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I doveri dello psicologo e i diritti del cliente



Quali i limiti da rispettare nell'esercizio della professione psicologica?
Nel 1998, in seguito all´approvazione del Codice Deontologico, vengono per la prima volta stabilite le regole di comportamento cui lo psicologo deve attenersi nel corso della sua attività professionale. Occorre intendere l´insieme degli articoli ivi presenti non solo come norme da rispettare (per le trasgressioni più gravi la pena è la radiazione dall´albo professionale) ma, più in generale, come bussola che lo psicologo dovrebbe seguire per orientare le proprie scelte e comportamento.

Non a caso si parla di tutela del professionista psicologo e del suo ruolo ma anche e soprattutto di tutela dei diritti del cliente, da cui derivano le regole di correttezza professionale quali:
- il segreto professionale,
- il divieto di trarre vantaggi che vadano oltre al compenso pattuito,
- l´obbligo di fornire una corretta informazione circa le prestazioni fornite, oltre alle responsabilità nei confronti di una società all´interno della quale lo psicologo ha il dovere di utilizzare le sue conoscenze per promuoverne il benessere psicologico.

In alcuni passaggi del Codice Deontologico sembra si voglia delineare uno stile di vita cui lo psicologo dovrebbe auspicare, ispirato ai criteri di decoro professionale, serietà scientifica e tutela dell'immagine personale. A tal proposito l´articolo 3 recita: "Lo psicologo considera suo dovere accrescere le conoscenze sul comportamento umano ed utilizzarle per promuovere il benessere psicologico dell´individuo, del gruppo e della comunità".

L'immagine che emerge è quella di una persona capace di guardare il mondo con laicità intellettuale, proponendosi e relazionandosi con le persone che lo circondano attraverso i valori della tolleranza e del rispetto per le loro sofferenze, un uomo che considera proprio dovere “ …aiutare il pubblico e gli utenti a sviluppare in modo libero e consapevole giudizi, opinioni e scelte. ” (art. 39).

Più in dettaglio vi sono una serie di regole cardine che lo psicologo deve osservare all'interno di una relazione terapeutica, al fine di tutelare l'utente che si rivolge al professionista. In particolare mi sembra utile sottolineare le seguenti regole:

- Lo psicologo è strettamente tenuto al segreto professionale (art. 11), pertanto non può rivelare notizie apprese in ragione del suo rapporto professionale nemmeno in un'eventuale testimonianza processuale (a meno di un'esplicita richiesta da parte dell'imputato).
Fanno eccezione a questa regola le notizie conosciute accidentalmente in ambiti differenti da quello professionale, oppure in caso di situazioni che prospettino gravi pericoli per la vita o per la salute psicofisica del soggetto e/o di terzi (art. 13). Si pensi a questo proposito il caso di un paziente che confessi al terapeuta di voler uccidere la propria fidanzata: se lo psicologo dovesse valutare questa minaccia come concretamente possibile dovrà riferirlo alle autorità competenti. Lo psicologo non potrà, invece, riferire fatti per i quali il paziente possa essere esposto a procedimento penale nel caso in cui valuti non sussistere pericolo di vita per terzi (se, ad esempio, ammettesse di essere stato complice nel commettere un reato, il referto non dovrà essere stilato perché lo esporrebbe ai rigori della Legge penale).

- Lo psicologo evita di effettuare interventi diagnostici, di sostegno psicologico o di psicoterapia rivolti a persone con le quali ha intrattenuto o intrattiene relazioni significative di natura personale (art. 28). La ragione di questo divieto risiede nel fatto che all'interno del contesto relazionale psicoterapico le relazioni personali possono provocare una distorsione dell'immagine del paziente, portando così a diagnosi erronee. La prestazione del clinico potrebbe, in effetti, essere influenzata dalla familiarità col soggetto, con conseguente scarsa obiettività nel giudizio.
Appare quindi superfluo puntualizzare il perché del divieto assoluto di frequentare fuori dal setting professionale i propri pazienti, ed in particolare di avere con loro rapporti sessuali: mentre l'American Psychological Association li proibisce fino a due anni dalla conclusione del rapporto di lavoro (in linea di massima li vieta ad infinitum salvo circostanze speciali), il nostro codice preferisce non esprimersi in merito a limiti temporali.

- E' proibito accettare compensi che non rientrino in quanto pattuito ad inizio terapia (art. 30). Questo divieto si riferisce in primis a doni che siano convertibili in una qualche forma economico-finanziaria quali oggetti di valore o prestazioni professionali, ma non si pronuncia chiaramente sul come comportarsi in caso di doni di carattere simbolico (fiori, cioccolatini, libri, ecc.), i quali a mio parere potrebbero essere segno dello svilupparsi di una buona alleanza terapeutica o comunque di un rapporto di riconoscenza, il cui rifiuto da parte del terapeuta potrebbe far nascere sentimenti di non accettazione nel paziente.

Gli articoli contenuti nel codice deontologico vengono sottoposti a revisione periodica per mezzo degli iscritti per poi essere approvati tramite referendum. Questa procedura testimonia un'assunzione di responsabilità da parte dei votanti, il che equivale al riconoscimento delle regole contenute nel codice stesso come proprie e legittime.