con il parere 22 del 4 ottobre 2011, quali siano le conseguenze del provvedimento scaturito dal comportamento antisindacale. Il provvedimento può compromettere, attraverso l’ordine di “cessazione del comportamento illegittimo” e di “rimozione degli effetti” (art.28, co. 1), la validità dell’operazione o incidere sulle singole vicende individuali dei lavoratori?

Nel parere si spiega che l’orientamento della giurisprudenza presenta una dicotomia.

L’orientamento maggioritario (es. Cassazione 4 gennaio 2000, n. 23) non ritiene che l’osservanza delle procedure sindacali costituisca un presupposto di legittimità e quindi un requisito di validità del trasferimento. Al giudice è affidato il compito, prima che la cessione sia definitiva, di ordinare alle parti di eseguire l’informativa omessa e di dare luogo alla consultazione con le organizzazioni sindacali con conseguente slittamento temporale del trasferimento d’azienda. Pertanto la violazione dell’obbligo di informativa alle OO.SS. non determina la nullità del contratto di cessione, ma solo la sua temporanea inefficacia per il tempo necessario al rinnovo della procedura.

Un orientamento minoritario di merito (es. Pret. Lodi 28 luglio 1995), invece, riconosce alla procedura, ex articolo 47 della legge 428/1990, un requisito di validità del trasferimento: la violazione genera la nullità dello stesso negozio traslativo. Ovviamente la nullità inciderebbe anche sui contratti individuali di lavoro (non perfezionandosi la sostituzione soggettiva del cessionario al posto del cedente, questi rimane titolare del rapporto).

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