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Elementi costitutivi del contratto di lavoro subordinato

IL CONTRATTO DI LAVORO SUBORDINATO: ELEMENTI COSTITUTIVI

Partendo dall’origine del rapporto intercorrente tra le parti, basato sullo scambio tra attività lavorativa ( prestazione ) contro una erogazione in denaro ( contro prestazione ), in dottrina si è a lungo discusso sulla sua natura contrattuale.

La dottrina contrattualistica tuttavia, sulla scorta dei principali indici rinvenibili nella disciplina codicistica, è rimasta nettamente maggioritaria, ed ha potuto ribattere che una più o meno intensa compressione dell’autonomia contrattuale nella scelta dell’altro contraente e nella disciplina del rapporto non significa superamento del contratto; infatti la prospettiva contrattuale esprime bene la natura conflittuale della relazione di lavoro e si salda con la coscienza fortemente contrattualistica della nostra tradizione civilistica.

Il contratto di lavoro si differenzia, quindi, dagli altri schemi negoziali di scambio per la rilevanza giuridica che, sul piano della causa del contratto, cioè della funzione tipica, è attribuita al profilo organizzativo, vale a dire alla destinazione del rapporto a svolgersi nell’organizzazione di lavoro, quale elemento costitutivo della stessa.

La giurisprudenza, da tempo, suole far largo uso delle presunzioni al fine della piena applicazione della disciplina, ogni qual volta si trovi di fronte ad una prestazione di attività lavorativa, procedendo mediante un criterio di ricostruzione logica del rapporto riconducendo in modo agevole al contratto la “ prestazione di fatto “ e applicando lo schema della manifestazione di volontà per fatti concludenti.

Tale schema è consentito ai giudici dalla regola generale di libertà di forma nella stipulazione del contratto di lavoro ( art. 2126 c.c. ).

Il contratto di lavoro, come ogni contratto tipico, previsto dal nostro codice, prevede ai fini della validità la sussistenza: del consenso delle parti, della causa, dell’oggetto e della forma.

A) Il consenso delle parti non può prescindere dalla capacità di queste a concludere il contratto. In questo senso si devono distinguere la capacità giuridica speciale dalla capacità d’agire.

Con la prima si identifica la disciplina particolare che fissa i requisiti d’età per l’accesso al lavoro, attualmente pari a 15 anni ( art. 3, 1° comma, “ 17 ottobre 1967, n. 977 “ ).

Tale età minima è abbassata a 14 anni in agricoltura e nei servizi familiari, se compatibile con le esigenze particolari di tutela della salute e non comporti trasgressione dell’obbligo scolastico.

Con la seconda si individua la capacità di stipulare il contratto di lavoro da parte del soggetto provvisto dell’età minima di ammissione al lavoro.

Tale limite coincide con il 18° anno, quindi il minore, pur avendo titolo ad essere parte del rapporto di lavoro, non ha la capacità di agire e quindi gli atti di riscossione del salario, di rilascio delle quietanze e qualunque altra manifestazione di volontà o scienza che importi disposizioni di diritti, possono essere effettuate solo dal suo rappresentante legale.

B) L’oggetto del contratto di lavoro subordinato corrisponde all’attività che il lavoratore deve prestare a favore del datore di lavoro.

Come per i contratti in generale l’oggetto deve essere: determinato o determinabile, possibile e lecito.

Con riferimento alla causa del contratto di lavoro subordinato questa corrisponde allo scambio tra la prestazione del lavoratore e la retribuzione erogata dal datore di lavoro.

La causa di per sé, affinché l’accordo sia valido, deve essere lecita ovvero non deve essere contraria all’ordine pubblico e al buon costume e deve essere conforme alla legge.

La competenza dell’art. 2126 e l’eccezionale regime da esso stabilito in ordine alle conseguenze della nullità e dell’annullamento del contratto di lavoro non opera nel caso di illiceità dell’oggetto o della causa; infatti in tal caso il prestatore di lavoro potrà invocare esclusivamente la disciplina di diritto comune sull’ingiustificato arricchimento.

Solo qualora l’illiceità dipende dalla “ violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro “ ( art. 2126, 2° comma ), questi avrà comunque diritto alla retribuzione pattuita.

Per comune affermazione giurisprudenziale l’ipotesi di illiceità dell’oggetto o della causa ricorre non già in ogni caso di contrarietà con norme imperative di legge bensì “esclusivamente“ nei casi in cui il contratto stesso sia contrario ai principi di ordine pubblico strettamente intesi e cioè a quelli etici fondamentali dell’ordinamento giuridico.

L’ipotesi della illiceità viene pertanto esclusa ( con conseguente applicazione dell’art. 2126 ) in tutti i casi in cui difetti nel prestatore di lavoro il requisito dell’abilitazione professionale o dell’autorizzazione amministrativa prescritta, per lo più con corredo di sanzione penale, quale attestazione, nel pubblico interesse, della capacità professionale o dell’idoneità morale allo svolgimento di certe particolari attività.

La dottrina per lo più perviene al medesimo risultato ma con giustificazioni diverse, che riguardano sia l’abilitazione ed autorizzazione considerate alla stregua di particolari elementi eccezionalmente integrativi della capacità giuridica del lavoratore, sia la prestazione che può dirsi illecita ai sensi dell’art. 1346 c.c “ solo quando corrisponda a un tipo di attività illecita quando, cioè, è illecita in considerata, secondo il suo contenuto tipico “.

Tale indirizzo interpretativo mostra di ritenere inoperante nell’area del lavoro subordinato il precetto contenuto nell’art. 2231, 1° comma, c.c., secondo cui “ quando l’esercizio di un’attività professionale è condizionato all’iscrizione in un albo o elenco, la prestazione eseguita da chi non è iscritto non gli dà azione per il pagamento della retribuzione “.

C) Forma del contratto di lavoro subordinato.

La legge, non prescrive, per il contratto di lavoro, alcuna forma con la conseguenza che vige il principio generale della libertà di forma.

Invero alcuni contratti collettivi prescrivono la stipulazione del contratto di lavoro in forma scritta.

Tale previsione è sicuramente posta nell’esclusivo interesse ed a garanzia del lavoratore, affinché egli abbia un puntuale strumento di conoscenza e di prova del contenuto del contratto stipulato.

L’attuale normativa prescrive che al lavoratore, contestualmente all’inizio dell’attività lavorativa, venga consegnata una lettera ove siano riportate le informazioni fondamentali del rapporto. L’eventuale violazione di tale obbligo comporta l’irrogazione di una sanzione amministrativa.

Alcune clausole o forme particolari di rapporto, richiedono la forma scritta, es. la stipula del patto di prova o del patto di non concorrenza.

L’assenza della forma scritta di tali patti ne comporta la totale nullità.

Nel caso del contratto di formazione o di inserimento è richiesta per legge la consegna al lavoratore di copia del contratto stesso stipulato con la commissione, per la formazione, o del piano d’inserimento, per il contratto d’inserimento.

L’inosservanza di tale obbligo non comporta la nullità in sé del contratto ma determina la trasformazione del rapporto da contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, sin dall’origine.

In questi casi la forma prevista è ad substantiam.

D) Vizi del consenso.

L’errore può in concreto rilevare sul piano del contratto di lavoro allorché verta sulle qualità personali del lavoratore; tuttavia per essere essenziale, e quindi possibile causa d’annullamento, deve riguardare qualità che abbiano diretta attinenza con la prestazione lavorativa.

In linea di massima, quindi, solo le qualità tecnico-professionali nonché le ulteriori qualità della persona che concretamente si riverberino sulla professionalità del lavoratore in ragione o del particolare tipo di mansioni o del particolare tipo d’impresa.

E’ tesi ricorrente che la rilevanza dell’errore sul piano del contratto di lavoro sia ulteriormente ridotta dalla normale inerenza al contratto stesso di un patto di prova.

Infatti il datore di lavoro, tende, anziché ad agire per l’annullamento del contratto, a valersi del recesso libero in periodo di prova.

La rilevanza dell’errore essenziale è in ogni caso subordinata alla sua riconoscibilità da parte del lavoratore.

Essenzialità e riconoscibilità non sono necessari in caso di dolo da parte del lavoratore, quando questi abbia dato causa all’errore, determinante all’altri consenso, con affermazioni false ( dolo commissivo ) o reticenti ( dolo omissivo ).

E) Simulazione del contratto.

Maggiore rilevanza pratica dei vizi della volontà ha, sul piano del contratto di lavoro, la discrasia tra volontà delle parti e dichiarazioni negoziali.

La disciplina non si discosta da quella di diritto comune per i negozi simulati, ma per lo più viene diversamente fondata.

Esistono tre ipotesi:

1) Viene simulato ( ad es. per ragioni fiscali o per ragioni previdenziali ) un contratto di lavoro subordinato in assenza della volontà di dar vita ad un qualsivoglia rapporto e comunque in assenza di una prestazione di attività lavorativa ( c.d. simulazione assoluta ).

Trova allora diretta applicazione il 1° comma dell’art. 1414: “ il contratto simulato non produce effetto tra le parti “.

2) Viene simulato un contratto diverso, ad es. di lavoro autonomo, ma le parti intendono dar vita e comunque di fatto danno vita ad rapporto di lavoro subordinato ( c.d. simulazione relativa ).

Qui la problematica e la disciplina della simulazione, che pur condurrebbero alla applicazione della regolamentazione tipica del lavoro subordinato, sono assorbite dalla tassatività del tipo e dalla relativa regolamentazione.

Il problema viene cioè comunemente impostato e risolto dall’angolazione della ( corretta ) qualificazione del rapporto.

3) Viene simulato un contratto di lavoro subordinato che nasconde un contratto diverso, ad es. di lavoro autonomo ( ancora una ipotesi di c.d. simulazione relativa ).

Anche in questa ipotesi la tassatività della disciplina del lavoro subordinato fornisce autonomamente la chiave di soluzione del problema.

Essendo infatti il contenuto della disciplina tipica strutturalmente e funzionalmente correlato all’assetto di interessi sotteso al tipo “lavoro subordinato”, tale disciplina non può trovare almeno organicamente applicazione qualora quell’assetto di interessi non ricorra effettivamente.

F) La prova.

Il contratto di lavoro può prevedere un periodo di prova, durante il quale ciascuna delle parti può recedere senza obbligo di preavviso ( art. 2096, 3° comma, c.c. ) e al termine del quale l’assunzione diviene definitiva e il servizio prestato si computa sull’anzianità di servizio del prestatore di lavoro ( art. 2096, 4° comma ).

Tale patto deve essere scritto e sottoscritto da entrambe le parti. Tale forma è richiesta ad substantiam, considerata la funzione garantista che essa è destinata ad assolvere.

Lo stesso deve esistere sin dal momento in cui inizia la prestazione. Infatti la sua assenza o la tardiva consegna, rendono nulla la sua eventuale applicazione.

La finalità del patto di prova è quella di verificare da parte del datore le capacità professionali e personali del lavoratore, le condizioni generali ed ambientali della nuova struttura produttiva ed organizzativa.

L’art.10 della legge n. 604/66 ha testualmente escluso dal proprio ambito di applicazione il licenziamento in periodo di prova, con conseguente libertà di recesso dal contratto senza obbligo di motivazione ( Cass. 12/3/99 n. 2228 ) e senza obbligo di dare il preavviso o di pagare la relativa indennità sostitutiva.

La giurisprudenza, in passato, ha prodotto vari sforzi tendenti a fare del recesso dal rapporto in prova un recesso non già libero ma funzionalmente motivato con il mancato superamento della prova, al fine di consentire per questa via un più o meno ampio controllo giudiziale sull’esito dell’esperimento.

Risulta evidente e tutelato il diritto da parte del lavoratore di impugnare il recesso quando questo è intimato nonostante il superamento della prova, oppure per un motivo illecito o caso più frequente quando al lavoratore non sia stato consentito di prestare l’attività dedotta dall’accordo iniziale.

La durata della prova indicata per iscritto nel patto, è fissata, nella sua misura massima, dalla contrattazione collettiva e la giurisprudenza è orientata a ritenere che la durata del periodo di prova debba intendersi riferita ad un periodo di lavoro effettivo, con esclusione quindi dei giorni di assenza del lavoratore per malattia, ferie, permessi, ecc.

Giovanni Francesco Cassano Dottore Commercialista