Sei in: Articoli: Le Bioplastiche e i Biopolimeri biodegradabili:

I Bioplimeri e le Bioplastiche

limeri >
Introduzione ai biopolimeri

a cura di Lorenzo D’Avino e Luca Lazzeri, CRA- ISCI - Bologna

I biopolimeri o bioplastiche (BP) sono polimeri preparati attraverso processi biologici, che conferiscono al prodotto finale un’elevata biodegradabilità. Possono essere: di origine sintetica come ad esempio i derivati da alcuni poliesteri, da alcune poliesteriammidi, da alcol polivinilico (come l’Hydrolene® prodotto a Montecatini) oppure derivati da materiali di origine vegetale e quindi rinnovabili come l’amido e le miscele di amido (come il Mater-Bi® della Novamont di Novara, che usa mais o il Solanyl®, che usa bucce di patate), l’acido polilattico (PLA) derivato da zuccheri (come il Natureworks® della Natureworks LLC finora prodotto da mais), la cellulosa o la lignina, i poliidrossialcanoati (PHA) e altri.
L’amido ed il destrosio finora utilizzati per la produzione delle maggiori quantità di BP provengono da mais alimentare e sono reperiti secondo le disponibilità e i prezzi del mercato internazionale. L’amido, con rese leggermente inferiori rispetto al mais ( 9, 1 t ha-1), potrebbe anche essere derivato da patata (8, 2), frumento tenero (5, 5), orzo (5, 3) riso o sorgo. Il destrosio utilizzato da Natureworks LLC è oggi estratto da mais prodotto nei dintorni (400.000 t di mais per 140.000 t di PLA), ma da un punto di vista tecnologico si potrebbe prevedere di utilizzare anche altri materiali, quali barbabietola da zucchero o patate.
Di estremo interesse ambientale (ma di minor interesse per il settore agricolo) sono le sperimentazioni per produrre BP da materiali di scarto , come ad esempio quelli derivanti dall’industria agroalimentare (conserviera, casearia e della lavorazione del pomodoro), ma anche da alghe, stoppie di mais o da raccolta differenziata della frazione organica dei rifiuti urbani.
Un’altra applicazione nel settore, che in prospettiva potrebbe essere molto interessante per l’agricoltura, è la sostituzione nei BP degli oli minerali (utilizzati in percentuali ridotte per la loro azione plasticizzante e in generale per migliorare le proprietà fisiche del prodotto finale) con biolubrificanti di origine vegetale ad elevato valore tecnologico aggiunto.
Le applicazioni dei BP già sperimentate e commercializzate riguardano diversi settori: sono, o saranno a breve sul mercato, sacchetti, imballaggi, superassorbenti, pneumatici, protesi biomedicali, biocompositi (BP associati a fibre di lino o canapa in sostituzione della fibra di vetro); nel settore agricolo sono commercializzati come vasetti per piante, supporti per il lento rilascio di feromoni o fertilizzanti, teli per pacciamatura o solarizzazione. Quasi tutti i tipi di plastiche convenzionali sono sostituibili da BP, tuttavia a causa del prezzo maggiore sarebbe opportuno sviluppare in particolare quei settori in cui la biodegradabilità sia in grado di conferire un valore aggiunto al prodotto. Emblematico l’esempio dei teli per pacciamatura in Mater-Bi® dove l’agricoltore, anziché sostenere il costo di rimozione del telo ed il successivo costo di smaltimento dopo il suo uso (considerato rifiuto pericoloso a causa della presenza di residui di fertilizzanti e fitofarmaci), può interrarli con una semplice fresatura, beneficiando tra l’altro dell’azione fertilizzante in seguito alla naturale decomposizione del BP. In generale, quindi, lo sviluppo dei BP sembra particolarmente interessante soprattutto nello sviluppo di piccole aziende che utilizzano le bioplastiche come materie prime per produrre e distribuire manufatti per varie applicazioni.


Suddivisione del consumo di plastiche in Europa a 15 paesi nel 2003, i biopolimeri rappresentano meno dello 0.1%. Fonte:IBAW

Il consumo di plastica pro-capite si attesta sui 10 kg l’anno, con la previsione di raggiungere i 100 kg entro fine secolo. Rispetto al mercato delle plastiche derivate da petrolio, che nel 2003 in Europa superava i 40 milioni di tonnellate annue (con un tasso di crescita del 4-5%), i BP avevano un mercato di sole 35-40.000 t/anno, incentrato principalmente sul consumo di imballaggi. Per questo le potenzialità di crescita del settore sono quindi molto elevate (nel 2001 il consumo era stato di sole 25.000 t): la previsione è che in Europa saranno utilizzate fino ad 1 milione di t nel 2010 e fino a 5 milioni nel 2020. Le potenziali ricadute sul mondo agricolo (anche in riferimento al territorio toscano) sono pertanto di assoluto interesse. Infatti, se nel mondo la capacità produttiva dei BP nel 2002 era già di 250-300.000 t/anno, di queste circa il 90% erano costituite da BP derivati da materie prime rinnovabili derivate dall’agricoltura.
Ad oggi praticamente non esistono ancora colture dedicate alla produzione di BP, nonostante la filiera sia già presente sul mercato nazionale ed internazionale, così la materia prima viene reperita in base al prezzo più basso e non sulla base di pluriennali accordi di filiera agro-industriale (sebbene si stiano sviluppando interessanti esperienze anche in Italia in questa direzione). In definitiva la concorrenza a livello di prezzi con il mercato delle plastiche, settore già ampiamente collaudato ed affermato, dove il costo degli impianti è già stato ammortizzato e che opera ad un livello di economia di scala, risulta molto difficile. Quantomeno senza poter beneficiare, almeno in questa prima fase di sviluppo, di forme di sostegno da parte dell’amministrazione pubblica, giustificate ampiamente dall’internalizzazione dei costi ambientali: come dimostrano diversi studi del ciclo di vita dei prodotti (LCA), l’utilizzo di BP determina notevoli benefici ambientali, sia in termini di energia consumata che in termini di risparmio di CO 2 .
Al contrario, in Italia il settore dei BP, non beneficia di alcun tipo di aiuto pubblico, neanche di forme di defiscalizzazione analoghe a quelle previste per il biodiesel. In Germania a partire dal 2005 e fino al 2012, una norma consente ai distributori di non dover pagare le tasse sugli imballaggi costituiti da BP, né di far in modo che venga recuperato (per il riciclaggio o l’incenerimento) almeno il 60 % del prodotto consegnato. Ciò risulta di estremo interesse per i produttori, in quanto la raccolta e il riciclaggio della plastica è un’attività in perdita (a differenza di altri settori quali la produzione di compost, vetro o alluminio riciclati). Nel 2002 il contributo impegnato dal CONAI (Consorzio Nazionale Imballaggi) per il recupero della plastica superò i 130 milioni di euro, più della metà del contributo per la raccolta di tutti i materiali. Aumentare il consumo di BP permetterebbe di reinvestire tali finanziamenti, ma solo se il loro destino finale fosse la produzione di compost e non certo quello di plastica riciclata. Il destino post-consumo dei BP è un argomento di estremo interesse che merita di essere approfondito.

compostable_1.jpg Esistono nel mondo cinque diversi marchi che certificano la compostabilità di un prodotto e possono essere utilmente utilizzati per i BP, quelli esistenti in Europa si basano sulla norma EN 13432 (adottata anche come UNI dall’Italia). Il marchio può riferirsi a compostabilità in impianto di compostaggio industriale o a compostabilità domestica (come nel caso del marchio “OK compost Home” della società belga di certificazione Vinçotte), dove la temperatura e l’azione dei microrganismi sono ridotte. Per quanto riguarda il compostaggio industriale, il marchio maggiormente diffuso in Europa è quello promosso da IBAW (International Biodegradable Polymers Association & Working Groups) presente in Germania, Austria, Regno Unito, Svizzera, Olanda e presto in Belgio e Francia, che grazie ad un accordo con 4 aziende che rappresentano il 90% del mercato dei BP in Europa, ad aprile 2005 aveva certificato 100 prodotti (di cui 50 già sul mercato), corrispondenti a 22.000 ton di BP.
L’incremento della raccolta della frazione organica, che corrisponde a circa il 30% del peso dei rifiuti domestici, sembra essere l’unico modo per raggiungere gli obiettivi, disattesi, del Decreto Legislativo 22/97 (art. 24 comma 1) che prevedeva di raggiungere, entro il 2003, una quota minima del 35% di raccolta differenziata dei rifiuti urbani . L’utilizzo di imballaggi biodegradabili opportunamente raccolti e compostati industrialmente con la frazione organica, consentirebbe di ridurre gli scarti in uscita dall’impianto di compostaggio, che sono conferiti (dietro pagamento) in discarica; l’utilizzo del sacchetto biodegradabile per la raccolta , se posto in appositi contenitori areati, permette una perdita in peso del 15-20%, riducendo così i costi di trasporto e gli onerosi costi di pulizia dei cassonetti, qualora si continui ad utilizzare questo metodo di raccolta sebbene diverse esperienze indicano che la raccolta a domicilio della frazione organica (il cosiddetto “porta a porta”) consente di avere un rifiuto con minore quantità di “impurezza”. Ad ogni modo sembra accertato che l’uso di plastiche compostabili contribuisca a sensibilizzare i cittadini ad una raccolta del materiale organico maggiormente mirata alla qualità del compost e alla riduzione degli scarti.
E’ doveroso sottolineare che, sulla base di queste considerazioni, sembra fondamentale rivedere il processo di compostaggio industriale, pensando di differire il vaglio di raffinazione dopo un primo periodo di compostaggio, in modo che i BP (ed altri materiali compostabili) siano così in avanzata fase di decomposizione e non vengano conferiti in discarica.

La Commissione Europea è molto attenta al tema della tossicità degli imballaggi stabilendo i limiti di cessione e i materiali utilizzabili (Dir. 89/109/CEE, 94/62/CE e successive integrazioni). E’ presumibile che in futuro il l egislatore attiverà meccanismi atti ad incrementare l’uso di imballaggi biodegradabili. Un emendamento ad una legge di orientamento agricolo, passato in prima lettura all’unanimità al Parlamento francese l’11 ottobre 2005, stabilisce che dal 1 gennaio 2010 in Francia non potranno essere venduti o distribuiti sacchi e imballaggi in plastica non biodegradabile. Tale emendamento, che ha colto di sorpresa gli stessi produttori di BP, in Senato è stato rivisto riducendo l’obbligo ai soli sacchetti di plastica, ma determinerà comunque un rapido sviluppo del mercato dei BP. Analogamente anche in Italia grazie ad un emendamento alla legge finanziaria 2007 a partire dal 2010 sarà vietato l'uso di sacchetti di plastica. L’Irlanda nel 2002 ha imposto una tassa di 15 centesimi per ogni sacchetto per la spesa in plastica acquistato, riducendone di fatto il consumo del 90%, recuperando 12 milioni di euro l’anno da destinare a fondi ambientali e incrementando il consenso dell’opinione pubblica.
D’altronde i consumatori giudicano estremamente positiva la sostituzione degli imballaggi con BP e li considerano i prodotti da imballaggio maggiormente ecocompatibili ( secondo il 90% degli intervistati di un sondaggio svolto a Kassel). Per non perdere questo “bollino” virtuale sembra indispensabile puntare su prodotti effettivamente ecocompatibili (100% da materie prime rinnovabili, OGM-free, compostabili) e proporli con chiarezza e univocità mediante campagne di sensibilizzazione non solo ai consumatori, ma anche ai responsabili delle forniture delle mense aziendali, delle sagre paesane, della pubblica amministrazione (Green Public Procurement).
Infine sembra importante sottolineare, come testimonia il caso francese, che uno sviluppo dei BP che comprenda l’agricoltura (utilizzando colture dedicate per produrre BP da risorse rinnovabili e patti di filiera) può avvantaggiarsi dell’interesse politico e dell’opinione pubblica verso il mantenimento del territorio.

Estratto dalla relazione finale del progetto ACTIVA promosso e cofinanziato da ARSIA Toscana e coordinato da Legambiente


FONTE : CHIMICA VERDE
//www.chimicaverde.net/chimicaverde/content/index.php?action=read_pagina&id_cnt=2061


per approfondimenti temi correlati un interessante video :

Additivi biodegradabili e biopolimeri : potenzialità e qualità a confronto

Link:

//www.youtube.com/watch?v=iI8MyRG23jo&feature=related