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Anche per la consulenza finanziaria degli avvocati sono dovuti i contributi alla cassa forense

Con sentenza n. 8835 depositata in cancelleria lo scorso 18 aprile, la Corte di cassazione, sezione lavoro, ha accolto il ricorso presentato dalla Cassa di previdenza avverso la decisione con cui i giudici di merito avevano “aprioristicamente ed erroneamente” escluso ogni ipotesi di collegamento tra le attività di consulenza finanziaria svolta da un avvocato rispetto alla sua professione legale, finendo di consentire a quest'ultimo “di avvalorare la sua tesi di non imponibilità dei redditi e dei volumi d'affari prodotti nel periodo in contestazione”.

La vicenda prendeva le mosse dalla notifica di una cartella esattoriale ad un legale che non aveva versato alla Cassa forense dei contributi per gli anni dal 1987 al 1989. L'avvocato si era opposto alla stessa sull'assunto che le somme percepite in tali anni erano riferibili ad un'attività di consulenza finanziaria non riconducibile, quindi, alla professione legale.

Diversa l'opinione dei giudici di legittimità, secondo cui l'attività di consulenza finanziaria deve comunque considerarsi come connessa a quella della professione di avvocato con la conseguenza che i relativi redditi e volumi d'affari vanno assoggettati a contribuzione. Tale connessione risulta rilevante in considerazione del fatto che, nell'attuale contesto sociale, la professione tende ad espandersi a molteplici campi di assistenza contigui per ragioni di affinità. Per contro, dal volume di affari prodotto dai legali vanno escluse tutte quelle altre attività che, “pur non essendo incompatibili, non hanno nulla in comune con l'esercizio della professione”.

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